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L'uomo nel bosco (2024)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 13 ott
  • Tempo di lettura: 6 min
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L’uomo nel bosco

(Miséricorde) Francia, Spagna, Portogallo 2024 dramma/commedia nera/noir 1h44’

 

Regia: Alain Guiraudie

Sceneggiatura: Alain Guiraudie

Fotografia: Claire Mathon

Montaggio: Jean-Christophe Hym

Musiche: Marc Verdaguer

Scenografia: Emmanuelle Duplay

Costumi: Khadija Zeggaï

 

Félix Kysyl: Jérémie Pastor

Catherine Frot: Martine Rigal

Jacques Develay: padre Philippe

Jean-Baptiste Durand: Vincent Rigal

David Ayala: Walter Bonchamp

Tatiana Spivakova: Annie Rigal

Sébastien Faglain: il gendarme

Salomé Lopes: la gendarme

 

TRAMA: Jérémie torna nel proprio paesino d’infanzia nell’Aveyron per il funerale del fornaio, suo ex principale. La vedova, commossa dalla sua presenza, gli propone di passare la notte a casa loro, nella stanza del figlio Vincent, ormai sposato, un vecchio compagno di scuola di Jérémie. Ma non per tutti sarà il bentornato.

 

VOTO 7


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Nel film di Alain Guiraudie, che scopro solitamente agreste e disorientante, le domande sono tantissime ma le risposte rare e non complete, molti i fatti poco spiegabili, i comportamenti misteriosi, le certezze pari a zero. Sin dalle prime sequenze, si instaura presto un’atmosfera di tale enigma che, non conoscendo il film e la trama, si intuisce che cose strane e anomale accadranno. Inevitabilmente.


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Il giovanotto che sta viaggiando in auto mentre arriva nella piccola cittadina immersa nei boschi dell’Occitania, a Saint-Martial, nell’Aveyron, ha l’aria di chi conosce bene il luogo, tanto da parcheggiare con sicurezza vicino ad una casa. Lui è Jérémie (Félix Kysyl), che torna nel suo villaggio per il funerale del fornaio, il suo ex datore di lavoro che gli ha insegnato il mestiere che lo ha mantenuto a Tolosa, la capitale della regione. La vedova Martine (Catherine Frot), commossa dalla sua presenza, gli propone di non tornare immediatamente in città, essendo già tardi, ma di passare la notte nella loro casa, nella stanza del figlio Vincent (Jean-Baptiste Durand), ora sposato, e che era suo compagno di scuola.


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L’uomo, cresciuto quindi lì, pare indeciso (ci fa o ci è?) ma accetta subito, anzi, dato che si è licenziato, non ha quindi lavoro e si è lasciato da tempo con la ragazza con cui conviveva, il mattino dopo non riparte e dopo aver ritrovato Vincent, decide di non aver fretta a rientrare e di fermarsi qualche giorno, come un qualsiasi emigrato che ha nostalgia di rivedere i posti dell’adolescenza. Gli piace, infatti, passare di nuovo del tempo in questo villaggio e incontrare anche Walter (David Ayala), un altro vecchio compagno che vive isolato nella sua fattoria, oltre che ritrovare il prete, padre Philippe (Jacques Develay).


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Domande, si diceva. Tante. È evidente che Jérémie era molto legato al defunto (chissà perché), tanto che la vedova lo accoglie con molto calore e affetto (chissà perché), ma Vincent, che di suo è rissoso e burbero, lo accoglie bruscamente e gli parla con una sorta di astio (chissà perché) e non nasconde una forma di gelosia verso l’altro amico di famiglia, il grasso Walter (chissà perché).


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Sono perplessità forse innocenti e giustificabili, non conoscendo noi il passato, ma il regista stimola le reazioni dello spettatore con arte stabilendo chiaramente che nulla è scontato, che sotto sotto c’è tanto da scoprire, ammesso che lo faccia. Perché la regia è tante cose, in questo film, ma mai didascalica o esplicativa con discorsi o immagini. Tutto verrà dedotto con calma nel corso dell’intero film. E neanche totalmente. Come se le carte da giocare vengano scoperte lentamente e non è detto che, una volta capovolta, leggiamo bene la carta, che ne capiamo il valore. Perché ogni particolare, ciò è lampante, ha un suo peso e un significato che vengono dagli anni vissuti lì da Jérémie. Ognuno di loro sembra un personaggio tra il metafisico ed il reale che deve giustificare il suo comportamento e le sue intenzioni, come figure del teatro dell’assurdo.


