Visions - Passione mortale (2023)
- michemar

- 17false24 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)
- Tempo di lettura: 6 min

Visions - Passione mortale
(Visions) Francia, Belgio 2023 thriller 2h
Regia: Yann Gozlan
Sceneggiatura: Yann Gozlan, Michel Fessler, Aurélie Valat, Jean-Baptiste Delafon
Fotografia: Antoine Sanier
Montaggio: Valentin Féron
Musiche: Philippe Rombi
Scenografia: Thierry Flamand
Costumi: Olivier Ligen
Diane Kruger: Estelle
Mathieu Kassovitz: Guillaume
Marta Nieto: Ana
Grégory Fitoussi: Marco
Amira Casar: Johana Van Damaker
Élodie Navarre: Charlotte
Aleksandra Yermak: Isa
TRAMA: Estelle, pilota impeccabile, vive una vita ordinata con il marito Guillaume finché a Nizza ritrova Ana, l’ex amante di vent’anni prima: un incontro inatteso che riaccende ossessioni e trascina Estelle in una spirale inquietante che minaccia di travolgere tutto.
VOTO 6 –

Estelle (Diane Kruger) è una comandante pilota di linea esperta che vive con il marito medico Guillaume (Mathieu Kassovitz) in una lussuosa villa sulla Costa Azzurra. L’una con voli a lungo raggio, l’altro con i turni in ospedale, per cui la coppia conduce una vita disconnessa che complica il loro progetto di avere un figlio. Nonostante i jet lag e alcuni disturbi del sonno, Estelle si mantiene in forma praticando sport e una vita ben organizzata, ma ha strani sogni che si renderà presto conto di essere premonitori. Almeno a noi, forse anche a lei, paiono sogni, in realtà sono incubi di brutti avvenimenti che sembrano già accaduti, motivo per il quale hanno le apparenze di visioni, di situazioni per nulla piacevoli, diciamo pure sciagure, che la mente stanca della donna produce sotto forma di sogni. Non ha tempo di spiegarseli e cerca comunque di trovare quiete con una compressa di sonnifero ogni notte, a volte anche due.

Un giorno, all’aeroporto di Nizza incontra Ana (Marta Nieto), una fotografa con cui ha avuto una relazione appassionata anni prima. Impossibile per Estelle resistere ad un nuovo avvicinamento e così si lascerà sedurre di nuovo dall’ex partner e inizierà una doppia vita andando regolarmente a casa sua, anche questa sul mare, e tornando a casa sempre in ritardo e con qualche scusa per il meravigliato marito, che nulla può immaginare, neanche dopo un invito a cena fatto a quella donna. La quale, racconta, fa la fotografa ma con una passione molto particolare: ama fotografare le coppie che fanno sesso, per immortalare gli attimi dell’orgasmo. Estelle resterà spiazzata però quando scopre che non è l’unica a frequentarla: Ana ha un’altra amante, l’artista Johana Van Damaker (Amira Casar), che suscita la gelosia di Estelle, che avrà - in questo stress mentale aumentato - sempre più visioni/sogni brutali, fino a immaginare la morte violenta dell’amata. Un giorno, questa sparirà e non risponderà più al telefono. Cosa le è accaduto? La mente della pilota va in totale tilt e non agisce più secondo la logica che l’aveva sempre caratterizzata.

Logica e sicurezza, professionalità e forza decisionale, qualità che traspaiono sin dall’incipit del film, in cui la vediamo dare il cambio ad uno dei suoi secondi e sedersi in cabina di pilotaggio, mettendosi in contatto con le torri di controllo per l’arrivo di una forte perturbazione o per velivoli in rotte ravvicinate. Sa subito consultarsi per un eventuale cambio di quota di volo e dei consumi del carburante derivante dalla variazione. Una donna preparata e concentrata. Sempre lucida e padrona di sé. Vederla perdere il controllo con le vicende personali, prima di tutto meraviglia non solo noi, ma anche il marito Guillaume che la conosce bene. Lo stress, dopo l’incontro erotico con la vecchia fiamma, è ora a livelli preoccupanti. Se sull’aereo è sempre stata capace di dominare le avversità, atmosferiche in primis, ora nella vita quotidiana è in preda al panico e non riposa mai a sufficienza.

