Il Padrino (1972)
- michemar

- 10 mar 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 7 ago

Il padrino
(The Godfather) USA 1972 gangster 2h55’
Regia: Francis Ford Coppola
Soggetto: Mario Puzo (romanzo)
Sceneggiatura: Mario Puzo, Francis Ford Coppola
Fotografia: Gordon Willis
Montaggio: William Reynolds, Peter Zinner
Musiche: Nino Rota
Scenografia: Dean Tavoularis
Costumi: Anna Hill Johnstone
Marlon Brando: don Vito Corleone
Al Pacino: Michael Corleone
James Caan: Santino Corleone
Richard S. Castellano: Peter Clemenza
Robert Duvall: Tom Hagen
Sterling Hayden: Mark McCluskey
John Marley: Jack Woltz
Richard Conte: Emilio Barrese
Al Lettieri: Virgil Sollozzo
Diane Keaton: Kay Adams
Abe Vigoda: Salvatore Tessio
Talia Shire: Constanzia Corleone
Gianni Russo: Carlo Rizzi
John Cazale: Fredo Corleone
Corrado Gaipa: Don Tommasino
Angelo Infanti: Fabrizio
Franco Citti: Calò
Rudy Bond: Carmine Cuneo
Al Martino: Johnny Fontane
Morgana King: Carmela Corleone
Lenny Montana: Luca Brasi
John Martino: Paulie Gatto
Salvatore Corsitto: Amerigo Bonasera
Richard Bright: Al Neri
Joe Spinell: Willy Cicci
TRAMA: Il giorno delle nozze della figlia Connie Don Vito Corleone riceve in udienza tutti coloro che hanno lamentele o richieste da fare: richieste che il padrino è abituato a soddisfare con l'intimidazione e la violenza. Ma il vero problema per Don Vito è il dissidio con la famiglia Tartaglia su questioni di droga. Sarà il figlio Michael, prima a salvarlo da un attentato, poi a fare vendetta.
Voto 10

Michael (Al Pacino), il figlio più giovane del boss mafioso Vito Corleone (Marlon Brando), ritorna dalla guerra estraneo alle attività della famiglia. Quando però don Vito viene ferito, Michael si incarica della cruenta vendetta legandosi indissolubilmente hai valori del sangue e dell'onore nella lotta per il mantenimento del potere dei Corleone ed erediterà la carica del padre escludendo dalla propria vita e sottomettendo la moglie americana Kay (Diane Keaton). Ora è lui il padrino.

Raramente si può dire che un film abbia potuto definire da solo un genere, ma mai questo concetto è più vero per questo capolavoro. Ne è dimostrazione il fatto che, dall'uscita del 1972 (ottenendo dieci nominations agli Oscar e vincendone tre, tra cui miglior film), tutti i seguenti nei decenni che trattavano il gangster sono sempre stati giudicati secondo lo standard di questo, per quanto ingiusto possa essere il confronto. Se ci facciamo caso, se un film parla di mafiosi ebrei è un “padrino ebreo”, se si tratta della malavita cinese è un “padrino orientale”, se si svolge in tempi contemporanei, è un “padrino moderno”. Gli aspetti che lo determinano come il più grande di tutti i tempi sono davvero tanti. Per citarne solo alcuni, se fosse stato solo un film sui mafiosi armati di pistola, non avrebbe mai ottenuto così tanti riconoscimenti; la caratteristica che distingue questo film da molti dei suoi predecessori e successori è la capacità di intrecciare gli strati spesso disparati della storia in un insieme coeso. Infatti, tutti i singoli temi esplorati sono tanto forti e completi che ognuno di loro potrebbe essere la base di un singolo film, che qui, invece, sono trattati con tanti altri temi complementari a cui ciascuno viene data ulteriore risonanza. Insomma, il quadro complessivo è una serie di mini piani narrativi (climax, come ama chiamarli la critica giornalistica), tutti costruiti fino alla devastante, definitiva conclusione. Raramente un film come questo racconta tante storie diverse ma interconnesse, magnificamente strutturato dalle ottime interpretazioni, una regia solida e una sceneggiatura serrata, tutti elementi che contribuirono al successo planetario e universalmente riconosciuto, realizzato con cura e meticolosità. Ogni personaggio principale - e non pochi minori - è modellato su un individuo distinto e complesso, senza che Coppola si sia fatto mai venire in mente di seguire gli stereotipi che fino ad allora erano maggiormente di moda nel cinema.

