L’ordine delle cose (2017)
- michemar

- 22 apr
- Tempo di lettura: 5 min

L’ordine delle cose
Italia/Francia 2017 dramma 1h55’
Regia: Andrea Segre
Sceneggiatura: Marco Pettenello, Andrea Segre
Fotografia: Valerio Azzali
Montaggio: Benni Atria
Musiche: Sergio Marchesini
Scenografia: Leonardo Scarpa
Costumi: Silvia Nebiolo
Paolo Pierobon: Corrado Rinaldi
Giuseppe Battiston: Luigi Coiazzi
Valentina Carnelutti: Cristina
Olivier Rabourdin: Gérard
Fabrizio Ferracane: Terranova
Yusra Warsama: Swada
Roberto Citran: Grigoletto
Fausto Russo Alesi: ministro
Hossein Taheri: Mustafa Abdelladib
TRAMA: Corrado, un poliziotto dell’unità operativa europea deputata al controllo dell’immigrazione, si trova in Libia per svolgere il suo lavoro sul campo. Durante un’ispezione ai centri libici, ha modo di venire in contatto con una migrante somala.
VOTO 6,5

Corrado Rinaldi (Paolo Pierobon) è un superpoliziotto molto professionale, preciso, stimato negli ambienti ministeriali per la qualità del lavoro che svolge. Ordinato in modo maniacale, lo si nota per la precisione con cui sistema sul letto degli alberghi, che frequenta per le sue missioni, gli abiti da indossare il giorno seguente, spostati anche di millimetri secondo lo schema mentale che lo guida. È la stessa accuratezza che applica nel disporre le boccettine di sabbia africana che raccoglie nei vari luoghi in cui si reca, con tanto di etichetta, a seconda della tonalità di colore. Granelli che coglie scegliendo con cura nel vetro che in camera avvolge con zelo nei tovaglioli dell’hotel, soddisfatto. Cose, oggetti, cibi (tipo i datteri con mascarpone) che, legalmente o meno, lui e io colleghi anche stranieri fanno viaggiare dalla Libia in patria e viceversa. Per i pappagallini diventa difficile e vengono sequestrati. Le persone no, a quelle non è permesso viaggiare, espatriare, anzi migrare. No, a loro è vietato, anche se spinti dalla disperazione, dalla fame, dalle guerre civili. Per questi, il governo italiano e l’Europa monitorano i flussi che attraversano sui barchini il Mediterraneo meridionale mediante sofisticate apparecchiature satellitari che controllano le partenze. Siccome il fenomeno migratorio sta fornendo numeri preoccupanti alla nostra politica, preoccupata dai sondaggi, Rinaldi deve muoversi ufficialmente ma segretamente per trattare con i libici.
Le cose in ordine e l’ordine delle cose. Due concetti non equivalenti, perlomeno in questo contesto. Il primo è ciò che osserviamo nel comportamento del protagonista, il secondo è l’idea programmatica di base della politica governativa secondo cui il piano per bloccare gli sbarchi sulle coste meridionali italiane deve essere attuato senza indugi, con accordi – essenzialmente a pagamento – non tanto con i governi oltremare quanto con i capetti militari e paramilitari che spadroneggiano la regione del Maghreb.
È questo lo scopo della missione che Rinaldi riceve dal Ministero degli Interni, tramite l’alto funzionario Grigoletto (Roberto Citran). I soldati libici, anche con accordi con Tunisi, devono intercettare le barche che salpano su segnalazione dei nostri Servizi e riportare i migranti nei loro famigerati hotspot, che sono dei veri campi lager, pieni di uomini e donne ammassati in stanzoni maleodoranti. Picchiati, strettamente sorvegliati, alcuni ammanettati, mentre altri definiti “malati” muoiono e restano su tavolacci nei corridoi delle celle. L’ordine delle cose è stabilito a Roma, concordemente con altri paesi europei (vedi la presenza del francese Gérard, interpretato da Olivier Rabourdin), e il punto d’appoggio sarà Luigi Coiazzi (Giuseppe Battiston), funzionario presso l’ambasciata italiana in Libia, esperto della regione.
Tanto è preciso ed ordinato Rinaldi persino nei baffetti curatissimi, tanto è pragmatico e accomodante Coiazzi, ormai assuefatto al cibo, alle tradizioni e all’andazzo della vita nordafricana. Pur se si è ampiamente ambientato, ha tanta nostalgia dei colori dell’Italia, essendo stufo della monotonia cromatica di quel posto. Dice che “Catania è nera, Siracusa è gialla, Udine bianca, Bologna rossa, Modena gialla. Qui, invece, è tutto irrimediabilmente beige. I muri, le strade, la sabbia, perfino io.” Come la sabbia che puntualmente raccoglie Corrado. E porta a casa, deportando indietro, nel frattempo, i disperati.
La missione di Rinaldi è molto complessa, si sa, ed è per questo che il ministro (Fausto Russo Alesi) chiama lui, lo specialista affidabile. La Libia post-Gheddafi è attraversata da profonde tensioni interne e mettere insieme quella realtà con gli interessi italiani ed europei sembra impossibile. Corrado, insieme a colleghi italiani e francesi, si muove tra stanze del potere, porti e centri di detenzione per migranti, boss in divisa. È refrattario all’ambiente e sa bene che una delle principali regole di autodifesa di chi lavora al contrasto dell’immigrazione è non entrare mai in contatto con la singola persona trattenuta, essendo solo un numero come i tantissimi altri. Ma Corrado commette l’errore: incontra Swada, una donna somala che sta cercando di scappare per attraversare il mare e raggiungere il marito in Finlandia. Complice un collegamento Skype, ha modo di parlarle e scatta in lui una nuova sensazione, quella di aiutarla, addirittura. Si interessa, cerca sponda con il suo autista Terranova (Fabrizio Ferracane), sta per riuscire nel suo intento anche se la donna è detenuta. Il problema è solo interiore: mettere d’accordo la legge che vuole far rispettare e l’istinto umano che sta provando ad aiutare qualcuno in difficoltà.

