Il ponte sul fiume Kwai (1957)
- michemar

- 26 set
- Tempo di lettura: 4 min

Il ponte sul fiume Kwai
(The Bridge on the River Kwai) UK 1957 guerra 2h41’
Regia: David Lean
Soggetto: Pierre Boulle (romanzo)
Sceneggiatura: Carl Foreman, Michael Wilson (non accreditati)
Fotografia: Jack Hildyard
Montaggio: Peter Taylor
Musiche: Malcolm Arnold
Scenografia: Donald M. Ashton
Costumi: John Wilson-Apperson
Alec Guinness: col. Nicholson
Sessue Hayakawa: col. Saito
William Holden: Shears
Jack Hawkins: magg. Warden
James Donald: magg. medico Clipton
Geoffrey Horne: sten. Joyce
Peter Williams: cap. Reeves
André Morell: col. Green
John Boxer: magg. Hughes
Percy Herbert: Grogan
Harold Goodwin: Baker
TRAMA: Un colonnello britannico guida i suoi uomini nella costruzione di un ponte ferroviario durante la prigionia in mano giapponese.
VOTO 8

Nella giungla birmana alcuni ufficiali e soldati inglesi sono prigionieri dei giapponesi. Questi ultimi impongono agli inglesi di costruire un ponte, essenziale per i loro trasporti di guerra. I prigionieri si rifiutano di farlo. Ma in un secondo tempo, il colonnello degli inglesi Nicholson (Alec Guinness), per dimostrare la superiorità del proprio esercito, decide mettere al lavoro i suoi soldati per la costruzione di un’opera imponente, mettendosi per così dire in competizione con gli avversari in una specie di paradossale fanatismo patriottico.

È un film di guerra che non parla tanto di battaglie e combattimenti quanto della follia che circonda quegli eventi. Tutti i tipi di follia sono in mostra: quella di un comandante che definisce la collaborazione con il nemico non come tradimento, ma come onorevole; quella di un soldato che accetta una missione suicida; quella di una lotta che umilia l’umanità e costringe gli uomini a scelte dure, inspiegabili.

Il film è ambientato nel 1943, in un campo di prigionia giapponese in Birmania. I soldati alleati (principalmente britannici) che vengono portati qui dovrebbero lavorare per i giapponesi per costruire un ponte sul Kwai, che rappresenta uno strumento fondamentale per una ferrovia progettata per collegare la Malesia con Rangoon. Ci si aspetta che tutti svolgano lavori manuali, sia i soldati che gli ufficiali. O almeno così pensa il colonnello Saito (Sessue Hayakawa).

Invece il comandante britannico, un soldato della vecchia scuola, non è d’accordo, facendo notare all’ufficiale nemico che far svolgere agli alti in grado compiti manuali è proibito dalla Convenzione di Ginevra e per questo viene punito fino a quando il nemico capisce che ha assolutamente bisogno del suo aiuto. L’altro personaggio importante è il maggiore Shears (William Holden), un americano fuggito dal campo che si pone l’obiettivo, con l’aiuto di un commando, di far saltare il ponte.

C’è qualcosa di disturbante e magnetico nel modo in cui il film di David Lean trasforma l’atto del costruire in un gesto di alienazione. Il ponte non è solo un manufatto ingegneristico, ma un totem di orgoglio, disciplina e cecità. La sua struttura diventa un monumento all’ambiguità morale: chi lo costruisce lo fa per affermare la propria identità, ma finisce per servire il nemico. È il trionfo dell’etica professionale svuotata di senso, dove il dovere diventa più importante della verità.

Il colonnello Nicholson è uno dei ritratti più inquietanti della storia del cinema: non un villain, ma un uomo che ha interiorizzato il codice militare fino a renderlo una religione. La sua ossessione per la disciplina e la forma lo rende cieco alla sostanza. In lui, il rigore diventa una forma di vanità mascherata da virtù. È il volto tragico dell’Occidente che si perde nel formalismo, dimenticando il fine ultimo della propria azione. Il finale non è solo un’esplosione: è un risveglio. Il momento in cui la struttura crolla è anche quello in cui il sistema dei valori implode ed è anche quello di chi si accorge troppo tardi di aver servito un’idea sbagliata con assoluta dedizione.


David Lean dirige con una precisione chirurgica, ma sotto la superficie classica pulsa un’anima sovversiva: il film si finge epico per smascherare l’epica stessa. È una trappola narrativa che seduce con la forma per colpire con il contenuto. In questo senso, è cinema che costruisce un ponte solo per farlo saltare. Memorabile il motivo fischiettato dai prigionieri di guerra (Colonel Bogey March) mentre entrano nel campo. Eccellente la fotografia.


Grandioso film che fa parte dell’elenco delle grandi pellicole di David Lean. Da tener presente che sia il libro che il film sono quasi del tutto frutto di fantasia, ma usano la costruzione della Burma Railway, avvenuta tra il 1942 e il 1943, come riferimento storico. Inoltre, ufficialmente lo sceneggiatore fu considerato l’autore del romanzo, che era francese e non parlava inglese, ma i veri scrittori della sceneggiatura, Carl Foreman e Michael Wilson, erano due nomi iscritti nella lista nera anticomunista di quegli anni difficili per i non allineati. E i premi, infatti, andarono al romanziere, che poco aveva contribuito alla stesura del copione.


Riconoscimenti
Oscar 1958
Miglior film
Migliore regia
Miglior attore protagonista a Alec Guinness
Miglior sceneggiatura non originale
Miglior fotografia
Miglior montaggio
Miglior colonna sonora
Candidatura miglior attore non protagonista a Sessue Hayakawa
Golden Globe 1958
Miglior film drammatico
Migliore regia
Miglior attore in un film drammatico a Alec Guinness
Candidatura miglior attore non protagonista a Sessue Hayakawa
BAFTA 1957
Miglior film
Miglior film britannico
Miglior attore protagonista a Alec Guinness
Migliore sceneggiatura
David di Donatello 1958
Miglior produttore straniero





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