Mickey 17 (2025)
- michemar

- 1 dic
- Tempo di lettura: 6 min

Mickey 17
USA, Corea del Sud 2025 fantascienza 2h17’
Regia: Bong Joon-ho
Soggetto: Edward Ashton (Mickey7)
Sceneggiatura: Bong Joon-ho
Fotografia: Darius Khondji
Montaggio: Jinmo Yang
Musiche: Jung Jae-il
Scenografia: Fiona Crombie
Costumi: Catherine George
Robert Pattinson: Mickey Barnes / Mickey 17 / Mickey 18
Naomi Ackie: Nasha
Steven Yeun: Timo
Mark Ruffalo: Kenneth Marshall
Toni Collette: Ylfa
Holliday Grainger: Gemma
Anamaria Vartolomei: Kai Katz
Cameron Britton: Arkady
Thomas Turgoose: soldato Bazooka
Patsy Ferran: Dorothy
Daniel Henshall: Preston
Steve Park: ag. Zeke
TRAMA: Mickey Barnes, un giovane in difficoltà economiche, si arruola per una missione spaziale finalizzata alla colonizzazione del pianeta Niflheim.
VOTO 6,5

Dall’uscita nel 2013 di Snowpiercer, proseguendo con Okja e Parasite, Bong Joon-ho ci ha abituati alla sua visione distopica della società moderna e della lotta di classe, mescolate con la satira che gli appartiene e al senso spiccato di un umorismo particolare, certamente grottesco. È così che ama dipingere i suoi quadri della comunità umana, egoista ed eccentrica, che sottomette i più deboli, coloro che sono meno privilegiati. Dopo i primi film ambientati nel suo Paese, che trattavano di fatti misteriosi un po’ fantasy e a volte al limite horror, nel 2013 cominciò a dividere i ricchi dai disperati sistemandoli nelle prime carrozze del treno ghiacciato che filava a tutta la velocità, ben protetti dalle proteste dei poveracci che si organizzavano per la rivolta, relegati nelle carrozze di coda, come la scala sociale.


Sempre in un mondo distopico, ecco un futuro dove la Terra è sovraffollata e in preda ai disastri climatici, così che un’astronave viene inviata sul pianeta Niflheim per colonizzarlo e dare il via a una nuova era. Il progetto è promosso dal tirannico Kenneth Marshall, politico fallito ed esaltato, dietro il quale sembra celarsi un’organizzazione teocratica e totalitaria. Intanto Mickey Barnes (Robert Pattinson) e il suo amico Timo (Steven Yeun), dopo una disavventura finanziaria, sono in fuga da un gangster usuraio ed allora decidono di arruolarsi nell’equipaggio dell’astronave: il secondo trova lavoro come pilota di shuttle, mentre l’altro diventa un “sacrificabile” nel senso che viene adoperato come cavia per tutte le condizioni che metterebbero a rischio la sopravvivenza umana e ogni volta che muore, mediante una speciale stampante 3D biologica, viene rigenerato un suo clone, con i suoi ricordi e la sua personalità intatti. Quando sorprendentemente il giovane sacrificabile interpretato da Robert Pattinson sopravvive ad un incidente che tutti credevano fatale e nel frattempo è stato già creato il suo doppio chiamato 18, il suo ritorno alla base crea un pericoloso paradosso: due cloni esistono contemporaneamente, violando le rigide regole della missione. Da quel momento, Mickey 17 si trova in una lotta per la sopravvivenza non solo contro i pericoli del pianeta ostile, ma anche contro la sua stessa replica e i membri dell’equipaggio, che vedono in lui una minaccia.


Mescolando vari generi, il regista solleva già domande, con l’aspetto della clonazione, su cosa significhi essere umani e se l’individualità possa sopravvivere alla replicazione, mettendo in evidenza il concetto di capitalismo del corpo umano che in questa maniera diventa merce di scambio. Infatti, il protagonista è trattato, come detto, sacrificabile, in pratica un oggetto utile alla missione, facendoci riflettere su come il potere riduca l’essere umano a semplice risorsa, annullando totalmente la personalità. È solo uno strumento per gli scopi prefissati dalle esigenze prestabilite da chi detiene il potere.


