Lei mi parla ancora (2021)
- michemar

- 7 feb 2021
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 15 mag 2023

Lei mi parla ancora
Italia 2021 dramma biografico 1h30’
Regia: Pupi Avati
Soggetto: Giuseppe Sgarbi (romanzo)
Sceneggiatura: Pupi Avati, Tommaso Avati
Fotografia: Cesare Bastelli
Montaggio: Ivan Zuccon
Scenografia: Giuliano Pannuti
Costumi: Beatrice Giannini
Renato Pozzetto: Giuseppe 'Nino' Sgarbi
Stefania Sandrelli: Caterina 'Rina' Cavallini
Fabrizio Gifuni: Amicangelo
Chiara Caselli: Elisabetta Sgarbi
Isabella Ragonese: Caterina (da giovane)
Lino Musella: Nino (da giovane)
Matteo Carlomagno: Vittorio Sgarbi
Nicola Nocella: Giulio
Gioele Dix: agente letterario
Serena Grandi: Clementina
Alessandro Haber: Bruno
Romano Reggiani: Rino Fenzi
Giulia Gorietti: Marta
TRAMA: Nino e Caterina sono sposati da 65 anni e si amano profondamente dal primo momento che si sono visti. Alla morte di Caterina, la figlia Elisabetta, nella speranza di aiutare il padre a superare la perdita della donna che ha amato per tutta la vita, gli affianca Amicangelo, un editor con velleità da romanziere, per scrivere attraverso i ricordi del padre un libro sulla loro storia d'amore. Amicangelo accetta il lavoro solo per ragioni economiche e si scontra subito con la personalità di un uomo che sembra opposta a lui. Ma il rapporto tra i due diventerà ogni giorno più profondo fino a trasformarsi in un'amicizia sincera.
Voto 6-

Se si volesse riassumere in pochissime parole questo racconto d’amore (un amore lungo come una vita longeva) si dovrebbe usare una delle frasi che il buon Giuseppe Sgarbi, detto Nino: “Non esiste chi è più presente dell’assente”, cioè è tanto presente chi ci ha lasciati che pare se ne sia mai andato. E siccome quella persona ha vissuto tanti decenni assieme al suo sposo (più che un marito), questi non ha mai immaginato che un giorno sarebbe potuto rimanere solo. E non in senso familiare o sociale: solo senza di lei, Caterina Cavallini, detta Rina.

Una bellissima storia d’amore raccontata in due piani temporali, uniti da un sentimento forte, molto forte, che lega due persone che, conoscendo le vicende, il destino non avrebbe mai potuto evitare che si conoscessero. Il film nasce dopo che Elisabetta Sgarbi - nota editrice de La nave di Teseo, direttrice della Milanesiana (organizzazione che cura eventi artistici letterari musicali scientifici cinematografici teatrali), presidente dell’associazione che tutela i Sacri Monti (Piemonte e Lombardia, patrimonio Unesco) e ora anche editrice musicale degli Extraliscio, sorella del cervello più sprecato d’Italia (Vittorio) e figlia di una coppia di farmacisti della bassa padana – affida a Pupi Avati la realizzazione del film basato sulle memorie del padre Giuseppe. Libro che ebbe una genesi difficile, dato che l’uomo era molto riservato e, avendo perso l’amatissima moglie, non aveva alcuna voglia di confidare i ricordi di un’intera vita, 65 anni, vissuta con lei. Un dolore attonito, come non elaborato, una sofferenza attutita dalla sorpresa, un evento che lui non era mai riuscito ad immaginare, pensando che non si sarebbero mai lasciati. Né tantomeno lei, Rina, voleva lasciare la casa-museo che abitavano da tanto tempo, arricchita da un’infinità di tesori artistici, quadri e sculture soprattutto acquistati dalle aste telefoniche, dove il figlio Vittorio partecipava rimanendo collegato costantemente con la madre.

