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La rivoluzione silenziosa - Silent revolution (2018)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 30 nov
  • Tempo di lettura: 5 min
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La rivoluzione silenziosa -  Silent revolution

(Das schweigende Klassenzimmer) Germania 2018 dramma storico 1h51‘

 

Regia: Lars Kraume

Soggetto: Dietrich Garstka (saggio)

Sceneggiatura: Lars Kraume

Fotografia: Jens Harant

Montaggio: Barbara Gies

Musiche: Christoph Kaiser, Julian Maas

Scenografia: Olaf Schiefner

Costumi: Esther Walz

 

Leonard Scheicher: Theo Lemke

Tom Gramenz: Kurt Wächter

Lena Klenke: Lena

Isaiah Michalski: Paul

Jonas Dassler: Erik Babinsky

Ronald Zehrfeld: Hermann Lemke

Carina Wiese: Irmgard Lemke

Michael Gwisdek: Edgar

Jördis Triebel: Frau Kessler

Florian Lukas: direttore Schwarz

Burghart Klaußner: Fritz Lange, ministro dell'istruzione

Max Hopp: padre di Kurt

Judith Engel: madre di Kurt

Rolf Kanies: insegnante di tiro

 

TRAMA: Nella Germania dell'Est, un gruppo di studenti decide di mostrare la propria solidarietà alle vittime della rivolta del 1956 in Ungheria osservando un minuto di silenzio in classe.

 

VOTO 6,5


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Antefatto.

Stalinstadt [*], 1956. Due studenti liceali prossimi al diploma, Theo Lemke e Kurt Wächter, rientrano a casa dopo una visita al cinema dove hanno visto Liane, la ragazza della giungla a Berlino Ovest. Nel cinegiornale che precedeva il film compaiono immagini della rivolta popolare in Ungheria. Tornati nella DDR, i ragazzi si accorgono della netta differenza tra le notizie diffuse dai media dell’Ovest e quelle dell’Est: il cinegiornale e la radio RIAS (Rundfunk im amerikanische Sektor, società radiotelevisiva con sede a Berlino Ovest, fondata dopo la Seconda Guerra Mondiale dall'amministrazione militare statunitense) - che ascoltano di nascosto grazie a Edgar, il prozio omosessuale del loro compagno e amico Paul - raccontano con favore il movimento borghese-democratico, mentre i mezzi di comunicazione della DDR ne danno una versione filo-sovietica e condannano la rivolta.


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Quando la RIAS trasmette un minuto di silenzio del Consiglio d’Europa e annuncia la morte del celebre calciatore Ferenc Puskás (notizia che si rivelerà poi una bufala e che diventerà un’arma in mano agli ispettori della scuola), Kurt propone di osservare a scuola un minuto simbolico di silenzio in memoria delle vittime. L’intera classe si schiera compatta, tranne Erik, figliastro del pastore locale e figlio di un combattente comunista caduto nel campo di concentramento di Sachsenhausen.

*[Stalinstadt era la città residenziale della neonata Eisenhüttenkombinat Ost (poi ArcelorMittal Eisenhüttenstadt GmbH, che ha avuto a che fare con l’italiana ILVA di Taranto), creata nell'estate del 1950 insieme alla costruzione della fonderia di Fürstenberg (Oder). In origine, era previsto di intitolare la “prima città socialista su suolo tedesco” il 14 marzo 1953, in occasione del 70º anniversario della morte di Karl Marx, in onore del “più grande figlio del popolo tedesco”. La morte di Josef Stalin il 5 marzo, poco prima della nomina prevista, cambiò la situazione e il 7 maggio, la città residenziale fu quindi intitolata al suo nome di battaglia Stalinstadt. Invece, il 10 maggio fu dato il nome di Karl-Marx-Stadt.]


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Il cuore del film.

Il minuto di silenzio, programmato e deciso alla quasi unanimità da tutti i diplomandi della classe, avviene durante la lezione di storia del professor Mosel, che inizialmente crede di essere lui stesso l’oggetto della protesta. Quando Erik chiarisce che si tratta di un gesto politico, l’insegnante segnala l’accaduto al preside Schwarz. Il direttore cerca di minimizzare l’accaduto, pur difendendo al tempo stesso l’idea del socialismo. La sera, l’intera classe si riunisce ancora da Edgar, dove attraverso la RIAS viene a sapere che le truppe sovietiche si sono ritirate temporaneamente e che però l’Ungheria dovrebbe avere un nuovo governo. Intanto, il simbolico “minuto di silenzio” rischia di essere ulteriormente indagato, tanto che prima arrivano due ispettori dal piglio severo, poi giunge addirittura il ministro dell’istruzione Fritz Lange (Burghart Klaußner) avvertito degli eventi, diciamo, leggermente sovversivi dei giovani. Infatti, Edgar elogia i ragazzi come liberi pensatori, ma avverte anche che, proprio per questo, ora sono considerati quali nemici dello Stato. Theo propone di cavarsela dichiarando che il gesto era soltanto un omaggio alla morte di Ferenc Puskás. In una votazione segreta, la maggioranza – con grande delusione di Kurt – sceglie di sostenere la bugia di Theo. Più tardi, il gruppo riesce a convincere anche Erik, assente alla riunione, ad aderire al loro piano. I sospetti dei superiori sono tanti ma quando salta fuori che la notizia della morte del famoso calciatore ungherese era falsa, ciò che oggi chiamiamo bufala, non ci sono più alibi a proteggere gli studenti.


