La donna della cabina numero 10 (2025)
- michemar

- 17 ott
- Tempo di lettura: 6 min

La donna della cabina numero 10
(The Woman in Cabin 10) USA, UK 2025 thriller 1h32’
Regia: Simon Stone
Soggetto: Ruth Ware (romanzo)
Sceneggiatura: Joe Shrapnel, Anna Waterhouse, Simon Stone
Fotografia: Ben Davis
Montaggio: Mark Day, Katie Weiland
Musiche: Benjamin Wallfisch
Scenografia: Alice Normington
Costumi: Eimer Ní Mhaoldomhnaigh
Keira Knightley: Laura “Lo” Blacklock
Guy Pearce: Richard Bullmer
David Ajala: Ben Morgan
Gitte Witt: Carrie
Art Malik: dott. Robert Mehta
Gugu Mbatha-Raw: Rowan
Hannah Waddingham: Heidi Heatherley
David Morrissey: Thomas Heatherley
Kaya Scodelario: Grace Philips
Daniel Ings: Adam Sutherland
Christopher Rygh: Lars Jensen
Pippa Bennett-Warner: Karla
John Macmillan: cap. Addis
Paul Kaye: Danny Tyler
Amanda Collin: Sigrid Nilssen
Lisa Loven Kongsli: Anne Bullmer
TRAMA: Una notte, una giornalista si accorge che un corpo è stato gettato in mare dal ponte dello yacht su cui è stata invitata. Cercando di denunciare il crimine, le viene detto che in realtà non è successo niente, dal momento che tutti i passeggeri e i membri dell'equipaggio sono regolarmente a bordo. Nonostante nessuno le creda, lei continua a cercare risposte, mettendo a repentaglio la propria vita.
VOTO 6

In parallelo a quello che succede in La ragazza del treno e in La donna alla finestra, ma in ambiente totalmente differente, accade ancora che una donna, la protagonista Laura Blacklock, che tutti chiamano Lo (Keira Knightley) di professione giornalista, assiste (lì dal finestrino di un treno e dalla finestra di casa), affacciandosi sul terrazzino della sua camera n.8 a bordo di uno yacht extra-lusso, al volo di un corpo che cade nel mare aperto dove stanno navigando, venuto giù dalla vicina cabina n.10. Spaventata, anche a causa dell’impronta di una mano insanguinata su una parete dell’affaccio, lancia l’allarme che mette in moto immediatamente il personale di sicurezza e il messaggio alle forze dell’ordine della zona. Allarme che rientra ben presto per il semplice fatto che nessuno dei passeggeri e del servizio manca all’appello, ma soprattutto perché la cabina incriminata non è stata assegnata ad alcuno. Una visione paranoica, come pensano tutti, dovuta ad un trauma da cui la donna è appena venuta fuori (aveva assistito all'omicidio di una donna che era il soggetto di un suo pezzo per averle parlato)? Una svista colossale? Un incubo ad occhi aperti?


Tutte le ipotesi sono probabili per il capitano, per la responsabile della sicurezza, per il padrone dell’imponente imbarcazione, Richard Bullmer (Guy Pearce) e per gli altri passeggeri, gente facoltosa o personaggi famosi invitati, come la nostra, al viaggio inaugurale del faraonico superyacht Aurora Borealis, di proprietà della magnate norvegese Anne Bullmer (Lisa Loven Kongsli) e appunto di suo marito Richard. Questa sta morendo di leucemia e Lo ha il compito di scrivere dell’inaugurazione piena di miliardari che vanno anche al gala di raccolta di danaro per la fondazione della signora. A bordo, tra i tanto, c’è anche il suo ex, Ben (David Ajala), e Lo, incontrandolo nel corridoio, per evitarlo, entra maldestramente proprio nella cabina 10 in cui infatti c’è una donna. A dimostrazione che non era vuota prima dello strano accadimento. Nessuno crede a ciò che ha raccontato e lei stessa comincia a dubitarne, ma troppe sono le prove che ha modo di trovare e si ritrova non presa sul serio, quasi derisa e compatita, con la certezza di essere stata testimone di un omicidio volontario.


In questo modello sfruttato decine di migliaia di volte nel cinema ma sempre funzionante, Lo è la persona che ha visto e non viene creduta o scambiata per pazza, ma - come da schema classico – anche lo spettatore ha visto e conosce la veridicità della versione del protagonista di turno. A questo punto sorgono le domande: perché gli altri non le credono? anzi, perché, invece e sicuramente, essendone al corrente, vogliono nascondere il misfatto? Il primo è quello apparentemente predominante, il secondo accende una luce accecante sulla realtà, perché non può essere altrimenti. Tutto sta a capirne il motivo, per cui Lo, fragile ma determinata, non si arrende e comincia ad indagare per conto suo, intuendo che gli ostacoli non sono pochi e sono molto pericolosi: sta rischiando perfino la vita, sta seguendo una pista rischiosissima. Chi è stato e, soprattutto, perché nessuno vuole che si sappia?


