La vedova nera (2025)
- michemar

- 2 ott
- Tempo di lettura: 5 min

La vedova nera
(La viuda negra) Spagna 2025 thriller 2h2’
Regia: Carlos Sedes
Sceneggiatura: Ramón Campos, Gema R. Neira, Jon de la Cuesta, Ricardo Jornet, David Orea, Javier Chacártegui
Fotografia: Daniel Sosa Segura
Montaggio: Diego Fajardo, Andrés Federico González
Musiche: Adrian Foulkes, Federico Jusid
Scenografia: Ángel Amaro
Costumi: Antonio M. Sánchez de Dios
Ivana Baquero: Maria Jesus “Maje” Moreno
Tristán Ulloa: Salva Rodrigo
Carmen Machi: Eva Torres
Pablo Molinero: Turrientes
Álex Gadea: Arturo Gadea
Pepe Ocio: Bernardo
Tania Fortea: Sonia
Joel Sánchez: Daniel
Miquel Mars: Victor
Ramón Ródenas: Javier Gil
Sergio Abelaira: Elias
Amparo Oltra: Amparo
Óscar Pastor: Francesc
Max Ulloa: Jorge
Siscu Romero: Luis
Candela Márquez: Laura
Gloria Vega: Mercedes
Jesús Castro: Andres
Berta Ibarra: Sandra
TRAMA: Nel quartiere di Patraix, a Valencia, l’avvocato Arturo Gadea viene trovato morto all’interno di un garage. Le indagini successive portano alla scoperta dei segreti nascosti dalla moglie infermiera Maje e da uno dei suoi amanti, Salva, un collega.
VOTO 6

