L'abbaglio (2025)
- michemar
- 4 mag
- Tempo di lettura: 6 min

L’abbaglio
Italia 2025 dramma storico 2h11’
Regia: Roberto Andò
Sceneggiatura: Roberto Andò, Ugo Chiti, Massimo Gaudioso
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Esmeralda Calabria
Musiche: Emanuele Bossi, Michele Braga
Scenografia: Giada Calabria
Costumi: Maria Rita Barbera
Toni Servillo: Vincenzo Giordano Orsini
Salvatore Ficarra: Domenico Tricò
Valentino Picone: Rosario Spitale
Tommaso Ragno: Giuseppe Garibaldi
Leonardo Maltese: tenente Ragusin
Giulia Andò: Assuntina
Pascal Greggory: Jean Luc Von Mechel
Andrea Gherpelli: veterano bergamasco
Daniele Gonciaruk: Nino Bixio
Aurora Quattrocchi: la madre che piange
Filippo Luna: sindaco di Sambuca
Giulia Lazzarini: Maddalena Orsini
TRAMA: Nel 1860 Giuseppe Garibaldi inizia da Quarto l’avventura dei Mille, circondato dall’entusiasmo di giovani idealisti giunti da tutte le regioni d’Italia. Con lui salpa il suo fedele gruppo di ufficiali, tra i quali si nota un profilo nuovo, quello del colonnello palermitano Vincenzo Giordano Orsini. Tra i tanti militi reclutati ci sono due siciliani, Domenico Tricò, contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale, di mestiere truffatore.
VOTO 6,5

A scuola tutti abbiamo studiato e tutti studieranno la Spedizione dei Mille, celebrata in tante piazze d’Italia con la iconica statua del grande generale a cavallo con la sua blusa rossa, la barba bianca e i lunghi capelli. Raccontata molte volte dal cinema, anche da autori impegnati come Martone, Roberto Andò, sulla scia del film precedente La stranezza, raccoglie parte dello stesso cast (Servillo, Ficarra, Picone, la figlia Giulia, la Quattrocchi) per rileggere quella grande avventura storica tanto importante per la nostra Storia tenendo assieme il troncone autentico riportato sui libri con una tangente da commedia. Da una parte l’austero colonnello Vincenzo Giordano Orsini (Toni Servillo) alla guida di un esercito un po’ scalcagnato ma determinato ed entusiasta, dall’altra due piccoli imbroglioni siciliani che, provenienti dal nord, approfittano delle navi che salpano dalla Liguria per poter tornare nella loro terra d’origine, la Sicilia. Sono due popolani personaggi che campano alla giornata: Domenico Tricò (Salvatore Ficarra) è uomo che con il piccolo gruzzolo guadagnato chissà come cerca di rendersi utile nella compagnia a cui si è unito per via della sua esperienza in fatto di esplosivi e polvere da sparo; Rosario Spitale (Valentino Picone) è un furfantello che non fa male a nessuno tranne che spillare soldi a giocatori di carte sprovveduti, essendo un baro di prim’ordine, sempre con un mazzo di carte al seguito per aprire una seduta di gioco.
Dato che ai due interessa poco, anzi nulla, dell’impresa dei Mille, alla prima occasione, cioè con lo sbarco a Marsala e le iniziali scaramucce con l’esercito borbone, disertano terrorizzati. Deluso che tale viltà sia stata mostrata da suoi conterranei, il palermitano Orsini ne strappa i nomi dal registro degli arruolati e non decreta alcuna azione punitiva nei loro confronti, ché sarebbe stato già troppo per la loro ininfluenza. Ai due soldati falliti, una volta fatta amicizia e creata una debole alleanza più che altro dettata dalla situazione ma poco fiduciosi l’uno dell’altro, capita di rifugiarsi in un convento dove conoscono la bella suora Assuntina. E di lì scaturiranno molte avventure, anche a causa del loro modo di errare e comportarsi in modo picaresco. Sono due furfantelli e, fin quando possono, restano comodamente (e con sotterfugi) nelle mura protettive del convento, ben trattati da tutte le suore, specialmente dalla giovane che li guarda con occhio particolare.
Se all’inizio la strada dei due si era incrociata solo per convenienza con quella del colonnello, dopo l’intervallo trascorso nel luogo monasteriale, da lì rovinosamente cacciati, inevitabile che si ritrovino casualmente davanti alle truppe garibaldine e al cospetto dell’irritato Orsini e da questo momento in poi i loro destini sono segnati a far parte per davvero della Spedizione, senza interrompere le loro divertenti vicissitudini. Insomma, mescolando Storia e immaginazione, Roberto Andò, sempre con la cooperazione con i consueti Ugo Chiti e Massimo Gaudioso, scrive una vicenda tra il serio e il faceto, tra la guerra e la disinvoltura di due imbroglioni paurosi, che conduce tutti a far tappa in alcuni paesini della Sicilia dove i Borboni guidati dal generale Jean Luc Von Mechel (Pascal Greggory) e la lobby mafiosa sempre presente – alleata con la nobiltà locale - ostacolano non poco l’avanzata, fino al punto di poter soccombere. Solo l’inventiva del generale Garibaldi di Tommaso Ragno (oggi non si muove un film senza di lui, in Italia) riesce ad escogitare un piano per spiazzare e ingannare gli avversari, molto più numerosi e preparati. E il condottiero entra così trionfante a Palermo. In questo frangente, come piace raccontare al Cinema, sono proprio i due cialtroni a trovarsi nella necessità, comoda o meno, di saper risolvere la situazione con una trovata degna della loro creatività.