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I giorni passano, ma il nostro non riparte, anzi, ogni mattino, dopo la consueta notte passata insonne, esce per andare nel bosco: è autunno, la campagna è in foliage, è umida, e tanti vanno a cercar funghi. Il bosco è ricco di porcini di prima qualità e le ceste si riempiono facilmente. Lui dice di andarci per cercarli ma non ha alcuna intenzione di farlo: forse è alla ricerca di ricordi, di luoghi stampati nella memoria, di stimoli dimenticati, di incontri nascosti. Nessuno ha un atteggiamento naturale e comprensibile e tutti i cinque personaggi si osservano con circospezione. Vincent guarda il giovane addirittura con sospetto e diffidenza, non sopporta vederlo in giro, a casa della madre, a casa di Walter, dove spesso si reca a sorpresa per controllare. Martine è invece affettuosa e premurosa, accorre in camera sua in caso di bisogno, entra anche nel bagno mentre lui è nudo sotto la doccia. Ecco, un’altra caratteristica di questo piccolo mondo appartato è l’aria stranamente sensuale che si respira in quella casa tra la più che matura donna e quell’ospite. Siccome la situazione non può durare a lungo in queste condizioni, che debba avvenire qualcosa di tragico è avvertibile e le discussioni tra i due rivali precipitano quando Vincent accusa Jérémie di avvicinarsi troppo alla madre. Dalla discussione al litigio il passo è breve, alla rissa è consequenziale e inevitabile, con le conseguenze più tragiche.


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Vincent è sparito, la moglie è preoccupata, la mamma non sa darsi spiegazioni (ma non è eccessivamente allarmata, chissà perché), padre Philippe è onnipresente: a tavola, con l’immancabile pastis, a cena, per strada, sempre nel bosco, con o senza cesto colmo di spugnole. Questi cerca di essere discreto ma è ubiquo e presenzialista, salta fuori ogni momento e dove e quando meno te lo aspetti, osservando, intervenendo. Ma non come un buon Padre, bensì come un tacito e sollecito osservatore e organizzatore, pronto ad intervenire, in ogni caso. La dimostrazione è che lui “sa” (chissà perché, e come). I trascorsi della vita dei personaggi affiorano con calma, come funghi, che basta solo raccogliere e metterli in un contenitore in modo da ricavarne una pietanza completa, alla pari di ciò che si potrebbe dedurre accostando le cinque persone della trama. L’eros non sembra esserci, eppure il desiderio cresce alla maniera micologica in un film che cresce a cavallo tra Ozon e Chabrol, tra una donna matura e un quasi figlio, tra un giovane tornato ed un prete che capisce tutto e, soprattutto, accetta e ammette tutto, senza rispettare le leggi della chiesa e degli uomini.


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Poteva essere una commedia, diventa dramma e thriller psicologico, ma non tarda ad assumere le vesti di noir, con tanti di gendarmi che indagano e cominciano a seguire la pista giusta: che fine ha fatto Vincent? Chissà perché (mi sto ripetendo, eppure il film è in queste domande senza risposta) nessuno sembra disperarsi per la sparizione, piuttosto qualcuno (Martine? il prete?) hanno altri progetti una volta che Jérémie non ha più alle calcagna il tizio che lo pedinava, lo cacciava, lo voleva picchiare. Cosa nasconde ognuno di loro? Le certezze, si diceva nell’introduzione, sono assenti, le risposte latitano, lo spettatore si faccia delle ipotesi. E si accontenti, tanto nessuno gliene le darà, tantomeno Alain Guiraudie, che ci lascia senza moventi, senza corpo del crimine (che non si trova più, ma noi abbiamo visto tutto, ah, sicuramente anche padre Philippe). Tra intrighi, notti insonni, colonie di funghi e chiacchiere innaffiate da una buona dose di pastis, il film attecchisce e arricchisce la suspence con eccentricità e momenti surreali: il gendarme irrompe di notte nelle case delle persone per farle parlare mentre dormono, i cadaveri vengono sepolti, dissotterrati e sepolti di nuovo. E sacramento della confessione a parti invertite.


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Quando Miséricorde si chiude ci dice la cosa principale: il desiderio ha vinto, la vita va avanti nonostante la morte, la scomparsa del fornaio, di cui rimane solo una foto sfocata in costume da bagno, sarà l’occasione per un nuovo inizio, anche se non sappiamo bene cosa. Nulla è stato spiegato, il passato ha conservato i suoi segreti, vergognosi o meno. Il presente è un mistero, il futuro non esiste ancora. Per certi versi, agghiacciante.

È il cinema di Alain Guiraudie.


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Regista da approfondire meglio, attori diretti alla perfezione, Catherine Frot, per come siamo abituati, inimmaginabile in un ruolo così. Che finisce, anche lei (Jérémie è il più desiderato, a quanto pare), a letto con il giovane uomo:

“Posso stringermi a te?”, chiede lui.

“Forse è un po’ presto. Per il momento dormiamo” (per il momento…!)

“Posso almeno tenerti la mano?”

“La mano, con piacere”

 

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Riconoscimenti

Cannes 2024

In concorso per la Queer Palm

César 2025

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per il migliore attore non protagonista a David Ayala

Candidatura per il migliore attore non protagonista a Jacques Develay

Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Catherine Frot

Candidatura per la migliore sceneggiatura originale

Candidatura per la migliore promessa maschile a Félix Kysyl

Candidatura per la migliore fotografia

Lumière 2025

Candidatura per il miglior film

Candidatura per il miglior regista

Candidatura per la migliore sceneggiatura

Candidatura per la migliore promessa maschile a Félix Kysyl

Candidatura per la migliore fotografia

 


 
 
 

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