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Il film di Lars Kraume è un film che mette in scena la tensione tra memoria storica e presente, trasformando un episodio apparentemente marginale in un racconto universale di coscienza politica e responsabilità collettiva. Va sottolineato come il regista scelga un registro sobrio, lontano da ogni enfasi spettacolare, per restituire la dimensione quotidiana di un gesto che diventa rivoluzionario. In altre parole, il film non indulge nel melodramma ma lavora su dettagli e atmosfere: la rigidità degli spazi scolastici, la sorveglianza costante, il peso di un’autorità che si insinua persino nei silenzi. È proprio quel silenzio, al centro della vicenda, a diventare linguaggio cinematografico: un vuoto che si riempie di tensione, di sguardi, di paure condivise. Se poi si aggiunge la severa e pesante atmosfera che abbiamo modo di notare nelle case dei due protagonisti, ci si rende conto quale clima vigesse: genitori arcigni che temono di subire repressioni, mamme più indulgenti, rischi per la vita sociale: tutto contribuiva a rendere l’aria irrespirabile per i giovani che crescevano con la voglia della libertà e di affermarsi con la propria personalità.


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Lars Kraume, già autore di Lo Stato contro Fritz Bauer (con gli stessi attori Burghart Klaussne e Ronald Zehrfeld), conferma la sua attenzione per i momenti in cui la Storia si riflette nelle vite comuni. Qui la regia si fa quasi documentaria, con un ritmo che privilegia l’osservazione e la coralità, evitando di trasformare i protagonisti in eroi isolati. La forza del film sta infatti nella capacità di mostrare come un gesto collettivo, fragile e imperfetto, possa incrinare l’apparato di potere e far scattare l’allarme del governo solo per un gesto simbolico.


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La fotografia e la messa in scena insistono su una DDR grigia, soffocante, dove ogni scelta personale diventa politica. Non c’è spazio per l’idealizzazione: il film mette in luce la durezza del sistema repressivo, ma anche le contraddizioni interne dei ragazzi, divisi tra paura e desiderio di libertà. In questo senso, non è solo un racconto storico, ma un invito a riflettere sul presente: su quanto sia difficile, e al tempo stesso necessario, difendere il diritto di pensare e di dissentire. È un cinema che lavora sull’etica più che sull’estetica, e che trova la sua forza proprio nella misura, nella capacità di raccontare senza gridare. In breve, Kraume costruisce un film sobrio e incisivo, dove il silenzio diventa gesto politico e il racconto storico si trasforma in riflessione universale sulla libertà di coscienza.


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Ma proprio questo stile sin troppo sobrio e grigio, evidentemente cercato dall’autore, rende il film più un’opera televisiva che da vero cinema da sala e di conseguenza mi ha trattenuto e quindi emozionato poco: un po’ per la recitazione dei giovani non ancora maturi per il set, un po’ per la plumbea ambientazione, pare un film veramente girato nel dopoguerra e in un luogo poco ospitale. Probabilmente non mi sono reso conto che era l’effetto cercato da Kraume. Ciò non toglie nulla, ovviamente, alla sostanza e al grido di dolore di una generazione prima sacrificata al fronte e poi, quelli più giovani, immolati nella mancanza di libertà d’espressione.


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Bella la classe di questi giovani, lodevole la loro disponibilità a cercare di essere quelli che ora sono loro nonni e che soffrivano l’angusto mondo che si ritrovavano. Me li immagino il 9 novembre del 1989, quando il Muro cadeva: chissà la loro felicità a poter varcare quel confine che nel film vediamo attraversare con i pretesti più vari pur di provare a rendersi utili o, ahimè, a tentare di diplomarsi nell’Ovest.

Buon film, anche educativo per colmare qualche lacuna storica. Degno di 9 premi e 8 candidature in varie manifestazioni.

 


 
 
 

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