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Ti mangio il cuore (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 14 gen 2023
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 11 mag 2023


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Ti mangio il cuore

Italia 2022 noir drammatico 1h55’


Regia: Pippo Mezzapesa

Soggetto: Carlo Bonini e Giuliano Foschini (libro inchiesta omonimo)

Sceneggiatura: Pippo Mezzapesa, Antonella Gaeta, Davide Serino

Fotografia: Michele D'Attanasio

Montaggio: Vincenzo Soprano

Musiche: Teho Teardo

Scenografia: Daniele Frabetti

Costumi: Ursula Patzak


Elodie: Marilena Camporeale

Francesco Patanè: Andrea Malatesta

Lidia Vitale: Teresa Malatesta

Francesco Di Leva: Giovannangelo

Giovanni Trombetta: Paky Malatesta

Letizia Pia Cartolaro: Immacolata Malatesta

Michele Pereira Da Paz: Trippone

Arturo Severo Cano: Semolino

Giovanni Anzaldo: Zigo Zago

Brenno Placido: Potito Montanari

Tommaso Ragno: Michele Malatesta

Michele Placido: Vincenzo Montanari


TRAMA: Dimenticati da Dio, gli altopiani del Gargano in Puglia sono contesi da criminali che sembrano venire da un tempo remoto. Si tratta di una terra che ricorda il far west, una terra dove il sangue si lava con il sangue. A riaccendere l'odio tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea, erede dei Malatesta, e Marilena, la bellissima moglie del boss dei Camporeale. La loro è una passione impossibile da estirpare che travolge la ragione e riaccende la guerra tra i clan.


Voto 7

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L'amore proibito tra Andrea, inizialmente riluttante erede dei Malatesta, e Marilena, la bella moglie del boss dei Camporeale, riaccende un'antica faida tra due famiglie rivali. La passione fatale riporta i clan in guerra, in una terra antica, non tanto diversa dal far west, dove solo il sangue può lavare il sangue, seguendo i codici spietati della mafia locale. Ma Marilena, ormai cacciata dalla sua famiglia e prigioniera dell’altra, contesa e oltraggiata, con la forza che può avere solo una madre ferita strappata ai figli, si opporrà a un destino che sembra già scritto.

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Come si può notare facilmente dalla sinossi, siamo in pieno cinema criminale degno di una guerra tra bande da far west, o meglio ancora, come qualcuno si è oculatamente sbilanciato, un southern di tipo garganico, dove l’altopiano dauno si estende a perdita d’occhio tra i pascoli per i greggi di mucche e pecore da cui ricavare formaggi, dove tutto (terre, bestie animali e bestie umane) viene difeso con fucili a pompa e pistole che compaiono alla bisogna. Specialmente quando – a causa di una fatalità impensabile, una storia d’amore assolutamente vietata inquinando il mafia movie - la rivalità delle due bande esplode come un distruttivo fuoco d’artificio che neanche il rappresentante della terza famiglia, il pompiere Michele Montanari, riesce a spegnere: basta il primo corpo lasciato a terra, preferibilmente sfigurato perché sparato in viso a maggior sfregio punitivo, e si accende una serie di esecuzioni che potrebbe anche non lasciare nessun superstite. Per le esplosioni serve una miccia, si sa, e la miccia è una donna, bellissima e provocante, Marilena, che di cognome, ora che è sposata, fa Camporeale, quello del boss a cui si è legata: mani curatissime, tacco 12 che la fa staccare in verticale sulle altre donne nere nella processione dell’Addolorata, nera come il seguito, forme da seduzione senza scampo. Ma se Andrea Malatesta (nomen omen) non avesse perso la testa per lei, sicuramente questa non avrebbe ceduto e non l’avrebbe persa neanche lei, e di certo la faida non sarebbe scoppiata e la pace, seppur fragile, sarebbe durata ancora, ma chissà per quanto.

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Tre famiglie, tre bande rivali per il controllo del territorio: Camporeale, Malatesta e Montanari. Già in rivalità nervosa di supremazia nella prima scena in cui si svolge l’asta per chi avrà l’onore di portare a spalla la statua della Madonna dolorosa nel tradizionale rito che il paesino rispetta devotamente, abbarbicato sulla collina e costruito in stradine e scalinate ripide e curve tra case che si affacciano sui vicoletti. Come previsto, dietro la sacra immagine sfilano tutte la donne del paese a mo’ di processione dei Misteri del Venerdì Santo, vestite di nero e con lo scuro velo sul viso. Chi offre di più in quell’androne pieno di uomini dai visi minacciosi? Le “famiglie” si rintuzzano a suon di migliaia di euro fin quando entra lei, sinuosa come un cobra, truccata alla perfezione, sigaretta tra le dita e sguardo altero, che si aggiudica la tenzone zittendo i maschi. Galeotta fu quell’occasione: Andrea la vede, viene sopraffatto da limerenza e decide in un secondo che sarà sua, a qualsiasi costo e con qualsiasi conseguenza. Che arriveranno inevitabili.

