Il ferroviere (1956)
- michemar

- 5 ott 2019
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 1 mag 2024

Il ferroviere Italia 1956 dramma 1h58'
Regia: Pietro Germi Sceneggiatura: Alfredo Giannetti, Luciano Vincenzoni, Pietro Germi Fotografia: Leonida Barboni Montaggio: Dolores Tamburini Musiche: Carlo Rustichelli Scenografia: Carlo Egidi Costumi: Mirella Morelli
Pietro Germi: Andrea Marcocci Luisa Della Noce: Sara Marcocci Sylva Koscina: Giulia Marcocci Saro Urzì: Gigi Liverani Carlo Giuffrè: Renato Borghi Renato Speziali: Marcello Marcocci Edoardo Nevola: Sandri Riccardo Garrone: amico di Marcello
TRAMA: Andrea Marcocci ha lavorato per tutta la vita nelle ferrovie, ma non ha mai fatto amicizia con i colleghi; in più i figli si dimostrano una delusione: il maschio infatti non vuole lavorare, mentre la ragazza continua ad avere relazioni extraconiugali. Andrea inizia a bere sempre di più fino a quando subisce un incidente ferroviario: in quel difficile frangente, i compagni di lavoro gli negano la solidarietà perché lui aveva lavorato durante uno sciopero.
Voto 7

È il film cui Pietro Germi era affezionato e in cui si riconosceva, "fatto per gente all'antica... col risvolto dei pantaloni". Nonostante i pochissimi limiti del film (sinceramente fa venire in mente il buonismo di De Amicis, o quello più pertinente di Frank Capra) e del suo moralismo ottocentesco, Germi riesce a sfuggire alla pericolosa trappola della retorica per merito di una efficace sceneggiatura, concentrata sugli attori, aprendo così la pellicola a quel neorealismo in cui il regista si trova a pieno agio, ma è sul suo viso che leggiamo tutta la tragedia di un uomo serio. Perché su quel volto duro, che fa fatica persino a sorridere, passa l’intera storia difficile di una famiglia che rischia di crollare, di affetti congelati dalla mancanza di comunicazione, di un’umanità illusa senza amicizie sincere, mentre il sentire unitario che può derivare dalla coesione sindacale è ancora da venire. Andrea Marcocci, in fondo, è un uomo solo, in testa al treno, in famiglia o peggio in osteria davanti alla bottiglia consolatrice.

Gli errori gravissimi sul posto di lavoro, il distacco silenzioso di chi riteneva amico affidabile, le tribolazioni familiari, il carattere duro e scontroso (non distante da quello privato del regista-attore) e la disattenzione dovuta alle preoccupazioni che si portava dentro sono le varie cause che trascinano verso il fondo il personaggio di Andrea Marcocci. In questa spirale negativa lo spettatore assiste impotente e partecipato, perché la regia e l’interpretazione di tutto il cast sono emotivamente veicolate e se ne rimane coinvolti in maniera inevitabile.

Il grande merito della pellicola rimane sicuramente il fatto di aver saputo esporre uno spaccato della vita proletaria scevra dal facile macchiettismo del cinema di quel periodo, disegnando con grande efficacia personaggi minori recitati in maniera commovente da attori che non dimentichiamo: Saro Urzì, Sylva Koscina, Carlo Giuffré, il piccolo Edoardo Nevola.


Ma il pilastro è lui, Pietro Germi, che con questo film raddrizzò una carriera che stava scivolando verso l’anonimato. Dopo qualche anno infatti, 1963, arrivò addirittura l’Oscar per la sceneggiatura per Divorzio all’italiana, assieme ai successi di Signore & signori, Sedotta e abbandonata, Un maledetto imbroglio e la sceneggiatura di Amici miei.
Riconoscimenti
1957 - Nastro d'Argento
Miglior regia






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