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L'uomo che non c'era (2001)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 6 ago 2023
  • Tempo di lettura: 6 min

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L'uomo che non c'era

(The Man Who Wasn't There) 2001 dramma 1h56’


Regia: Joel Coen

Sceneggiatura: Joel ed Ethan Coen

Fotografia: Roger Deakins

Montaggio: Roderick Jaynes (Joel ed Ethan Coen), Tricia Cooke

Musiche: Carter Burwell

Scenografia: Dennis Gassner

Costumi: Mary Zophres


Billy Bob Thornton: Ed Crane

Frances McDormand: Doris Crane

James Gandolfini: David “Big Dave” Brewster

Michael Badalucco: Frank Raffo

Katherine Borowitz: Ann Nirdlinger

Jon Polito: Creighton Tolliver

Richard Jenkins: Walter Abundas

Scarlett Johansson: Rachel “Birdy” Abundas

Tony Shalhoub: Freddy Riedenschneider

Jack McGee: Burns

Adam Alexi-Malle: Jacques Carcanogues

Alan Fudge: Diedrickson


TRAMA: California, 1949: il barbiere Ed Crane, che sospetta l'infedeltà della moglie Doris, incontra un commesso viaggiatore che gli propone di mettere su una catena di lavaggio a secco. Ma per entrare nell'affare servono molti soldi, e Ed decide di ricattare l'amante di Doris.


Voto 8,5

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Lavoravo in una bottega di barbiere ma non mi sono mai considerato un barbiere. Ci sono inciampato dentro o, meglio ancora, mi ci sono sposato. L’impresa non era mia. Per me era solo un lavoro. Era una topaia di 20 metri quadri con tre sedie o postazioni, anche se ci lavoravamo solo in due. Frank Raffo, mio cognato, era il barbiere capo. Quanto chiacchierava! Se avevi 11 o 12 anni magari lo trovavi interessante ma a me spesso dava ai nervi. Non che me ne lamentassi, lui era il barbiere capo. Tagliava i capelli e sputava parole. Io invece non parlo molto. Io taglio solo i capelli. Fare il barbiere è un po’ come fare il barista o il gelataio: facile una volta che hai imparato i tagli fondamentali.

Vivevo in una villetta a Napa Street. Non era male: c'era il frigorifero, la cucina a gas e un tritarifiuti incorporato nel lavandino. Insomma, me la cavavo bene. Ah, sì, c'era anche qualcos'altro: Doris teneva la contabilità per un emporio, Nirdlinger’s. Le piaceva fare la contabile così teneva tutto sotto controllo.

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La voce narrante è quella di Ed Crane, il protagonista, un uomo avvolto nel fumo delle sue sigarette, aspirate senza interruzione, senza la minima pausa, in concomitanza di qualsiasi movimento o situazione, tagliando i capelli ai clienti o giocando a bingo nella parrocchia, o ancora mentre rade i peli alle gambe della moglie Doris (Frances McDormand). Una vita totalmente trascorsa fumando mentre cerca di non esistere, di non farsi notare, in silenzio, mentre osserva ogni cosa che avviene intorno, ogni persona che riesce a notare. Quasi sempre sena neanche muovere la testa ma solo lo sguardo che si spinge a destra o a sinistra. Senza alcuna espressione, se non quella, minimale, di un leggero movimento delle labbra per far intendere che ha capito ciò che gli viene detto o mostrato. Non chiede nulla dalla vita, fa il barbiere e basta, costretto a sentire le migliaia di parole del suo cognato capo, Frank (Michael Badalucco).

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L’unico errore della sua vita è quando viene colto dall’ingordigia di guadagnare qualcosa di insperato, ma più che altro per dare una sferzata alla monotonia e al tradimento che sta subendo dalla moglie fedifraga, dando retta al corposo Creighton Tolliver (“mammola”, nel gergo americano per indicare gli omosessuali), interpretato da Jon Polito, che è capitato in città ed è entrato proprio nell’orario della chiusura della sala da barba. Il capitato è alla ricerca di un pollo che gli dia 10.000 dollari per impiantare un’impresa che sarà la vera novità del futuro, un lavaggio a secco, i cui frutti permetteranno di aprirne altre, fino a costruire una catena. Ed un piano in mente ce l’ha, per procurarsi la somma, e lo mette in atto. Ma le cose non andranno facili e la vita subirà un tremendo scossone.

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Ed è un uomo che non c’è, è un’ombra che si muove scansando fastidi e persone. Lui taglia i capelli e basta. La moglie è esuberante ed è chiaramente, per lui, l’amante del padrone dell’emporio, David Brewster, per tutti Big Dave (James Gandolfini). Ma non ne fa una malattia, almeno si dice così, tranne che nel finale ammette che la cosa gli scocciava un bel po’. Si amano, non si amano? Difficile dirlo. Si sono sposati soltanto perché dopo solo qualche settimana di fidanzamento lei gli ha detto, perché non ci sposiamo? Tanto, ad aspettare non cambierà nulla e difatti negli anni nulla è cambiato, né in meglio né in peggio. Si tira avanti. Lei con l’ambizione di diventare la direttrice del nuovo negozio che Big Dave ha intenzione di aprire, lui di tirare a campare come sempre, fumando e cercando di rimanere nell’ombra. Lui c’è, c’è sempre, ma contemporaneamente non appare, o almeno non vuole apparire. L’unico guizzo, oltre a farsi abbindolare dall’affare del lavasecco, è la forte simpatia che prova per la giovanissima Birdy (Scarlett Johansson), la figlia di Walter Abundas (Richard Jenkins), un modesto avvocato della cittadina che pare una copia solo appena più vispa di lui. L’adolescente suona bene il pianoforte (la “Piano Sonata N.8 in Do minore, Op.13” detta Patetica di Beethoven domina l’intero film, sia come colonna sonora che come brano sempre suonato dalla ragazza) e lui ambirebbe farla studiare a sue spese, Birdy, però, è più sveglia di quanto lui riesca a credere e la sua insospettata vivacità erotica causerà un incidente stradale che darà adito ad una ennesima riflessione di Ed sulla esistenza e sulla crescita dei capelli che lo assilla.