Benché anziano e quindi esperto delle vicende che accadono in una vita, Giuseppe non capisce come e perché la moglie sia morta e quando prova a raccontare al ghost writer che ha ingaggiato la figlia per poter mettere per iscritto le sue memorie, un certo Amicangelo (uno scrittore che non riesce a pubblicare neanche un libro, che si arrangia scrivendo per altri, separato e inadempiente negli obblighi di legge verso la famiglia abbandonata), comincia a rendersi meglio conto di ciò che ha perso, della moglie che non vive più in quella casa, della felicità interrotta. Per diverse settimane, aprendosi a quell’estraneo che all’inizio aveva respinto sdegnosamente, racconta sin dal giorno in cui aveva conosciuto la donna della sua vita, del matrimonio voluto a tutti i costi, delle balere all’aperto, delle canzoni amate, dell’atmosfera da “Malagueña Salerosa” che avvolgeva la loro gioventù, del disagio provato da Rina nella casa di famiglia, delle fughe di lei in bicicletta verso Ferrara, dell’innamoramento a prima vista della casa di campagna dove andranno a vivere, delle frasi d’amore che le rivolgeva. E che rivolge ancora, quando, chiuso nella camera da letto, le parla e la ascolta. Perché lei parla ancora come non fosse mai andata via. Come quando, a letto prima di addormentarsi di fianco a lei, temeva il suo ricovero in ospedale: “Hanno detto che ti tengono solo due giorni.” “Per te ci sono i nostri figli.” “Per me ci sei tu…. Siamo immortali!” Infatti, come lei gli scrisse in una lettera il giorno del matrimonio, “dandosi reciproco infinito amore, sarebbero stati immortali. Immortali in tutti i luoghi e in tutte le stagioni.” Una lettera così bella da rimanere nel cuore e custodita gelosamente per sempre, fino alla morte di Giuseppe, cucita all’interno della giacca e sepolta con lui.
Per giunta, neanche quella canaglia di scrittore ha molta voglia di ascoltarlo, di immergersi in quei racconti così remoti nel tempo, tanto lontani dalla sua mentalità di sbruffone in cerca di facili occasioni di guadagno e invidioso dei successi altrui. Si reca nella villa controvoglia, maldisposto, ha un primo contatto con l’anziano uomo con molto scetticismo e con l’idea di riprendere quanto prima la sua valigia per tornare a Roma. L’insofferenza che prova sarà però placata dalle insistenze di Elisabetta e dal buon compenso che gli viene promesso. Immancabilmente, invece, tra loro due nascerà un inaspettato rapporto di fiducia e di ascolto che faciliterà i colloqui e le confidenze. E quindi, per fortuna, il libro. Amicangelo si avvicinerà sempre di più al mondo ricco di pensieri, di amore, di emozioni che Nino tenta di conservare gelosamente e imparerà quanta ricchezza nella vita di un uomo può portare un sentimento così profondo e inattaccabile.

La prima parte, con le scene del ricovero di Rina, della solitudine di Giuseppe, dei contatti di Elisabetta con lo scrittore dal comportamento inaffidabile, degli incontri di questi con l’anziano, è quella migliore del film, che apre aspettative di una bella opera. Peccato che poi, nel tempo restante, riandando con la mente ai giorni giovanili, delle loro farmacie, degli acquisti entusiasti dei dipinti del Guercino, del nostalgico cinema all’aperto a Ferrara per guardare Il settimo sigillo con tanto di dibattito cinefilo con l’immancabile prete come moderatore parlando di morte, e poi ancora dell’alluvione del Polesine, della strana accoglienza di Rina a Stienta, paese di origine di lui, peccato che si torna al solito cinema di Pupi Avati che io, personalmente, non amo più di tanto. Il film perde quell’aurea di racconto a voce di un anziano pieno di saggezza e amore, di ricordi di vita irripetibili, e si tuffa nel tipico e usuale mondo emiliano che Avati non manca di mostrarci in ogni occasione. I personaggi buffi, la bellezza della campagna, la vita semplice del dopoguerra, delle grandi speranze per il futuro. I due piani temporali come due zone diverse della memoria, con un comune denominatore: Rina, prima giovane e ribelle, di gran carattere, poi bella signora matura in una casa dove ogni stanza è ingombra di opere d’arte.

