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L’uomo che uccise Liberty Valance (1962)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 29 set
  • Tempo di lettura: 3 min
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L’uomo che uccise Liberty Valance

(The Man Who Shot Liberty Valance) USA 1962 western 2h3’

 

Regia: John Ford

Soggetto: Dorothy M. Johnson (racconto)

Sceneggiatura: James Warner Bellah, Willis Goldbeck

Fotografia: William H. Clothier

Montaggio: Otho Lovering

Musiche: Cyril J. Mockridge

Scenografia: Eddie Imazu, Hal Pereira

Costumi: Edith Head, Ron Talsky

 

James Stewart: Ransom Stoddard

John Wayne: Tom Doniphon

Vera Miles: Hallie

Lee Marvin: Liberty Valance

Edmond O’Brien: Dutton Peabody

Andy Devine: Link Appleyard

Woody Strode: Pompeo

Ken Murray: Dr. Willoughby

John Carradine: Cassius Starbuckle

Jeanette Nolan: Nora Ericson

John Qualen: Peter Ericson

Willis Bouchey: Jason Tully

Carleton Young: Maxwell Scott

Denver Pyle: Amos Carruthers

Strother Martin: Floyd Hoover

Lee Van Cleef: Reese

Robert F. Simon: Handy Strong

O.Z. Whitehead: Herbert Carruthers

Paul Birch: sindaco Winder

Joseph Hoover: reporter

 

TRAMA: Un senatore torna in una città dell’ovest per il funerale di un vecchio amico e racconta la storia delle sue origini.

 

VOTO 8


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Il senatore Ransom Stoddard (James Stewart), tornato con la moglie Halle (Vera Miles) ai funerali del vecchio Tom Doniphon (John Wayne), in una sperduta cittadina del West, dove 25 anni prima era incominciata la sua carriera politica, racconta a un gruppo di cronisti dello Shinbone Star la loro amicizia, cementata in gioventù dalla lotta al temibile fuorilegge Liberty Valance (Lee Marvin). Stoddard era allora un avvocato alle prime armi che trovò in Tom un prezioso alleato ma senza volerlo gli rubò la ragazza, dopo aver ucciso (così credeva) Valance in duello. Ora è finalmente tornato con la moglie per abitare per sempre nella regione.


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Detto in una parola, questo classico western è un capolavoro, che esplora il confine tra leggenda e realtà. La trama ruota attorno al senatore che ritorna nella città di Shinbone per rendere omaggio all’amico di sempre. Attraverso una serie di flashback, scopriamo che la fama di Stoddard come l’uomo che aveva sparato a Liberty Valance è immeritata, poiché in realtà fu Doniphon a uccidere il fuorilegge.


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Ford utilizza il bianco e nero per evocare un senso di nostalgia e per sottolineare il passaggio dai vecchi tempi del West. Il film mette in discussione la veridicità delle storie e delle leggende, mostrando come la storia sia tanto questa quanto realtà. Le interpretazioni di Stewart e Wayne sono magistrali, con Wayne che incarna il classico eroe western e Stewart che rappresenta l’uomo comune che diventa un eroe per caso. Ed è anche una riflessione profonda su come la storia mitizza le sue grandi figure e su come la verità venga spesso distorta per creare eroi e mitologie. È il passaggio dalla giustizia della Colt, come si faceva sempre, a quella della legge, quella legale, quella della civiltà: la fine di un mito (oggi purtroppo pare che abbiamo fatto molti passi indietro).


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John Ford riesce a creare un’opera che non solo intrattiene, ma che invita anche lo spettatore a riflettere sulla natura della verità e della leggenda. Peccato però per il finale retorico. È sempre un piacere vedere all’opera monumenti attoriali come James Stewart, John Wayne e Vera Miles, ma, in questo caso e più che mai, il micidiale Lee Marvin.


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A proposito del grande attore, trascrivo una simpaticissima particolarità.

C’è una società segreta, a Hollywood e dintorni, i cui membri mantengono (più o meno) grande riserbo: sono i “Figli di Lee Marvin”, che ogni tanto si riuniscono per vedere film del grande attore. I requisiti per diventare socio sono semplici quanto rari: basta somigliare il più possibile a Lee Marvin. Ne fanno parte Jim Jarmusch, Nick Cave, Tom Waits e Josh Brolin, tra gli altri, e pare che qualche dissapore ci sia stato con i veri figli di Marvin, ma si capisce l’orgoglio dei membri di poter vantare una somiglianza con quella faccia che pareva intagliata nel legno (e con quella voce che, disse Jean Seberg, pareva “pioggia che scorre in una grondaia arrugginita”). Basta guardare la fototessera del giovane Lee, quand’era un marine nella Seconda guerra mondiale (decorato col Purple Heart; poi, da democratico convinto, fu sempre contrario alla Guerra del Vietnam), per vedere già il cinema in quei lineamenti scolpiti, le labbra carnose, gli occhi stretti pronti a guardarti in tralice da sotto la tesa del cappello, come fa il leggendario Liberty Valance nel capolavoro di Ford. I capelli d’argento, la voce cavernosa di chi fumava sei pacchetti di sigarette al giorno e, soprattutto, quel sorriso letale, di uno che può sedurti o mangiarti vivo nell’ordine che preferisce, facevano di Marvin l’archetipo del “duro”, perfetto antieroe, ottimo villain alla bisogna. Impossibile imitarlo; contiamo sulla società segreta per portare avanti la sua eredità.

(FilmTV, Ilaria Feole)


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Riconoscimenti

Oscar 1963

Candidatura per i migliori costumi

 


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Il Cinema secondo me,

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cinefilo da bambino

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