È perplesso e non lo fa trapelare. Sotto l’obiettivo della camera da presa ha il solito sorrisetto indecifrabile ma che non nasconde il dibattito intimo, cerca una risposta in sé,. Che arriva quando inspiegabilmente svuota le ultime boccette di sabbia appena raccolta. Basta traffici, basta favori, basta questa vita professionalmente meccanica. Ha deciso e torna alla sua lussuosa villa nel quartiere bene di Padova, dove l’aspetta la moglie Cristina (Valentina Carnelutti) e i suoi due figlioli. Deve tornare alla sua amata scherma, in attesa di una nuova missione. Gli altri? I disperati bisognosi? Che si fottano! Questo è l’ordine delle cose, che si voglia o no.
Andrea Segre, veneziano di Dolo, più documentarista che altro come ben sappiamo, ama il suo habitat in cui ha già girato altri (pochi) film con l’idea fissa delle storie di immigrazioni, iniziando con il bellissimo Io sono Li. Sempre donne giunte in Italia con i cari lontanissimi che vogliono raggiungere al più presto, donne perennemente accerchiate da persone venete, come gli attori che predilige, quasi sempre gli stessi, ad iniziare da Roberto Citran, qui con altri nativi del nordest: Paolo Pierobon (asettico come una maschera, il suo è un poliziotto d’élite) e Giuseppe Battiston, mixati con un siciliano purosangue come Fabrizio Ferracane (ci vuole coraggio a relegare questo fantastico attore in un ruolo secondario) ed una milanese come Valentina Carnelutti.

Come di consueto, Segre è un uomo gentile: porta avanti educatamente ma tenacemente i suoi discorsi e ciò che mostra è solo una parvenza dei reati umanitari che commettono le guardie libiche – per giunta pagati profumatamente da noi – sotto le direttive dei nostri governi, che si danno il cambio ma non cambiano atteggiamento. Danno gli ordini, pagano, negano, tastano il polso agli elettori.
Nulla di grave: è l’ordine delle cose.

Riconoscimenti
Festival di Venezia 2017
HRNs Award – Premio Speciale per i Diritti Umani, Menzione Speciale


























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