Il film si apre nello studio di don Vito Corleone, il Padrino, che tiene la corte. L’occasione è solenne: il matrimonio di sua figlia Connie (Talia Shire), e nessun siciliano può rifiutare l’invito per quel giorno. Così arrivano i supplicanti, ognuno vuole qualcosa di diverso: vendetta, un marito per la figlia, una parte in un film. La famiglia si è riunita per l'evento. Michael, il figlio minore di don Vito e un eroe della Seconda guerra mondiale, è tornato a casa in compagnia di una nuova fidanzata. Anche i due ragazzi più grandi, Sonny (James Caan) e Fredo (John Cazale), sono lì, insieme al loro fratello adottivo, Tom Hagen (Robert Duvall), il braccio destro del don. Con la fine della guerra, i tempi stanno cambiando e per quanto don Vito sembri avere il controllo degli affari e della “famiglia”, il suo potere sta iniziando a erodersi. Secondo il parere di alcuni, le sue opinioni sull'importanza della famiglia, della lealtà e del rispetto sono antiquate, fuori moda. Anche il suo erede apparente, Sonny, non è d'accordo con il suo rifiuto di entrare nel business della droga. Il gioco d'azzardo e l'alcol sono forze del passato e del presente e secondo la mentalità montante i narcotici sono il futuro. Ma don Vito non ha intenzione di giungere a compromessi, anche quando un potente fornitore di droga di nome Sollozzo (Al Lettieri) arriva con promesse di alti profitti per coloro che lo sostengono. Il rifiuto di don Vito di fare affari con quest’uomo fa scattare le prime scintille di una guerra che durerà per anni e costerà molte vite. Ognuna delle cinque principali famiglie mafiose di New York sarà travolta dallo spargimento di sangue e un nuovo ordine emergerà. Ci saranno tradimenti e la famiglia Corleone sarà scossa alle sue radici da quelli sia interni che esterni.

