top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

I tre giorni del Condor (1975)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 19 mag 2021
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 15 mar 2024


I tre giorni del Condor

(Three Days of the Condor) USA 1975 spionaggio 1h57'


Regia: Sydney Pollack

Soggetto: James Grady (romanzo)

Sceneggiatura: Lorenzo Semple Jr., David Rayfiel

Fotografia: Owen Roizman

Montaggio: Don Giudice

Musiche: Dave Grusin

Scenografia: Stephen B. Grimes

Costumi: Joseph G. Aulisi


Robert Redford: Joseph Turner/Condor

Faye Dunaway: Kathy Hale

Cliff Robertson: Higgins

Max Von Sydow: Joubert

Addison Powell: Leonard Atwood

Walter McGinn: Sam Barber

Michael Kane: S.W. Wicks

John Houseman: Mr. Wabash

Tina Chen: Janice Chon


TRAMA: Misteriosi sicari irrompono in una sezione newyorkese della CIA e uccidono tutti gli impiegati. Grazie alla sua assenza si salva soltanto il Joseph Turner, nome in codice "Condor". Sapendo che la sua vita è in pericolo, obbliga una giovane donna, Kathy, pescata per strada, a dargli protezione nella sua casa. Grazie al proprio coraggio e alla propria abilità, Joe scopre che la strage dei suoi colleghi e la spietata caccia della quale è vittima hanno come movente un rapporto, scritto proprio da lui.


Voto 9

Chi lo poteva immaginare? Forse solo l’intuito di quel grande produttore che era Dino De Laurentiis, che in prima istanza aveva scelto come protagonista Warren Beatty, con Peter Yates alla regia, ma i tentennamenti del famoso attore portò a spostare l’attenzione su Robert Redford, il quale però chiese assolutamente la regia del sodale Sydney Pollack. De Laurentiis, pur di tenersi il divo del momento, elargì a Yates l’intero compenso dovuto (200 mila dollari), convinto che il volto di Redford li valesse tutti. L’attore era già il volto emblematico del cinema civile americano, portatore dei valori liberal sia nella vita che sullo schermo. Definito da tutti come un thriller crepuscolare, è ambientato in un novembre grigio e piovoso che ammanta un mondo confuso, compreso quello di Joseph Turner, giovane ricercatore assunto in un ufficio distaccato (e sotto copertura) della CIA, mascherato sotto la dicitura di “American Literary Historical Society” di Manhattan, dove ci si limita a leggere, di tutto: romanzi, racconti, pulp fiction, giornali, riviste, da ogni parte del mondo, per cercare di individuare codici, trame, complotti. Tutto sembra così quieto che si sfiora la monotonia.

Fino a quando, in un giorno che pareva uguale agli altri, Joe esce dalla porta sul retro per andare a comprare il pranzo e quando torna, pochi minuti dopo, tutti sono stati ammazzati, la segretaria freddata alla scrivania, il suo amico ucciso in bagno, la sua innamorata di origine asiatica eliminata vicino alla fotocopiatrice. È l’inizio della fuga, specialmente quando Joe intuisce, dopo una telefonata alla centrale con il suo nickname Condor, che è in grave pericolo di vita come gli altri. L’attitudine a leggere tanto lo ha addestrato a capire le insidie delle frasi udite e a imparare a depistare e nascondersi. Siamo nell’era post Watergate e il cinema statunitense sfornava titoli su titoli riguardanti la politica sporca e gli intrallazzi e l’atmosfera del film ne è densamente caratterizzata. Non ci si può fidare di nessuno, ragion per cui, con gli abiti che ha indosso rapisce in ostaggio una bellissima donna per ricavarne una tana momentanea, per riflettere e organizzarsi.