Dal regista di Black Box - La scatola nera (evidentemente ha una passione per l’aereonautica e ce lo vuole far capire), questa altra opera non è un semplice thriller di natura soprattutto psicologica ma pretende di diventare una storia di ossessioni che lei stessa non riesce a decifrare, mentre lo spettatore non è in grado subito di intuire se stia assistendo ad uno dei soliti incubi della protagonista o se stia succedendo davvero nella sua realtà. Quando la situazione peggiorerà, però, le due fasi cominceranno a sovrapporsi, cioè a coincidere perfettamente: quello che aveva sognato o premonito lo vede e lo vediamo avverarsi. La sua ossessione non è solo quello che sogna ma è anche e soprattutto l’attrazione fisica che avverte versa Ana. Anche se tante volte si propone di dare un taglio, laddove si accorge di stare a rovinare la vita sua e di coppia e di un’eventuale maternità, non riesce, e ricade nella tentazione di un nuovo incontro erotico. Arriva persino ad accettare, in precarie condizioni fisico-mentali, un volo a Tokyo presumendo che la sua amata sia in quella città per via di una mostra della rivale Johana.

Il film però si inabissa così come un aereo senza controllo e quindi tra visioni, ossessioni e realtà deformata, il thriller esplora fragilità mentale, desiderio e confusione tra sogno e verità. Con risvolti molto drammatici e perfino criminali, lì quando si rende necessario. Tutti aspetti che osserviamo in prima fila perché l’intero film è girato con la presenza fisica della protagonista e quindi lo si vive come in prima persona, una specie di soggettiva, sebbene la cinepresa, e quindi noi, sia terza. Il lavoro formale e visivo discretamente realizzato da Yann Gozlan è un racconto sul potere della passione e sulla mancanza di controllo su di essa, ma anche sullo smarrimento che si prova allorché si cerca di dare un senso a ciò che ci sfugge, travolti dall’istinto. È qui che, mancando la lucidità per distinguere il reale dall’immaginario, la donna si perde e perde e lo spettatore, invitato a vedere con gli occhi della protagonista, resta spiazzato fino a non sapere più cosa è sogno e cosa è verità.

Tutto è relativo per Estelle e molte cose non girano per il verso giusto: le persone che incontra le giudica inaffidabili, il marito le pare stia facendo un doppio gioco, Ana sicuramente la tradisce, al lavoro è stata sospesa per una decisione sbagliata per la sicurezza del volo, le arriva anche un messaggio in cui strani suoni raccontano fatti misteriosi. La mente intontita da qualche farmaco che forse il marito le ha somministrato peggiora la sua lucidità. È in un labirinto psicologico senza uscita.

Il film mette in scena la tensione tra controllo e perdita di controllo, indagando il desiderio femminile, la fragilità mentale e l’impossibilità di distinguere sogno e realtà. Sensazioni aumentate da una discreta messa in scena ma nello stesso tempo molto sfruttata e ciò non porta nulla di nuovo all’opera: persino il commento musicale di Philippe Rombi richiama alla mente non pochi film sia di Hitchcock che di Brian De Palma, mentre alcune sequenze ricordano la perdizione di Lynch, dando maggiore tensione alle sequenze. Il problema è che un’opera poco logica (come d’altronde capita quando si rappresenta una mente in difficoltà) e contorta, ma soprattutto rigida. Nel contempo non ci sono risposte facili e si rischia di restare perplessi. In realtà è un film che avrebbe potuto essere qualcosa e non è diventato, pur se per poco.

Buona la fotografia e quasi promossa del tutto la regia. I dialoghi a volte banali non danno il contributo che avrebbe alzato il giudizio. Il viso spigoloso di Diane Kruger si rivela sempre adatto alle storie cupe e Marta Nieto è bella e generosa, mentre a Mathieu Kassovitz tocca un ruolo di rincalzo.
Un film (definibile anche thriller erotico) senza infamia e senza lode, che però non soddisfa completamente, perché una trama che può definirsi pure circolare (il finale ripete come una visione, reale o immaginata, la scena iniziale) non fornisce tutte le risposte. Ma i difetti non sono proprio questi. Piuttosto, la sceneggiatura è troppo affollata e incoerente, conseguenza di essere stata scritta da troppe mani, il che causa e moltiplica enigmi ma non li risolve, lasciando lo spettatore più disorientato che intrigato; guarda esplicitamente a maestri come David Lynch (verdi p.e. Strade perdute), ma lo fa in modo che appare derivativo, non originale, e l’epilogo circolare, pur suggestivo, è più un esercizio di stile che un vero componimento narrativo. A proposito poi della narrazione, questa tende a ripetersi, con scenari e situazioni che tornano senza aggiungere reale progressione rendendo l’esperienza meno incisiva e rischiando di stancare lo spettatore.

All’apparenza, potenzialmente sembrava l’inizio di un gran film, ma si è perso nei meandri della ricercatezza come un tentativo autoriale mal riuscito. Ciononostante, direi, in definitiva, che il film resta comunque accettabile.









Commenti