Hood Witch - Roqya (2023)
- michemar

- 22 ott
- Tempo di lettura: 4 min

Hood Witch - Roqya
(Roqya) Francia 2023 thriller drammatico/horror 1h35’
Regia: Saïd Belktibia
Sceneggiatura: Saïd Belktibia, Louis Pénicaut
Fotografia: Benoît Soler
Montaggio: Benjamin Weill, Nicolas Larrouquere
Musica: Flemming Nordkrog
Scenografia: Arnaud Roth
Costumi: Liate Cohen
Golshifteh Farahani: Nour
Amine Zariouhi: Amine
Jérémy Ferrari: Dylan
Denis Lavant: Jules
Mathieu Espagnet: Kevin, il figlio di Jules
Karim Belkhadra: Lyes
Issaka Sawadogo: Ahmed
Alexis Manenti: esorcista
Isma Kébé: Arnaud, doganiere
Anne-Laure Gruet: ufficiale doganale
TRAMA: Una donna si guadagna da vivere contrabbandando animali esotici e prodotti illeciti. Crea una App per smartphone per mettere in contatto i clienti con i marabutti ma quando la consultazione di un utente prende una svolta tragica, la sua vita e quella del figlio saranno in pericolo.
VOTO 5,5

Prima di tutto necessita fare chiarezza sul titolo, altrimenti non si capisce l’ambientazione e ciò che succede nel film. La roqya è una pratica di guarigione spirituale islamica basata sulla recitazione di versetti coranici, utilizzata per proteggere o liberare una persona da influenze maligne, malattie o disturbi spirituali. Nel contesto religioso è considerata una forma di esorcismo, però legittima, che è infatti distinta da pratiche magiche o superstiziose. Si fonda sull’idea che la parola divina abbia un potere terapeutico: i versetti del Corano vengono recitati per allontanare il male, curare malattie invisibili o proteggere da entità come il jinn (spiriti) o il malocchio. Viene praticata da imam, guaritori spirituali o anche da familiari, purché si rispettino le regole coraniche.


Tenendo presente questa pratica, il film dell’esordiente Saïd Belktibia è un thriller sociopolitico che fonde horror urbano e denuncia sociale, ambientato nella periferia metropolitana e diretto con audacia, visto l’argomento e i temi correlati. La sua forza, infatti, sta nel modo in cui trasforma la stregoneria in metafora contemporanea.


Nel cuore delle banlieue parigine, Nour (Golshifteh Farahani) - madre single franco-iraniana - sopravvive vendendo animali esotici, importati dal Marocco, a guaritori locali che li utilizzano in cerimonie occulte. Dopo aver creato l’applicazione “Baraka”, grazie alla quale è possibile chiamare guaritori e marabutti (termine che indica figure religiose e spirituali dell’Islam, spesso venerate come santi locali nell’Africa occidentale e nel Maghreb) per trovare soluzioni ai problemi che si incontrano nella vita, viene accusata di stregoneria dagli alleati del suo ex marito, Dylan, con il quale è in conflitto per la custodia del figlio Amine e il pagamento degli alimenti. In seguito alla terribile accusa rapidamente diffusa nel complesso residenziale, in cui vive da sola col figlio, a causa dei social, è presto braccata e il suo appartamento viene dato alle fiamme dopo un inseguimento. Riesce a scappare, resistere e combattere per la sua sopravvivenza e la protezione del figlio. Insomma, il film si trasforma in una corsa disperata per la salvezza, tra superstizione, misoginia e isteria collettiva. Da qui il termine “Hood Witch”: la strega del quartiere.


Il regista non si limita a raccontare una fuga, ma interroga il presente. Belktibia usa il linguaggio dell’horror per denunciare la persistenza di credenze arcaiche, il potere distruttivo dei social media e la vulnerabilità delle donne che sfidano le norme patriarcali. Tre argomenti forti, pesanti, difficili, a partire dall’ultimo: Nour non è una strega, ma viene trattata come tale perché è indipendente, marginale, e troppo vicina a un mondo che la società preferisce ignorare.


La regia è nervosa, immersiva, con camera a mano, luci notturne, foschia urbana e tutto contribuisce a creare un’atmosfera claustrofobica e inquietante. Le sequenze di caccia alla strega ricordano i linciaggi medievali, ma con smartphone al posto delle torce. La fotografia notturna scolpisce sagome minacciose, mentre la colonna sonora alterna silenzi tesi a suoni rituali, evocando un senso di pericolo imminente.


Golshifteh Farahani, attivista iraniana ormai parigina, offre una performance intensa e sfaccettata: non una vittima passiva, ma una donna combattiva che cerca di proteggere suo figlio in un mondo che la vuole punire per la sua autonomia. Il suo volto incarna la tensione tra spiritualità e sopravvivenza, tra colpa e resistenza. Purtroppo, il film non è perfetto e la sceneggiatura a tratti si frammenta, con alcuni personaggi secondari che restano abbozzati, ma riesce comunque a evocare un senso di urgenza morale. La stregoneria qui non è magia: è il marchio che la società imprime su chi non si conforma. Tristemente. Un’opera che mescola denuncia e tensione, spiritualità e brutalità, offrendo uno sguardo feroce su come il passato non sia mai davvero passato.


Il regista e sceneggiatore Saïd Belktibia: Per la stesura della sceneggiatura siamo partiti da una possibile uberizzazione della stregoneria, un'idea che avevo in testa da un po' (...) ma il mio film non è solo un film sulla roqya o sulle scienze occulte. È soprattutto la storia di una donna che rifiuta di sottomettersi e che si ritrova ingiustamente accusata di stregoneria perché la sua indipendenza la disturba.


Golshifteh Farahani: C’è ancora un dubbio sulle convinzioni di Nour: è bella ma è l'opposto di un oggetto del desiderio perché spaventa gli uomini. Parla decisa e non usa mezzi termini. È anche determinata a sviluppare la sua attività molto redditizia. Da un punto di vista fisico, con questa caccia all’uomo, non ho mai smesso di correre ma non mi sono mai stancata o rimasta senza fiato. Ero un carro armato!


Prodotto da Ladj Ly, regista noto per aver posto le banlieue al centro della sua produzione cinematografica, l’esordio di Saïd Belktibia si colloca nella stessa prospettiva: un'analisi realistica delle periferie francesi, caratterizzata dall’intreccio tra dinamiche sociali, tensioni culturali e spirituali, che configura il margine urbano come uno specchio della società contemporanea. Il thriller esamina la diffusione della paura e del fanatismo all’interno degli spazi e dei corpi cittadini, evidenziando come la periferia diventi scenario sia di oppressione sia di resistenza.





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