Il Corleone con più tempo sullo schermo è Michael (è quindi strano che Al Pacino abbia ricevuto una nomination come miglior attore non protagonista, tanto da non presentarsi per protesta alla cerimonia dei premi), e la sua storia, a causa della sua portata e ampiezza, è marginalmente dominante. La sua trasformazione da parente e futuro padrino tentennante a manipolatore centrale è roba da tragedia shakespeariana. Alla fine, quest'uomo che affermava di essere diverso dal resto della sua famiglia diventerà più spietato di quanto don Vito non sia mai stato. Personalmente, ritengo che questo ruolo magnificamente interpretato da Al Pacino è ingiustamente sottovalutato rispetto ad altri importanti ruoli (pur sempre memorabili) che ha saputo esaltare in Serpico, Un pomeriggio di un giorno da cani, Scarface, Profumo di donna e tanti altri innumerevoli. Anche per merito della splendida sceneggiatura, scritta dal regista e dall’autore del romanzo. Il “nano” (come venne inizialmente definito sul set, dato che il personaggio stava andando a finire sulle spalle di Robert Redford) aveva dimostrato di essere un metro e 68 di energia compressa e pronta a esplodere, un corpo incandescente capace di comunicare con pochi, misurati gesti ed espressioni, ma che travolgeva qualsiasi comprimario in scena. Ma non si può parlare di protagonisti senza fare il riferimento assoluto degli attori del film: Marlon Brando (forse il più grande di tutti i tempi, difficile fare classifiche). Il don Vito del premio Oscar potrebbe essere il personaggio più imitato nella storia dello schermo. La frase “Gli farò un'offerta che non può rifiutare” ha raggiunto uno status leggendario, così come l'intera performance. Con la sua voce roca, i movimenti deliberati e lo sguardo penetrante, egli creò un personaggio che sarà ricordato per tutto il tempo in cui esisterà il cinema. Don Vito è un gangster molto complicato. Nelle sue stesse parole, non è un assassino e non mescola mai affari con questioni personali. Mette la famiglia al primo posto (“Un uomo che non trascorre del tempo con la sua famiglia non potrà mai essere un vero uomo”) e disprezza le manifestazioni di debolezza. Capisce il peso del potere e la sua simpatia senza parole per Michael quando sarà costretto ad assumere il comando, è uno dei momenti più rivelatori. Indimenticabile la scena in ospedale quando assume le decisioni importanti per salvare il padre, passando all’azione e prendendo il timone della famiglia.
Il film ha avuto anche tre candidature come miglior attore non protagonista, tutti meritati. Il primo è stato Pacino (che probabilmente avrebbe dovuto essere appunto nominato insieme a Brando nella categoria miglior attore) e gli altri due furono James Caan e Robert Duvall, quest’ultimo certamente la vera sorpresa. La sua presenza non è appariscente e né cattura particolarmente l'attenzione, ma la sua figura di braccio destro, di uomo di estrema fiducia, il “consigliori”, il suo Tom Hagen è costante, affidabile e rimane sullo sfondo, nell’ombra, sempre pronto a farsi sentire senza mai essere invadente o petulante. Non è così per il Sonny di Caan, la cui personalità è dirompente, che agisce d’impulso senza riflettere, dimostrativa anche di attaccamento. Ma ciò che agisce veramente alla base del clan è la responsabilità familiare, e poi, in seguito, l'eredità di un padre, la necessità di guadagnarsi rispetto, l'influenza corruttrice del potere. Sono questi alcuni degli ingredienti combinati nella ricetta cinematografica di Francis Ford Coppola. E sebbene i temi presentati siano di portata universale, i personaggi e l'ambientazione sono decisamente etnici. Come negare che ancora oggi c'è uno strano romanticismo associato alle famiglie criminali italiane di New York? La parola mafia evoca immagini sinistre e misteriose (scene del tipo in cui Luca Brasi incontra il suo destino) e Francis Ford Coppola ha sfruttato questo fascino e lo ha tessuto come un altro elemento dei tanti che rendono il suo film un'esperienza avvincente.
Il film è lungo, sì, ma sono 175 minuti ben spesi e quando scorrono i titoli di coda, quando solo una parte della storia è stata raccontata, il finale inquietante apre la porta al sequel, unita alla triste e bellissima colonna sonora di Nino Rota. La grande enorme opera di Francis Ford Coppola trionfò ovunque diventando oggetto di innumerevoli imitazioni. Il regista, che firma la sceneggiatura con Mario Puzo, ha creato un'opera epica sui gangster, sulla cultura patriarcale e sulla stessa America. Le accuse iniziali di diffamazione da parte della comunità italoamericana vennero spazzate via dallo strepitoso successo del film, di cui si raccontano una miriade di aneddoti, tra cui Brando che si gonfia le guance con dei cuscinetti di lattice, la neonata per la scena del battesimo che è Sofia Coppola. Con il suo stile autorevole, Coppola getta le basi del grande cinema americano degli anni 70. Una regia coraggiosa, viscerale, con tanti episodi entrati nel mito: la testa del cavallo nel letto, il massacro di Sonny, il banchetto nuziale all'aperto, gli incontri di don Vito a porte chiuse e lo splendido finale, che racchiude in contemporanea un gigantesco regolamento di conti e l'investitura ufficiale del nuovo padrino. Il film è al tempo stesso classico, pulp, noir, dramma sociale.
Capolavoro!

Riconoscimenti
Premio Oscar 1973
Miglior film
Miglior attore protagonista a Marlon Brando
Migliore sceneggiatura non originale
Candidatura migliore regia
Candidatura miglior attore non protagonista a James Caan
Candidatura miglior attore non protagonista a Robert Duvall
Candidatura miglior attore non protagonista ad Al Pacino
Candidatura migliori costumi
Candidatura miglior montaggio
Candidatura miglior sonoro
Golden Globe 1973
Miglior film drammatico
Migliore regia
Miglior attore in un film drammatico a Marlon Brando
Migliore sceneggiatura
Miglior colonna sonora originale
Candidato miglior attore in un film drammatico ad Al Pacino
Candidato miglior attore non protagonista a James Caan















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