In nome della legge (1949)
- michemar

- 24 mag
- Tempo di lettura: 3 min

In nome della legge
Italia 1949 dramma 1h40’
Regia: Pietro Germi
Soggetto: Giuseppe Guido Lo Schiavo (romanzo autobiografico “Piccola pretura”)
Sceneggiatura: Mario Monicelli, Federico Fellini, Tullio Pinelli, Giuseppe Mangione, Pietro Germi, Aldo Bizzarri
Fotografia: Leonida Barboni
Montaggio: Rolando Benedetti
Musiche: Carlo Rustichelli
Scenografia: Gino Morici
Massimo Girotti: Guido Schiavi
Jone Salinas: Teresa Lo Vasto
Camillo Mastrocinque: barone Lo Vasto
Charles Vanel: Turi Passalacqua
Saro Urzì: maresciallo Grifò
Turi Pandolfini: don Fifì
Peppino Spadaro: avvocato Faraglia
Saro Arcidiacono: cancelliere
Ignazio Balsamo: Francesco Messana
Nanda De Santis: Lorenzina
Bernardo Indelicato: Paolino
Nadia Niver: Bastianella
Alfio Macrì: Leopoldo Pappalardo
Carmelo Olivieri: don Peppino
TRAMA: Un giovane magistrato è inviato come pretore in un paese nel centro della Sicilia. Per far rispettare la legge dovrà scontrarsi con la mafia, l’omertà e l’ostilità di una parte della popolazione.
VOTO 8

Ho sempre pensato che la regia nel cinema non si debba limitare ai movimenti di macchina o contribuire al montaggio tecnico: dirigere significa anche prendere per mano gli attori, ovvero posizionarli correttamente nell’inquadratura, farli muovere nella maniera giusta e altre cose simili. Pietro Germi è un esempio significativo. Spesso, proprio per questo, si osservano attori recitare in modo eccellente, dai protagonisti ai ruoli secondari, mantenendo una costante intensità.
Il film di Germi è ambientato in una Sicilia che sembra seguire le logiche raffinate e mitologiche di una storia da Far West anziché quella di un film poliziesco. Tutti gli archetipi del western sono presenti, compresa la minaccia selvaggia e fisica che raramente appare direttamente nell’inquadratura ma è sempre percepibile. Anche quando gli omicidi vengono mostrati sullo schermo, i colpi sono spesso fuori campo, creando l’impressione che possano provenire da qualsiasi luogo e in qualsiasi momento.
La storia racconta di Guido Schiavi, un giovane magistrato di Palermo, che viene inviato come pretore a Capodarso (che corrisponde nella realtà a Barrafranca, in provincia di Enna) e che, per amore della giustizia e della legalità, si trova costretto a combattere contro varie ingiustizie sociali. Il suo zelo lo porterà a scontrarsi con un notabile, il barone Lo Vasto e contro la mafia, rappresentata dal massaro Turi Passalacqua e dai suoi uomini. Tutto ciò contornato da una realtà omertosa e fortemente diffidente che non fa che ostacolare il suo lavoro. Solo contro tutti, appoggiato unicamente dal maresciallo Grifò, comandante della locale stazione dei carabinieri, e dal giovane amico Paolino (la cui barbara uccisione lo convincerà a rinunciare alle dimissioni appena presentate), condurrà fino alla fine la sua battaglia che consiste non solo nell’applicare la legge ma anche nell’insegnarne il valore.
Il grande regista sceglie di raffigurare questa minaccia permanente attraverso gli attori: gli sguardi giocano un ruolo fondamentale nella creazione di una tensione palpabile. Essi utilizzano lo sguardo per misurare il proprio avversario, affrontarlo o cercare intimità. Anche nei ruoli secondari, i giochi di sguardi contribuiscono a creare un’atmosfera pesante e minacciosa. Ad esempio, quando un boss mafioso sospetta la moglie del barone di doppio gioco, uno sguardo rapido comunica subito al pubblico i suoi sospetti. Questi brevi sguardi servono anche a punteggiare una scena, aggiungendo informazioni senza bisogno di dialoghi espliciti.
Recitare al cinema, come a teatro, comporta un’illusione ben orchestrata che consente agli attori di trasmettere molte più informazioni rispetto a un’interpretazione naturalistica. La performance dovrebbe coinvolgere il pubblico, evitando di apparire semplicemente reale. Gli attori che credono di poter dimostrare la loro naturalezza spesso sottovalutano il potere dell’evocazione espressiva. Un approccio distaccato può essere utile, ma deve essere intenzionale e ben gestito dal regista, che deve trovare la formula giusta e convincere il pubblico della sua efficacia. Tanto per spiegarsi meglio, è interessante e curiosa una delle tante leggende che riguardano Hitchcock, il quale, pare, sosteneva la teoria secondo cui l’intensità degli sguardi tra persone innamorate è quasi identica a quella… tra chi si sente minacciato o sta valutando un avversario.
Il film viene classicamente associato al neorealismo dai critici (d’altronde Germi ne fu un importante esponente), soprattutto per le ambientazioni naturali e alcuni attori dilettanti. Tuttavia, il film dà sempre l’impressione di essere più vicino al genere western e alla tragedia. Germi orchestra magnificamente ma se si legge la lista fantastica degli sceneggiatori si trasecola per la meraviglia: sono presenti quasi tutti i migliori di quel periodo: Mario Monicelli, Federico Fellini, Tullio Pinelli, Giuseppe Mangione, Pietro Germi, Aldo Bizzarri.
Che bravi Massimo Girotti e Saro Urzì!
Tratto dal romanzo autobiografico Piccola pretura del magistrato Giuseppe Guido Lo Schiavo è stato girato nella cittadina di Sciacca, in provincia di Agrigento.

Riconoscimenti
Nastri d’Argento 1949
Migliore attore protagonista a Massimo Girotti
Migliore attore non protagonista a Saro Urzì
Premio speciale a Pietro Germi





























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