L’auto vola fuori strada e nel tragitto aereo ha modo, come dice, di poter riflettere perché in quei momenti il tempo rallenta: “Pensai a quello che una volta mi aveva detto un becchino, che i capelli crescono ancora per un po’ dopo che muori e poi si fermano, Mi chiesi: cos'è che li fa crescere? È come la terra per le piante? E cos'è che a un certo punto abbandona la terra, l'anima? E quand'è che i capelli capiscono che se n'è andata?” Gli splendidi Coen (Joel è il regista, Ethan produce, entrambi scrivono la partitura) di questo meraviglioso film, un piccolo capolavoro a tutti gli effetti, metaforizzano il tondo copriruota, che rotola dopo lo schianto da solo come cerchio spinto dal violento impatto, facendolo diventare l’anima dell’uomo che muore, che si stacca dal corpo-auto. Rotola, rotola, non si ferma mai e si allontana dalla macchina fracassata come lo spirito che esce dal corpo di un morto. Fin quando crescono i capelli? Poi, l’oggetto metallico si alza verso il cielo e diventa un disco volante (la fissazione di Ann Nirdlinger, la straniante moglie di Big Dave) e atterra sulla terra da lampada frontale del medico dell’ospedale dove Ed rinviene dopo l’incidente, alla presenza di due detective. Il racconto di un uomo che non voleva esserci diventa, a causa di due morti violente, da dramma esistenziale a noir a tutti gli effetti. Noir che assume ogni dovuta caratteristica per gli avvenimenti, ma anche per la portentosa fotografia di Roger Deakins, densa di bianco sfavillante e nero tagliente, colori accompagnati solo da tonalità di grigio che incupiscono le varie sequenze. Così nelle strade e nella barberia, così nella cella del carcere dove vengono detenuti sia Ed che Doris, in cui un cono di luce che entra dall’alta finestra pare illuminare come il più classico dei lampioni stradali dei film noir. Perché, in definitiva, di un noir si tratta, anzi di un noir dei più esemplari, con tanto di assassinî, tradimenti coniugali, prigioni, tribunali, detective.

Ma sostanzialmente il film viene nobilitato, oltre che dalla bellissima fotografia accennata, da una regia praticamente perfetta, da una sceneggiatura cronometrica a meccanismo perfetto, da una eccellente colonna sonora del magico Carter Burwell su cui si sovrappongono ripetutamente le note di Beethoven, ed infine dalle strepitose interpretazioni del cast, in particolare la musa dei fratelli registi Frances McDormand (che brava!) e dall’ottimo James Gandolfini, ma anche quelle di tutti gli altri, senza eccezione: i fidati Michael Badalucco, Jon Polito, il sorprendente Tony Shalhoub. Tutti! Ovviamente un discorso a parte va obbligatoriamente fatto per il superbo Billy Bob Thornton. Qui non si tratta del caso di un attore che ha trovato il ruolo giusto per esaltarsi, è molto di più: lui È l’uomo che non c’è, lui È la personificazione del personaggio descritto dalla fantasia dei terribili fratelli Coen, e va anche oltre, perché invecchiato, dimesso, intristito da una vita grigia e da frustrazioni di piccolo borghese, invischiato da un’avventura più grande di lui, è il film, un film sull’assenza, che compare in ogni scena, ne materializza il pensiero e la filosofia di vita, con quella onnipresente sigaretta che riempie di fumo l’ambiente, l’aria, lo schermo, il film. Non credo che l’attore abbia mai più potuto avere un’occasione simile: basti osservare ogni poster, ogni riferimento al film, che è lui col cappello, lo sguardo irripetibile, il silenzio che l’accompagna e la sigaretta in bocca o tra le dita.

Quanti sono i film belli di Joel ed Ethan Coen? Tanti, tantissimi, alcuni sono dei cult per l’eternità (Il grande Lebowski, Fargo, Non è un paese per vecchi) ma ogni volta mi chiedo se il migliore non sia proprio questo. Hanno destrutturato ogni genere, anche con figure bizzarre per riuscire meglio nel loro intento, perfino in film seriosi come il terzo appena indicato (come classificare un villain come il Anton Chigurh di Javier Bardem?) ma in questa occasione sono entrati a piedi uniti nel noir classico elaborando un’opera perfetta che sta a cavallo tra il dramma esistenziale e il thriller nero.

Senza Billy Bob Thornton, comunque, non sarebbe stata la stessa cosa. Onore al merito.

Non so dove mi porteranno dopo. Non so cosa troverò oltre il cielo e la terra. Ma non ho paura di partire. Forse lì le cose che non capisco saranno più chiare, come la nebbia quando si dirada. Forse, Doris sarà lì. E forse lì potrò dirle tutte...quelle cose...che qui non hanno parole.

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Riconoscimenti

2001 - Festival di Cannes

Miglior regia

2001 - BAFTA

Migliore fotografia

2002 - David di Donatello

Miglior film straniero


 
 
 

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