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I figli degli altri (2022)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 18 set 2023
  • Tempo di lettura: 7 min

Aggiornamento: 14 ott

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I figli degli altri

(Les enfants des autres) Francia 2022 dramma 1h43’


Regia: Rebecca Zlotowski

Sceneggiatura: Rebecca Zlotowski

Fotografia: Georges Lechaptois

Montaggio: Géraldine Mangenot

Musiche: Robin Coudert, Gael Rakotondrabe

Scenografia: Katia Wyszkop

Costumi: Bénédicte Mouret


Virginie Efira: Rachel Friedmann

Roschdy Zem: Ali

Chiara Mastroianni: Alice

Callie Ferreira-Gonçalves: Leila

Yamée Couture: Louana Friedmann

Henri-Noël Tabary: Vincent

Victor Lefebvre: Dylan

Sébastien Pouderoux: Paul

Michel Zlotowski: Monsieur Friedmann

Frederick Wiseman: dott. Wiseman


TRAMA: Rachel, una quarantenne senza figli, crea un legame profondo con la piccola figlia di un uomo maturo che vive separato.


Voto 7


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Rachel è una professoressa di 40 anni, divorziata, distratta negli appuntamenti che le sfuggono di mano, ma ama la sua vita, i suoi studenti, i suoi amici, le sue lezioni di chitarra, persino il suo ex. Più esattamente, è una donna, bellissima, ancora nel pieno della forza attrattiva, che sa amare, che sa dedicare la giusta attenzione alle persone che la circondano e le riempiono la vita. Osservandola in classe, si nota immediatamente che non trascura nulla nel suo lavoro, la dedizione con cui cerca di tenere attiva l’applicazione dei suoi allievi, curandone le inclinazioni e cercando di non perderli per strada come spesso chiedono i suoi colleghi in sede di scrutinio: invitandoli a non essere superficiali, fa in modo che l’elemento che non si sforza di tenere il passo degli altri non venga lasciato indietro, perché deve avere ancora una possibilità. Ma lei è così in ogni suo atteggiamento e verso tutti i suoi conoscenti. L’unico vero rammarico che la rattrista e che cerca di nascondere è che non è riuscita ad avere figli. Vuoi perché quando era il momento non era quello giusto per lei, vuoi perché si è lasciata con il marito da otto anni, vuoi, soprattutto, perché quando era rimasta incinta aveva abortito. Ora rimpiange quella rinuncia.



Quando si innamora di Ali, un uomo interessante che lavora come progettista automobilistico, va a vivere da lui e così si avvicina alla figlia Leila di 4 anni e mezzo che a volte cerca la sua vera mamma ma si affeziona facilmente a lei per le tante attenzioni e i molti atti premurosi che riceve: le rimbocca le coperte, se ne prende cura. La ama e la tratta come una madre, con tantissimo affetto. Ma lei madre non è, lo vorrebbe essere, ma di un figlio veramente suo. Madre, beh, non ancora. Ci spera e consulta più volta il suo anziano ginecologo, che non evita di essere chiaro per non dare false speranze. Rachel ha ormai 40 anni e le possibilità di una gravidanza non sono molte. Deve provarci. Intanto, il desiderio di avere una famiglia tutta sua è sempre più forte e il tempo stringe. È troppo tardi? Persino sua sorella Louana è incinta, per giunta senza averlo proprio voluto veramente. Più si guarda in giro, più si accorge che il tempo prezioso sta passando e lei ha sbagliato a tardare di impegnarsi. Chissà, forse con Ali ci potrebbe riuscire.



Rachel (Virginie Efira) è davvero una donna generosa, non dice mai di no, per fortuna solo a chi la corteggia inutilmente, dato che sin dalla prima scena ha perso la testa a primo colpo per Ali (Roschdy Zem), prontamente contraccambiata, anche a causa della solitudine di entrambi. È disponibile in classe, con gli studenti che abbisognano di aiuto, con i colleghi professori, con quell’uomo che l’ha fatta innamorare, con la piccola e deliziosa Leila. La causa principale per cui ha abortito e tardato ad avere un figlio è stato il mortale incidente di quando aveva 9 anni in cui è rimasta vittima la madre e lo shock l’ha bloccata per molto tempo. La sua famiglia di fede ebraica (padre e sorella) si ritrova nei riti della sinagoga e quando vanno a pregare nel cimitero sulla tomba della donna, ma altre manifestazioni religiose non sono frequenti nella sua vita.



La sua relazione con Ali è passionale e solida, almeno così pare, l’importante è che si sia fatta accettare dalla bimba in casa e quando la va a prelevare dalla palestra di judo ha così modo di conoscere la ex del suo uomo, Alice (Chiara Mastroianni), una persona a modo che capisce la situazione e non ha altre pretese. I convenevoli non sono falsi, di due donne gelose, anzi l’unica vera preoccupazione è il bene fisico e psicologico della piccola Leila. Sembra una situazione idilliaca e ideale. Ma con un uomo già sposato e con figlia non si può mai stare tranquilli ed un giorno succede quello che accade tante volte, a causa di ripensamenti, discorsi sul futuro dei figli e via dicendo. Ali è un tipo riservato, lo si nota dai suoi momenti taciturni, Rachel, che lui crede idealista (e forse lo è) invece si autodefinisce pragmatica: cosa succederà al primo intoppo e come reagiranno alle prime divergenze è tutto da scoprire. L’unica cosa certa è che lei è fortemente avvinghiata a quell’amore ed è convinta che con lui e la bambina ha formato una nuova famiglia, che nulla può minare. Illusa? Ingenua? O più semplicemente assetata d’affetto e di senso di maternità. E sempre generosa fino al punto di chiarirsi con l’altra, Alice: “Mi dispiace, Rachel.” “No, è Ali che mi fa soffrire, non lei. Non dobbiamo scusarci al posto degli uomini.”



