Giordano Bruno (1973)
- michemar

- 16 nov
- Tempo di lettura: 3 min

Giordano Bruno
Italia, Francia 1973 biografico/storico 2h3’
Regia: Giuliano Montaldo
Sceneggiatura: Piergiovanni Anchisi, Lucio De Caro, Giuliano Montaldo
Fotografia: Vittorio Storaro
Montaggio: Antonio Siciliano
Musiche: Ennio Morricone
Scenografia: Sergio Canevari
Costumi: Enrico Sabbatini
Gian Maria Volonté: Giordano Bruno
Charlotte Rampling: Fosca
Renato Scarpa: Fra’ Tragagliolo
Mathieu Carrière: Orsini
Hans Christian Blech: cardinale Santori
Hans Caninenberg: Papa Clemente VIII
Giuseppe Maffioli: Arsenalotto
Mark Burns: Cardinale Bellarmino
Massimo Foschi: fra’ Celestino da Verona
Alberto Plebani: alto prelato
Franco Balducci: secondino
Paolo Bonacelli: presidente civile inquisizione
Corrado Gaipa: confessore di Giovanni Mocenigo
José Quaglio: nunzio apostolico di Venezia
Mario Bardella: Giovanni Mocenigo
TRAMA: Scappando dai suoi nemici nella Chiesa Cattolica, il filosofo, poeta, scienziato e libero di pensiero Giordano Bruno trova protezione a Venezia. Ma l’Inquisizione romana, temendo la sua influenza, vuole metterlo sotto processo per eresia.
VOTO 7

Il film racconta gli ultimi anni del filosofo nolano Giordano Bruno fino al martirio nel 1600: dalla cattura, a Venezia, al rogo di Campo dei Fiori a Roma. Giovanni Mocenigo che lo ospita e lo denuncia all’Inquisizione. Gli interrogatori a Roma, l’incontro col cardinale Bellarmino, le torture, il rogo.


Girato subito dopo Sacco e Vanzetti, Montaldo, continuando il percorso della rilettura di avvenimenti storici quasi per farne giustizia nella memoria collettiva, cerca di conciliare la sua valenza ideologica con le esigenze della spettacolarità, riuscendovi in buona parte. È il ritratto a tutto tondo di una vittima del potere, in una società che considerava ancora eretica e blasfema l’ipotesi di una distinzione fra fede e scienza.


Il biopic che sceglie di raccontare soprattutto la fine del filosofo, quando le sue idee lo portano a scontrarsi con l’autorità e a essere condannato. È un approccio interessante, perché concentra l’attenzione sul processo e sul destino finale, ma allo stesso tempo rischia di ridurre la complessità della sua figura, che sicuramente richiederebbe uno sguardo più ampio e, volendo anche più critico, invece, come fa sempre Montaldo, di compiere un’operazione agiografica del personaggio preso in esame. La regia, inoltre, prova a dare forma a un racconto drammatico ma spesso sembra incerta sulla direzione da prendere, ma Gian Maria Volonté trova il ritmo giusto in alcune scene chiave, come quella dell’incriminazione, mentre in altre sequenze appare più passivo e rassegnato.


Il regista mette in scena con cura, ma senza la necessaria audacia. A volte, per rendere un personaggio vivo, bisogna anche osare, persino mancare di rispetto alla sua immagine, come hanno fatto Fellini con il suo Casanova o Forman con Amadeus. Senza coraggio, il risultato rischia sempre di restare piatto. Si può perfino azzardare a dire che è un’occasione mancata: raccontare solo la fine di Giordano Bruno significa trascurare la parte più vitale della sua eredità, quella delle idee che lo hanno reso immortale.

Ancora una volta, il lavoro del regista è portato al termine e sublimato da una grande interpretazione dell’intenso Gian Maria Volonté, che da solo vale tutto il film. Ottima la ricostruzione visiva di Venezia che ricalca i colori e le ombre dei grandi pittori del Cinquecento. La fotografia di Storaro e le musiche di Morricone fanno da cornice ad una pellicola che fa sempre bene rivedere.


Il buon cinema italiano, sostenuto, come spesso succedeva e succede, anche dai produttori francesi, sempre in linea con il cinema d’autore.





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