Succede quindi che, per Orsini, i due picareschi birboni hanno trovato la soluzione che ha cambiato o almeno facilitato il corso della Storia e 20 anni dopo, una volta fatta e stabilizzata la nuova Italia, li va a cercare e li scopre in un ambiente dove non si sarebbe mai sognato e in compagnia di una donna impensabile. Solo adesso, nel finale, viene data la sospirata spiegazione del titolo del film, finalmente chiarito e non riferito alla delusione fornita in un primo momento dai due siciliani scappati ai primi spari, ma ad un concetto molto più importante e profondo. Infatti è proprio l’impresa di Garibaldi che ha costituito una illusione, un abbaglio in quanto incapace di portare tutto il popolo italiano a lottare onestamente per il proprio futuro. “Stiamo andando incontro ad un’epoca in cui a fare opinione saranno gli imbonitori” dice con pessimismo Orsini.
Siamo cioè più davanti ad una parabola che un resoconto storico: qui non ci si limita a rappresentare i fatti, ma si invita a riflettere sulle loro conseguenze nel presente, nel nostro turbolento presente dominato dai social, dai politici imbonitori che li utilizzano, dalle promesse mai mantenute. Di conseguenza, con il film, alternando momenti di leggerezza anche divertenti (i due comici sono bravissimi) a scene cariche di dramma, Roberto Andò esplora compromessi, dilemmi e contraddizioni di un’epoca di grandi cambiamenti, lasciando spazio a grandi interrogativi, domande che risuonano ancora oggi. Non si limita dunque a intrattenere, ma spinge lo spettatore a interrogarsi sui sacrifici e sugli accomodamenti che accompagnano ogni grande trasformazione. La grande ambizione, cioè l’abbaglio, del Risorgimento è stata la grande illusione franata dietro troppi compromessi come un tavolo da gioco, come il finale metaforico. Se la Storia è spesso un paradosso, lo è anche il film che mescola, quasi con la stessa solennità, la simpaticissima comicità di Ficarra e Picone, i quali riescono perfettamente a rappresentare le qualità obiettive dell’italiano medio: furbo, appassionato, generoso, opportunista, coraggioso (poco, ma quando serve), individualista, cinico, idealista. Proprio come sono nel prefinale Domenico e Rosario.
Sembra una favola ottocentesca avventurosa ed invece la Storia è sullo sfondo e ne permea l’andamento narrativo e se si vuole anche letterario, con i vaghi ma presenti riferimenti al Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in cui già si avverte il sentore di un abbaglio, dal momento che la storia siciliana in primis non sarebbe mai cambiata. Illudendo gli illusi e gli idealisti. La conclusione è amara e lo è perché vi si arriva dopo nobili e alti intenti. metaforiche sono anche le figure da un lato del colonnello e dall’altro i due furfantelli: Orsini è il personaggio dell’illusione, seppure nel senso migliore del termine, perché crede che questa muova il mondo, che le idee possano modificarlo. Dall’altra c’è lo scetticismo, il cinismo, l’aspetto disilluso di due siciliani che, in principio e per una buona parte del film, sembrano molto distanti da questa idea, da questa passione. La dialettica del film, il sangue, la contraddizione che lo muovono, sono giusto in questo contrasto.
Un attore importante e due comici. Toni Servillo è, come ben sappiamo, un attore che non cambia per il personaggio ma è questo che si adegua al suo modo di recitare. Servillo è sempre Servillo e anche qui non si piega e non parla con l’accento palermitano e indossa gli abiti di Orsini con la severità che necessita un personaggio che è un aristocratico che ha dentro di sé valori democratici come si intuisce chiaramente dalle sue affermazioni e riflessioni. Recitazione, secondo me, troppo rigida, scegliendo un registro che reprime le emozioni, ma che così coinvolge poco lo spettatore. Al contrario, Salvatore Ficarra e Valentino Picone piacciono molto e non sorprendono più, una volta scoperti attori in senso completo nel film precedente dello stesso regista e qui, per necessità, sono ancora più bravi, aggiungendo alla loro carica comica la malinconia di due persone che si arrabattano nella vita e che scelgono il sacrificio per salvare il loro passato. Anche se poi andrà per il meglio. Sono due eroi negativi solo apparentemente, tanto che il viaggio li cambierà. In meglio? Beh, non esageriamo, ma saranno utili. Piccoli eroi, si potrebbe azzardare. Fanno sorridere schernendo il destino. La loro presenza nella trama è un’invenzione per alleggerire il dramma storico e la disillusione seguitane fino ai nostri tempi. Apprezzata anche l’interpretazione di Leonardo Maltese (l’Ettore di Il signore delle formiche e l’Edgardo ragazzo di Rapito) nel ruolo del veneto tenentino, nobile d’animo, pieno di ideali e probo braccio destro del colonnello.
Roberto Andò continua così a raccontare storie minime inserite in quadri più complessi, qui rappresentati dall’impresa epica garibaldina, andando a inquadrare da vicino piccoli personaggi che altrimenti sono invisibili. Perché infatti, Orsini è il comandante ma, secondo questa trama, senza Domenico e Rosario non si sarebbe scritta la Storia.