Il cammino è accidentato, sicuramente non promette molte gioie. Ma si sa, l’amore è gioia ma anche sofferenze, le combinazioni degli individui sono tante e spesso qualcuno non ha il coraggio di prendere una decisione difficile e sceglie quella più facile, che quasi sempre fa soffrire l’altro. È odioso ma tocca ancora una volta far notare come solo un’autrice possa essere meglio in grado di raccontare una donna e una storia complessa che la vede al centro. È ripetitivo e stanca, ma è un discorso che ricorre quando ci si fa caso e la bravissima Rebecca Zlotowski è in grado di farlo, riportando elementi della sua vita nella sua sceneggiatura, avendo molta cura nel mettere in film un po’ le sue origini (è figlia di un ebreo-polacco e di una ebrea-marocchina, vedi l’eccellente Roschdy Zem) e le tante problematiche soprattutto femminili che si presentano nella felice trama: la difficoltà di restare incinta, la gestione del desiderio e della seduzione, il rapporto con le origini, l’impossibilità di trasferire le proprie mancanze nella persona di una bambina. Dice la regista: “Il progetto contiene un'affermazione politica rispetto alla maternità, pur senza esprimere direttamente una ideologia. Il film è una presa di posizione secondo cui una donna può avere una sua posizione della società anche senza figli. Allo stesso tempo però volevo rivendicare la complessità e il dolore di una scelta di questo genere come può essere la scelta dell'aborto. Volevo raccontare un conflitto morale e affettivo che chi si trova in una posizione di matrigna o patrigno prova necessariamente. Mi sembrava non fosse mai stato raccontato e che se ne debba parlare. E nel momento in cui ciascuna di noi ammette la sua impotenza dispetto alla vastità della scelta che deve affrontare si sente più forte. Lo dico da francese fortunata per i diritti riconosciuti nel mio Paese, ma rivendico la complessità di certe scelte che ritengo non sia abbastanza considerata. Vorrei che fosse una scelta riconosciuta come sofferta, ma poi solare e bella.”



Di primo acchito può sembrare un film dallo schema solito e tante volte sfruttato ed invece, lasciandosi compenetrare nell’animo della protagonista, ci si accorge della sensibilità e della passione che avvolgono la sua personalità. E si soffre assieme a lei. E se questa alchimia si verifica, il merito, oltre che della scrittura, è della qui straordinaria Virginie Efira, che dà una prova così intensa che riesce a far partecipe delle sue azioni lo spettatore coinvolto. Ogni minimo movimento dei piccoli muscoli del viso, le rughe al lato degli occhi, il sorriso luminoso, lo sguardo, dicono con sincerità ciò che le passa per la testa, mentendo solo quando deve accettare la realtà e il cambiamento che non avrebbe mai immaginato. Se Roschdy Zem è trattenuto sin dal primo momento, facendo subito intendere i tentennamenti che percepisce sin dall’inizio della relazione, l’attrice francobelga sfodera il suo miglior repertorio e senza inibizioni esibisce anche il suo florido corpo, recitando al meglio e trasmettendo con grande capacità la sua sofferenza, traslando efficacemente in immagini le idee della regista. La sua Rachel si innamora, ama, dà tutta se stessa, spera, poi sbanda e accetta i compromessi di consolazione, ed infine, mentre attraversa la strada, sorride amaramente e si incammina verso l’ignoto futuro, sola e indipendente. Dopo aver ricevuto ancora un complimento dallo studente che curava di più perché ne aveva bisogno: quel senso materno e femminile che la avvolge attira sempre su di sé l’attenzione degli uomini, giovani e maturi, e sempre con l’impressione del corteggiamento, dell’attrazione sensuale. Perché, oltretutto, è veramente bella e attraente.


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Un film sul grande tabù delle donne e la maternità che affronta uno dei temi più discussi e dolorosi di questi tempi, perché dal punto di vista dell’aborto assume pure il tono politico e sociale, dimostrato dalle frasi pronunciate all’uscita del cimitero ebraico tra lei, la sorella e l’anziano padre: la diversità della posizione delle diverse religioni sul momento in cui un feto è oppure no un vero individuo.

Amore e dolore, relazioni e disallineamenti, in un mondo in cui, finalmente, la donna ha un maggior ruolo sociale e non più “fattrice”, in cui ha il diritto di scegliere quando sposarsi e avere figli, mentre l’orologio biologico (quanto è saggio il ginecologo!) va avanti e porta le donne ad un certo punto della propria vita a chiedersi che tipo di vita si vuole perché poi potrebbe non esserci più la possibilità della scelta.

Rebecca Zlotowski ha la dote della facilità narrativa nell’ambito di una storia non facile e si distingue per sensibilità e rigore, descrivendo il dramma di una donna che ha un potenziale enorme d’amore che non può riversare su un figlio proprio e per questo si mette a disposizione dei figli degli altri.

Ottima la scelta della lista dei brani che accompagnano la visione.


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Riconoscimenti

2023 - Premio Lumière

Miglior attrice a Virginie Efira

Candidatura a miglior film

Candidatura a miglior regia

Candidatura a migliore sceneggiatura



 
 
 

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Il Cinema secondo me,

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cinefilo da bambino

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