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I personaggi importanti, che ruotano attorno alla giovane coppia appena inondata da un’attrazione irrefrenabile, sono tanti, tra scagnozzi ubbidienti ed eventualmente traditori, i tre capibastone dal forte carattere e indomabili condottieri di spedizioni punitive e giustizialiste, ma tutti uomini. Tra le donne spiccano solo due: la bella contesa e scommessa della discordia e Teresa Malatesta, dura, cattiva e incisiva nelle decisioni, fedele moglie di Michele, silenziosa che sa farsi ascoltare, che sale in cattedra con autorità e polso quando il marito diventa la prima bara da portare al cimitero. Ma c’è un vero terzo protagonista che domina dal primo all’ultimo istante: il colore della fotografia. Il bianco e nero scelto da Pippo Mezzapesa - eterno cantore dell’habitat, dell’humus, della mentalità e delle persone del sud (in particolare della sua Puglia) – è ciò che colpisce sin dal primo fotogramma. Bianco e nero, due colori, che, anche se collegati da varie nuance di grigi, stabiliscono senza discussioni se sei uno seduto di qua o di là, a qualche famiglia appartieni delle tre che si fanno ormai una guerra in crescendo e senza prigionieri. Quartum non datur. È una scelta tecnica che condiziona la visione, che ne stabilisce i parametri, che illumina e abbuia ogni luogo e ogni viso, dove il sangue ha il colore della morte e della mente mai illuminata di chi prende decisioni letali, che scurisce anche la merda dei maiali da far ingoiare ai traditori. Forse solo l’amore che si è acceso tra i due innamorati in quell’inferno potrebbe dare dei toni diversi ma è nato sul pascolo arido della sopraffazione, secco e bagnato come le saline del loro primo e proibito incontro, che il regista inquadra con il forte contrasto del sale bianchissimo e accecante e lo scuro degli abiti di lei, dei suoi capelli corvini, del suo trucco da regina che si attenua solo col suo sorriso illuminante che affascina anche i nemici. Tranne Teresa, lei mai. Anzi la giovane signora conturbante deve subire la supremazia familiare della padrona di casa da quando questa ha dovuto prendere in mano le redini della proprietà e soprattutto degli uomini schierati fuori dalla masseria. Lì deve sottomettersi al nuovo matriarcato stabilitosi, anche se ormai il giovane rampante Andrea sta emergendo prepotentemente e ha ereditato la grinta, la mascolinità e il potere del padre, atteggiandosi a vero capo e cambiando atteggiamento, anche malmenandola, verso la donna che si è portata in casa e che intanto è in attesa di suo figlio.

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Marilena non è l’ultima delle donne abituate a sottostare, è la prima a dare la svolta decisiva e determinante: indomita, forte caratterialmente non meno della madre del suo uomo, capisce e accetta la durezza della situazione, prende una decisione a cui non avrebbe mai pensato prima, anche in nome dei due figli precedenti che ha dovuto abbandonare. Non è uno spoiler perché la trama si ispira a storia vera, scritta nero su bianco in un libro inchiesta dei giornalisti Carlo Bonini e Giuliano Foschini, a sua volta basato sulla reale vicenda di Rosa Di Fiore, prima pentita della mafia garganica. Tosta come un mafioso incallito, fiera come una principessa, bella come una fotomodella: è la fotografia di Elodie al suo esordio come attrice. Come cantante può piacere o meno, ma come interprete in questo ruolo di madonna nerissima è una bellissima sorpresa e sembra che abbia sempre recitato. Sicura e spavalda come il suo personaggio, dà una ottima impressione, evidentemente ben scelta e diretta al meglio da Pippo Mezzapesa che rende omaggio alle qualità potenziali di cui indubbiamente è dotata.

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È lei la vera protagonista, seppure il film sia dominato dalla criminalità e attorno a lei girano buonissimi attori, tra cui emergono in primis Lidia Vitale, perfetta donna di polso, e Tommaso Ragno che ormai ci ha abituato a ruoli da duro. Ruolo da paciere inefficace si rivede un invecchiato Michele Placido, praticamente di casa e conoscitore del paesaggio. Tutto da scoprire Francesco Patanè, qui al suo secondo impegno dopo Il cattivo poeta, con una buona prova. Francesco Di Leva, noto per le sue partecipazioni in opere simili nell’ambito delle storie di camorra a cinema e in TV, si adatta al clima pugliese perdendo poco del suo accento campano. Una storia di uomini con rare donne se non quelle numerose che a capo chino e in ordine di processione seguono la statua venerata mentre i maschi sono schierati ai margini della strada con atteggiamenti severi e minacciosi come si confà a gente come loro, tra segni di croce e pistole in tasca. Dove le donne hanno ruoli solo di contorno e se deviano dai doveri imposti da quella mentalità sociale vengono giudicate solo esclusivamente con apprezzamenti spregevoli e appellativi da strada (“50 vacche per quella vacca di mia cognata ci possono pure stare!”). Solo la forza che una donna volitiva come la vera Rosa Di Fiore poté smuovere lo status quo e fare breccia, dando esempio di coraggio e dignità femminile. Il film, inoltre, porta sullo schermo un altro efferato episodio successo davvero per le vie rurali della Puglia, quando nell’agosto del 2017 due contadini che rientravano dalla faticosa giornata trascorsa al lavoro nella campagna foggiana furono involontari testimoni di un agguato mafioso e per questo furono trucidati. Una dura realtà portata sullo schermo molto bene dal bravo regista di Bitonto con una sequenza degna di un gangster movie americano scegliendo ottimamente in ogni momento le inquadrature giuste e sviluppando piani sequenza da brividi densi di tensione e sacralità criminale.

Pippo Mezzapesa, autore sempre apprezzato per film piccoli, significativi e a basso budget, sempre in piena atmosfera meridionale (i più noti sono Il paese delle spose infelici e Il bene mio), ha firmato sicuramente la sua migliore opera e con questa può sperare di ricevere maggiore attenzione dalla critica e dal pubblico, oltre che dai produttori per una carriera in crescendo.

Buon film che termina, cogliendo l’occasione, con un brano cantato proprio di Elodie e Joan Thiele e scritto dai due assieme alla più celebre Elisa: Proiettili, perfettamente in tema.


Riconoscimenti

David di Donatello 2023

Miglior canzone originale (Proiettili, cantata da Elodie)


 
 
 

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