L’orto americano (2024)
- michemar

- 23 ago
- Tempo di lettura: 3 min

L’orto americano
Italia 2024 horror 1h47’
Regia: Pupi Avati
Soggetto: Pupi Avati (romanzo)
Sceneggiatura Pupi e Tommaso Avati
Fotografia: Cesare Bastelli
Montaggio: Ivan Zuccon
Musiche: Stefano Arnaldi
Scenografia: Biagio Fersini
Costumi: Beatrice Giannini
Filippo Scotti: lui
Rita Tushingham: Flora
Chiara Caselli: Doris
Roberto De Francesco: Emilio Zagotto
Armando De Ceccon: Glauco Zagotto
Massimo Bonetti: presidente della Corte d’Assise
Morena Gentile: Arianna
Mildred Gustavsson: Barbara
Romano Reggiani: P.M.
Robert Madison: maggiore Capland
Patrizio Pelizzi: giudice della Corte d’Assise a latere
Cesare Cremonini: Ugo Oste
Andrea Roncato: maresciallo dei Carabinieri
Alessandro D’Amico: perito psichiatra
Nicola Nocella: paziente psichiatrico
Claudio Botosso: medico legale
TRAMA: Un giovane instabile s’innamora di un’ausiliaria militare americana dopo uno sguardo. Un anno dopo si trasferisce nel Midwest americano, accanto alla casa dell’anziana madre dell’ausiliaria, separate da un orto cupo con urla misteriose.
VOTO 5,5

A Bologna, ai tempi della Liberazione, un giovane con aspirazioni letterarie si innamora al primo sguardo di una bellissima infermiera dell’esercito statunitense di passaggio. Un colpo di fulmine che inaspettatamente ritorna a tormentarlo l’anno successivo, quando – trasferitosi negli Stati Uniti, in Iowa – finisce col vivere in una casa separata da quella della ragazza da uno strano orto sostanzialmente abbandonato. La conoscenza della madre di Barbara (questo il nome della misteriosa ragazza) scatena una concatenazione di eventi che lo portano a tornare in Italia per cercare notizie della scomparsa e che finiscono per trascinarlo in una realtà inquietante e impossibile da prevedere.
Il giovane scrittore (Filippo Scotti), ossessionato da quella ausiliaria dell’esercito americano incrociata a Bologna a guerra finita, si ritrova a Davenport, nel Midwest, in cerca di ispirazione. L’anziana e malata vicina di casa gli racconta la strana storia della figlia scomparsa nel delta del Po, di cui lui crede di notte di sentire i lamenti nell’orto. Convinto che si tratti proprio dell’ausiliaria, il giovane torna in Italia in cerca di una verità forse terribile.
Una favola contadina, quindi, un luogo mentale di ricordi, odori, racconti tramandati da generazioni, come ama Pupi Avati quando gira quel tipo di genere che lo ha accompagnato una vita intera, come dimostra uno dei suoi primi film, La casa dalle finestre che ridono del 1976. Ancora un’atmosfera gotica unita, stavolta, al senso romantico di una storia d’amore molto particolare girata in un ottimo bianco e nero definibile evocativo, che accentua l’aplomb misterioso che ammanta ogni sequenza. A ciò contribuiscono parecchio gli atteggiamenti e le espressioni di Filippo Scotti che si aggira pensieroso e alla ricerca di una verità non facile.
L’horror vero e proprio si affaccia nelle sue private indagini per capire cosa sia effettivamente successo alla ragazza che cerca, o dei suoi resti, come comincia ad intuire, forse addirittura vittima di un maniaco che uccide le donne ed espianta i loro genitali, come quelli da lui stesso trovati in un vasetto seppellito nell’orto del titolo accanto alla villetta americana dove si è trasferito. Le indagini e le vicende lo riportano in Italia, al processo del presunto assassino in compagnia dell’ambiguo fratello di quello (Roberto De Francesco). L’aria che si respira pare riportarci all’ambientazione di quel film che lo fece conoscere nel cinema italiano.
Lo stile tecnico è ottimo, la resa del film, alla fin fine, molto meno: non ne sono rimasto incantato e, complice forse il fatto che non sono proprio un suo ammiratore, sono rimasto deluso come mi capita spesso con le sue opere. Da scorgere, però, le buone intenzioni del regista, che, tra l’altro, evidenzia il confronto spietato tra un contesto, quello americano, ordinato ma non per questo privo di misteri, e l’Italia di allora, che usciva faticosamente dalla guerra mezza diroccata. E qui c’è quel maledetto terreno dove i defunti sepolti tornano in vita: difatti, il giovane scrittore parla con i morti, sente le loro voci.
È l’horror padano e gotico di Pupi Avati, magari influenzato dallo scrittore preferito nella gioventù del regista: Edgar Allan Poe, di cui si respira l’afflato. C’è a chi piacerà.
Nel cast tanti gli attori consueti del regista, da Roncato a Bonetti.
Riconoscimenti
Nastri d’Argento 2025
Candidatura al miglior regista
Candidatura al migliore attore protagonista a Filippo Scotti
Candidatura al migliore attore non protagonista a Roberto De Francesco
Candidatura alla migliore fotografia




























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