Un’occasione persa, quella del regista galiziano Carlos Sedes, noto in patria più che altro per le tante serie firmate, perché il suo film parte bene, con un delitto, l’intervento della squadra omicidi, una “ispettora” calma ed esperta, Eva (Carmen Machi), profonda conoscitrice non solo dei tantissimi casi già risolti (il suo lavoro vanta una percentuale del 98% di successo) ma anche dell’animo umano, le intelligenti indagini sistematiche e collaudate, ma poi si perde in una lungo flashback esplicativo ma dispersivo, perché nel tentativo del regista di scavare e illustrare il passato della vedova, si perde nei meandri del comportamento superficiale e smanioso della giovin signora Maje (Ivana Baquero). Tuto prometteva un andamento interessante e avvincente ma la digressione è un po’ troppo lunga.
E non per qualche minuto o qualcosa in più per approfondire, ma per quasi l’intera seconda metà del film, sino al livello di far mettere mentalmente da parte l’atto criminoso e le indagini in corso, correndo il rischio di far dimenticare l’importantissimo personaggio di Eva, vera mattatrice della storia a fianco della misteriosa vedova, che è un caso psicologico da studiare. Quando, finalmente, si ritorna al presente e alla conclusione ci si accorge che il film ha quasi perso il filo che, ripreso, ci porta laddove bisognava essere da svariati minuti. Ma di cosa si trattava?
Nell’agosto 2017, il corpo assassinato di un uomo viene trovato in un parcheggio condominiale di Valencia, accoltellato sette volte. Mentre tutto fa pensare a un delitto passionale, la Squadra Omicidi della città, con un’ispettrice veterana al timone, la non più giovane ma espertissima e saggia Eva, inizia un’indagine contro il tempo che la porta presto a un sospettato che nessuno si aspettava: Maje, la giovane vedova, dolce e serena, che era sposata con la vittima da meno di un anno. Sette coltellate, una vedova che piange senza lacrime, un amante con la colpa tatuata sulle mani: “culpa” è scritto sulle mani di Salva. Segno inquietante di pentimento? Oppure testimonianza del peso psicologico? Una condanna autoimposta? Nel film il dettaglio è ripreso in una scena particolarmente intensa, dove l’uomo mentre riflette sul suo gesto.
La vera storia aveva già tutto, triangolo amoroso, manipolazione psicologica e un cadavere in un parcheggio del quartiere. Tuttavia, la sceneggiatura, a quanto pare fedele fino all’ossessione, indugia tra la medicina legale, le dichiarazioni della polizia, le perizie, le cronologie meticolose. È come guardare un intero puzzle davanti a te, sai come va a finire e non un singolo bordo disallineato rompe la tensione. Il peggio, evitando il perché, è stato il male, la disperazione o il vuoto esistenziale? La vedova nera preferisce la melodrammaticità, la commozione, ma all’occhio esperto di Eva pare troppo teatrale e siccome conosce l’animo umano non si fa incantare e, scava scava, scopre come quella giovane donna così attraente amasse il divertimento anche senza marito. Anzi, si giovava dell’assenza per darsi senza alcun tentennamento né perplessità al primo giovanotto da cui si sentiva attratta. Il film non parla di ninfomania ma siamo decisamente nei paraggi. È impressionante la facilità con cui nei locali, nei bar, nei club aggancia i più prestanti. Tranne uno, Salva (Tristán Ulloa), un collega infermiere, per nulla giovane e per nulla piacente. Un uomo di mezza età sposato con figlio adolescente e la tintura sui capelli. Un uomo comune 20 anni più grande di lei. Ma che a Maje serve.
Poi, con il marito, ovviamente, tante moine e gentilezze. Quando in lei si fa strada l’idea di poter usufruire della polizza sulla vita del marito, scatta l’idea e come organizzare il delitto evitando di farsi intrappolare. Convince l’uomo maturo di essere l’unico della sua vita e di subire violenze domestiche dal marito, convincendolo ad aiutarla per venirne fuori. Il piano riesce fino al punto che al momento della confessione nella stazione di polizia l’uomo ammette di essere stato il solo a pensare, ad agire e di non aver avuto pressione da parte dell’amante. Nulla di più falso, ma solo l’intuito e l’esperienza dell’ispettrice saranno determinanti a mettere in chiaro le responsabilità della mandante e dell’esecutore materiale del crimine. D’altronde, che vedova pare, se anche prima di essere interrogata si attarda a messaggiare chissà con chi, invece di riflettere sulla disgrazia abbattutasi?
Non esistono altre motivazioni e altri moventi: né droga, né traffici illeciti, né denaro, solo la voglia della giovane donna di liberarsi dal peso di un marito, un’assicurazione da riscuotere e la bella vita davanti, con libertà sessuale annessa. Nulla di nuovo sotto il cielo, condizioni risapute e presupposti ricorrenti. Solo l’occhio perspicace di Eva, però, sa vedere così lontano e così presto per giungere alla conclusione velocemente.
Ivana Baquero si distingue per un ruolo che richiede ambiguità e moderazione e la sua interpretazione di Maje oscilla tra l’angelico e il conturbante, raggiungendo una presenza inquietante. Tristán Ulloa, nei panni dell’amante complice, fornisce un contrappunto vulnerabile e umano. Carmen Machi brilla nei panni dell’ispettrice veteranoìa con una performance solida e realistica che aggiunge gravità alla storia. È così brava che la sua adeguatezza al ruolo la fa somigliare ad altre figure mitiche del campo investigativo: Maigret, Colombo, Poirot, oppure qualche detective privato degno di menzione tipo Marlowe. Ha la stessa flemma, calma, ragionamento logico e guarda dritto negli occhi di chi interroga cercando di trasmettere il miglior messaggio possibile: non mi incanti e sappi che scoprirò tutto.
Bene ha fatto il regista a girare negli stessi luoghi dove avvennero i fatti da cui parte il soggetto del film e li ha anche saputi fotografare, ricreando prima di tutto l’attendibile ambientazione ed anche un discreto clima di tensione perversa, alternando i momenti delle indagini e quelle delle scorribande sessuali, su cui, come detto, si concentra buona parte della seconda parte. Altra caratteristica è che ha voluto suddividere il film in tre capitoli, dedicati ai tre personaggi principali, concentrandosi sui fatti e sulla psicologia criminale piuttosto che sull’effetto. Il primo è “L’Angelo”, che introduce la protagonista con il suo volto dolce e apparentemente innocente, e mostra la sua vita pubblica e il rapporto con il marito Arturo, lasciando intuire che qualcosa non torna. Il secondo è “Il Veleno”, in cui si svela la sua doppia vita, le sue relazioni extraconiugali e la manipolazione psicologica che esercita su Salva, l’amante mandatario. Qui la tensione cresce e si delinea il piano omicida. Ed infine il terzo, “La Trappola”, che racconta le indagini, la scoperta della verità e il processo. Il tutto culmina con l’arresto dei colpevoli e un epilogo che collega la finzione alla vera storia del delitto di Patraix.
Il clima e le interpretazioni principali lo rendono una buona proposta all’interno del genere true crime. Un film per chi cerca di capire piuttosto che giudicare.





































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