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L’afide e la formica (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 22 lug
  • Tempo di lettura: 2 min
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L’afide e la formica

Italia 2021 dramma 1h39’

 

Regia: Mario Vitale

Sceneggiatura: Mario Vitale, Francesco Governa, Josella Porto, Saverio Tavano

Fotografia: Corrado Serri

Montaggio: Filippo Maria Montemurro

Musiche: Francesco Strangis

Scenografia: Gianluca Salamone

Costumi: Giuseppe Ricciardi

 

Giuseppe Fiorello: Michele Scimone

Cristina Parku: Fatima

Alessio Praticò: Nicola

Valentina Lodovini: Anna

Anna Maria De Luca: Concetta

Nadia Kibout: Amina

Francesca Crapis: Raja

Ettore Signorelli: Ettore

 

TRAMA: Quando un ex maratoneta calabrese viene colpito dalla determinazione e dalla vitalità di un’adolescente musulmana, decide di portarla alla vittoria più importante di tutte, la corsa della vita.

 

VOTO 5,5


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Fatima (Cristina Parku) ha 16 anni e indossa il velo. La sua cultura lo prevede, e sua madre Amina glielo impone. Nata in Calabria da genitori musulmani, la ragazza vive tutti i conflitti e le emozioni tipiche della sua età, ma sente di non essere come i suoi coetanei: è chiusa nella sua solitudine, costantemente fuori posto. Finché un giorno l’insegnante di educazione fisica, Michele Scimone (Giuseppe Fiorello), non propone ai suoi studenti di iscriversi alla Maratona di Sant’Antonio.


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Per Fatima è la prima vera opportunità da cogliere, ma per l’insegnante, ex corridore schivo e depresso, tormentato da un passato irrisolto e da una relazione fallita con Anna (Valentina Lodovini), il velo che Fatima indossa è motivo di pregiudizio. Sarà l’inizio di un rapporto che cambierà le loro vite, mentre la corsa riuscirà a renderli entrambi liberi.


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Mario Vitale, giovane regista più che altro di corti (strumento molto utilizzato per iniziare e farsi conoscere) e di film per la TV, gira questa favola buonista per giunta politicamente molto corretta che disegna il disagio degli adolescenti che rappresentano la seconda generazione delle famiglie immigrate. Ma racconta anche altro e, oltre ad essere un coming of age, il film è anche un dramma esistenziale del professore protagonista, abbandonato dalla donna e in difficoltà con i suoi studenti.


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In buona sostanza sono due persone nel limbo: una soffocata tra il Paese d’origine e l’Italia e quindi con le tradizioni da rispettare diverse dai locali, l’altro in fase depressiva che trova però un obiettivo nella sua vita aiutando questa ragazza che diventa per lui quasi un’epifania benvenuta, che ha bisogno, bisogno anche di uno come lui. È un’opportunità per entrambi. Persone, cioè, che possono, tramite i compiti diversi che hanno, riscattarsi con lo sport. Che è sempre maestro di vita.


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Ovviamente non c’è nulla di speciale e da attendersi da parte del regista qui all’esordio nel lungo e che dimostra ancora la mancanza di esperienza, ma ci si può accontentare di un prodotto che è più televisivo che classicamente cinematografico. Al limite, dato il contenuto, lo si può ritenere formativo ed educativo. Sul secondo aggettivo ho qualche dubbio, leggendo le cronache a proposito degli insulti ai nuovi italiani che rappresentano il nostro sport in generale.


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“Io non lo so chi sono. Non so se sono italiana o sono marocchina. Perché non posso fare mai quello che voglio. Io so solo che voglio essere come tutti gli altri.”

La frase si commenta da sé.

Diversi premi ottenuti nei vari piccoli festival sparsi per la penisola.



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michemar

cinefilo da bambino

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