Lo yacht, pur essendo enorme come una piccola nave da crociera, con molti invitati ed un elevato numero di inservienti, cuochi e personale di bordo, è un microcosmo claustrofobico, una piattaforma galleggiante in alto mare da cui non è possibile evadere e, perdipiù, viene commesso anche un tentativo di omicidio ai suoi danni. L’unico che ora le sta concedendo credito è proprio l’ex Ben, a cui lei mostra una prima piccola prova, mettendo anche l’uomo in pericolo. Chiaro, a questo punto, che la situazione è manipolata scientemente e la prova definitiva arriva quando Lo è ricevuta in privato dalla ricca Anne che ormai ha i giorni contati, da cui viene a conoscenza di una decisione che può benissimo essere il movente del delitto. Che, però, non è quello che si può ipotizzare, ma molto peggio. I tasselli del puzzle stanno andando al loro posto e contemporaneamente, ad ogni pezzo aggiunto, la vita di Lo è sempre più in bilico. Anche per la prepotenza e la falsità del personaggio dominante a bordo: il marito della padrona, Richard.


Come negli altri due film citati e qui ancor di più, si affaccia prepotente un altro tema scottante: la delegittimazione della voce femminile. La sensazione di non essere credute non è solo un espediente narrativo, ma il cuore pulsante del racconto. La scrittrice del soggetto, Ruth Ware, ha dichiarato che il romanzo parla proprio di questo: Lo è una donna che dice la verità e viene ignorata perché donna, perché fragile, perché disturbante. Lei doveva essere lì per glorificare la magnificenza dell’imbarcazione e l’influenza delle persone invitate, una combriccola elitaria, e poi immortalare l’attimo della riunione finale dei benefattori, ed invece si trova invischiata nelle sabbie mobili per essere stata casualmente testimone di un incidente di percorso imprevisto.


Tra Assassinio sul Nilo e Triangle of Sadness, tra una crociera sul fiume, cioè, di gente benestante vista da Guillermin e quella delle figure grottesche e arroganti di Östlund, la navigazione di Lo diventa prima una paranoica disavventura e poi un thriller violento da cui rischia di non uscire viva, con il viso di Keira Knightley che si atterrisce sempre più minuto dopo minuto, già partendo da un’espressione affaticata e sofferta per l’episodio precedente della sua vita. Era andata pensando di svagarsi e divertirsi, soprattutto scrivendo i suoi apprezzati articoli, ma gli eventi l’hanno travolta e implicata oltre ogni aspettativa ed ora si muove negli stretti cunicoli dei sotterranei dello yacht per sfuggire a chi la cerca. Buon per lei che trova l’alleanza insperata con Carrie (Gitte Witt) una delle pedine in mano all’artefice del diabolico disegno (no spoiler). Non è certo comodo sentirsi accerchiata in un luogo grande ma chiuso, combattendo non contro un probabile assassino ma contro un sistema che tende a silenziare, a dubitare, a riscrivere i fatti. Intanto, la sua battaglia per essere ascoltata risuona vana e messa in dubbio. Il film non cerca ambiguità: come afferma il regista Simon Stone, lo spettatore non è mai spinto a dubitare di Lo: il punto non è se ha visto davvero qualcosa. Il punto è che nessuno vuole crederle, anche se è successo.


Simon Stone (La nave sepolta) costruisce un’atmosfera in cui il lusso serve a mascherare il pericolo. La fotografia è limpida, levigata, quasi pubblicitaria, un contrasto che amplifica il senso di alienazione. È come se la nave, con tutto il suo comfort, fosse progettata per disinnescare ogni allarme. Ma il pericolo non scompare. Si nasconde meglio, navigando (anche metaforicamente) tra il visto e il non raccontabile, tra la verità e ciò che deve invece risultare. Purtroppo, però, il film, thriller anche psicologico, è debole e le premesse non diventano consistenze: prima di tutto lo schema è già visto più volte e poi la prevedibilità è a vista d’occhio. Non ci sono sorprese: noi siamo testimoni come la protagonista per cui l’unica variabile è come cavarsela, ma, si sa, raramente l’eroe involontario soccombe. Si tratta solo di aspettare per vedere chi sia il vero colpevole e il movente, in questo caso senza neanche aspettare l’ultima sequenza, dedicata piuttosto al colpo di scena finale e al capovolgimento degli atteggiamenti dei tanti boriosi e presuntuosi invitati. Per giunta ci si mette anche qualche “aggiustamento” della sceneggiatura e qualche leggerezza registica. Nulla di pretenzioso, quindi, una classica distribuzione Netflix.


Cast molto ricco composto da celebrità non tanto del cinema internazionale quanto del parterre vip britannico, da David Ayala, Gugu Mbatha-Raw, Hannah Waddingham, David Morrissey, Kaya Scodelario e così via, in cima ai quali vanno di diritto l’ansiogena e nervosa Keira Knightley e Guy Pearce in una delle tante metamorfosi dei suoi personaggi.
Non passerà alla storia, puro passatempo neanche lungo.






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