Come dice lo stesso Pupi Avati, è una storia che si fonda sull'assenza, così pressante che è come se lei sia sempre ancora presente, e che lui ha trasformato a sua somiglianza pur rimanendo, a quanto pare, fedele all’idea originaria del Giuseppe narrante, ben scritta da Amicangelo, ma soprattutto voluta e resa pubblico anche sullo schermo dalla volitiva e onnipresente Elisabetta, mentre il fratello Vittorio è posto in secondo piano (incredibile!). Renato Pozzetto (Giuseppe Sgarbi) è fondamentale, pur restando fedele al suo modo di muoversi e parlare milanese, con qualche lieve atteggiamento caratteristico che ricorda la tipica gestualità della sua formidabile carriera di puro cabarettista con il fraterno Cochi Ponzoni. Una interpretazione sorprendente, interiorizzata alla perfezione, forse anche dovuta all’analoga esperienza vissuta qualche anno fa, che dimostra un’ulteriore volta (se fosse ancora necessario) la bravura dei comici nei ruoli drammatici. Movimenti, pause, sguardi sfuggenti, una certa sorniona ironia (che forse è proprio il pezzo forte di Pozzetto), la capacità di commuoversi e di riempire di emozione i suoi occhioni di anziano. La sponda gliela dà quel fuoriclasse di Fabrizio Gifuni, nei panni dello scrittore farfallone e scriteriato Amicangelo, certamente un personaggio antipatico che lui sa bene come affrontare. D’altronde lui è con la sempre eccellente Isabella Ragonese (Caterina da giovane) due degli attori di quella schiera della migliore gioventù di teatro e di cinema italiano che sanno dare lustro alla Settima Arte italica. Elisabetta è invece interpretata da una matura Chiara Caselli, molto brava a rappresentare una donna che con carattere gestisce i momenti difficili della famiglia: una prova importante, che dimostra la maturità attoriale raggiunta. Fa impressione invece vedere l’attore Matteo Carlomagno che rappresenta un Vittorio Sgarbi dimesso e silenzioso, messo in secondo piano dalla sorella, fino al punto da sembrare solo un omonimo: o in quei tempi era davvero così oppure il regista lo ha preferito dipingere diversamente da quello che conosciamo. A Stefania Sandrelli è stato chiesto poco e quel poco lo fa nella maniera che ben conosciamo. Insomma, un cast parecchio diverso da quello solito che il regista bolognese dirige nei suoi film, eccezion fatta per i fedeli Alessandro Haber, Serena Grandi e Nicola Nocella che completano il gruppo. La sorpresa è la breve presenza Gioele Dix, un eccellente attore polivalente poco utilizzato nel cinema, un peccato.


In sintesi, un film da cui forse mi aspettavo di più (chissà perché) o forse per il semplice motivo che Pupi Avati non mi entusiasma mai più di tanto, ma in ogni caso un discreto film che raggiunge secondo me la sufficienza anche per la bravura degli interpreti.
Spero solo che Rina e Nino abbiano potuto realizzare il sogno del loro amore eterno, o meglio immortale, come piaceva a loro definirlo: se si sono rincontrati potranno vivere per sempre l’uno accanto all’altra.

Riconoscimenti
David di Donatello 2021:
Candidatura migliore sceneggiatura adattata
Candidatura miglior attore protagonista per Renato Pozzetto
Nastro d'argento 2021:
Premio speciale 75 a Renato Pozzetto
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regista
Candidatura migliore attore non protagonista per Fabrizio Gifuni






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