Faye Dunaway disse che “L’idea di essere rapita e malmenata da Robert Redford era tutt’altro che spaventosa”. Immagino che tante donne direbbero la medesima cosa. Il resto lo costruì una spettacolare sceneggiatura, quella di Lorenzo Semple Jr., David Rayfiel (il primo già autore di thriller importanti) e la magistrale regia di Sydney Pollack, che confezionò un personaggio che resta memorabile: solo Robert Redford potrebbe scappare per le strade di New York riuscendo a sembrare un modello da passerella con quella zazzera bionda che lo ha sempre caratterizzato. Il costumista Joseph G. Aulisi, poi, altrettanto genialmente, elevò a potenza l’innata eleganza dell’attore e l’erotica nonchalance con cui il suo solido fisico californiano si cala in ogni situazione, usando solo i pochi indumenti consentiti a un uomo in fuga per 72 ore: blazer a spina di pesce, cappotto col bavero alzato, jeans e occhiali Aviator. Un’icona!

Joe deve scappare ma vuol anche capire perché e da chi, mentre la tensione sale altissima, interrotta da un intermezzo amoroso che non ti aspetti. Il fuggitivo e la donna si guardano negli occhi, cominciano a fidarsi (mai troppo, da parte di lui), si confidano e con grande abilità registica seguiamo il loro processo di avvicinamento, sino alla notte d’amore. Kathy si fida di quegli occhi buoni, della sua lampante sincerità, anche se non capisce come sia reale ciò che le viene raccontato; Joe si innamora dello sguardo malinconico dell’altra e avverte il bisogno di qualche momento di protezione, fosse anche solo quella sentimentale. Potrebbero formare una bella coppia per sempre ma si lasceranno sul cancello di una stazione ferroviaria, in una scena bellissima di addio, parlandosi con gli occhi più che con le parole. Poi arriverà l’incontro finale con l’alto funzionario CIA, con inquadrature meravigliose della New York prenatalizia, in cui Joe crede di poter contrattare la sua posizione e Higgins lo smonta con la logica della spietatezza della politica energetica e internazionale. Pezzo di sceneggiatura che resta impresso nella memoria.

Higgins: "Il problema è economico. Oggi è il petrolio, tra dieci o quindici anni il cibo, plutonio, e forse anche prima. Che cosa pensi che la popolazione pretenderà da noi allora?"

Joe: "Chiediglielo."

Higgins: "Non adesso, allora! Devi chiederglielo quando la roba manca, quando d'inverno si gela e il petrolio è finito, chiediglielo quando le macchine si fermano, quando milioni di persone che hanno avuto sempre tutto cominciano ad avere fame. E vuoi sapere di più? La gente se ne frega che noi glielo chiediamo, vuole solo che noi provvediamo."

E quando Joe gli dice di aver raccontato tutto al “New York Times“, “Sei sicuro che lo stampano? Vai pure per la tua strada, ma dove vai se poi non lo stampano?

Joe si gira e ripete: “Lo stampano!

Sarà mai vero? Il film finisce qui, davanti alla sede del giornale, dove l’esercito della salvezza intona canti natalizi, con il fermo immagine della faccia di Robert Redford, sulla quale leggiamo tutto il dubbio e tutta la disillusione di un’epoca.

Nella mia classifica top assoluta di sempre, il massimo dello spionaggio e della tensione, con il Robert Redford perfetto come mai e Sydney Pollack che dirige con grande maestria. Tratto dal romanzo di James Grady 'I sei giorni del Condor', è un grandissimo film d'azione, sostenuto da una suspense di timbro hitchcockiano, con dialoghi che sono rimasti memorabili. Come memorabile è la figura del killer impersonato dall'ottimo Max Von Sydow, implacabile e disumano, uomo che lavora con chi lo assolda, imparziale professionista a pagamento, pronto a lavorare per la CIA o anche contro.


Perché non ti puoi fidare di nessuno!


Riconoscimenti

1976 – Premio Oscar

Candidatura al miglior montaggio

1976 – Golden Globe

Candidatura alla miglior attrice in un film drammatico a Faye Dunaway



 
 
 

Comments


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page