Per esplicare questi concetti, il regista, utilizzando satira sociale e politica, scolpisce figure caricaturali di politici populisti e leader fanatici, mescolando fantascienza e commedia grottesca per criticare il potere e la disumanizzazione. La figura, infatti, del comandante della missione Kenneth Marshall (Mark Ruffalo) è la sua precisa idea di un governante prepotente ed esaltato, nettamente sopra le righe, ben accompagnato dalla consorte che ama fare salse ributtanti con ciò che le suggerisce la malata fantasia di cui è dotata: lei è Ylfa (Toni Collette), perfetta e affezionata partner da cui ci si può aspettare di tutto. Salta immediatamente agli occhi la questione etica: la routine della morte e la possibilità di “doppioni” mettono in crisi i limiti morali della clonazione e la banalizzazione della vita.


Non mancano tanti personaggi un po’ surreali e grotteschi, le passioni amorose, le gelosie, ma soprattutto l’accesa rivalità tra i due sosia, che, rispettando la casistica, hanno caratteri ed emozioni differenti, il 17 più buono e generoso, il 18 arrivista e violento. Intorno una miriade di piccoli e grossi mostriciattoli con un loro linguaggio fatto di grugniti che al potere – classicamente – paiono pericolosi e da annullare, come ogni popolo indigeno a cui lo straniero invasore vuole togliere la propria terra (vedi gazawi, pellerossa, aborigeni, indios), i quali invece di mettere paura diventano i beniamini dei pochi personaggi buoni ma soprattutto dello spettatore, una volta intuite le loro pacifiche intenzioni. Mica per niente diventano alleati dell’inarrendevole Mickey 17. Non manca neanche un pizzico di follia sensuale con la bella Nasha (Naomi Ackie) che, innamoratasi prima del 17, scopre che sarebbe divertente avere a disposizione anche il 18, il che costituisce l’aspetto più divertente delle storie di contorno.


Bong Joon-ho non perde né pelo né vizio e quindi non disperde il suo personale stile ed il suo tono di mattacchione, girando e distribuendo durante l’intera durata il grottesco e l’ironico, alternando momenti comici e dissacranti a riflessioni cupe. Perché, sia chiaro, se ne può ridere, ma il quadro non è ottimistico. Anche per l’ambientazione distopica predominante, con tanto di dittatorello e servitori adulatori ruffiani. Forse avrebbe potuto fare a meno della voce fuori campo, ma ho notato che non dà fastidio e non condiziona per nulla la visione di un film che mescola creature aliene e ambientazioni futuristiche con metafore più che chiare.


Volendo confrontare questo lavoro con i precedenti più fortunati, si rileva che, mentre Parasite aveva una satira tagliente e universale, qui la narrazione è più didascalica e meno incisiva, pur mantenendo la critica al capitalismo. Da Okja e Snowpiercer il film riprende i temi della manipolazione genetica e della lotta di classe, ma con un tono più leggero e meno drammatico. Sembra di essere in una favola per adulti, più macchiettistica del solito, a volte perfino paradossale perché al limite del fantasy. Non che gli altri fossero realistici, ma questo è davvero fantasioso. Nel contempo prevale l’azione più che negli altri: il doppio Mickey non è mai fermo, specialmente il 17 che salta da un pericolo all’altro, sempre in movimento perché inseguito, mai un attimo di sosta tranne che tra le braccia di Nasha. Ha persino la faccia abbattuta e qualche volta depressa, ma non ha tempo di riflettere sui suoi guai e deve stare sempre all’erta.


Robert Pattinson è fuori lontanissimo dai consueti ruoli: adotta il sistema inevitabile di due toni di voci per i due cloni, fa faccine mai viste, si adegua, insomma, al clima del regista sudcoreano e ci gioca con impegno. Non abituato a vederlo così, il pubblico temporeggerà a simpatizzare con l’attore ma poi si finisce per fare il tifo per lui. Bravo ma non so se lo vedremo di nuovo in queste condizioni. Mark Ruffalo, al contrario, non è il solito bravo ragazzo come lo conosciamo e si ritrova nei panni di un pazzoide che prende spunto dai più tristemente famosi dittatori del secolo scorso e forse anche da qualche personaggio biondo attuale: si ritiene il migliore e fa elogi solo per sé e la moglie Toni Collette, adattissima per un personaggio colorito e fumettistico, una iena che ci riserva una sorpresa finale. Bravi anche i tanti personaggi di contorno, ma ciò che conta sopra tutto e tutti è il contenuto, è il significato politico-sociale di Bong Joon-ho: quanto conta oggi la vita e il valore di un dipendente? Solo forza lavoro e carne da macello?


Non è il miglior Bong Joon-ho che sappiamo, non è certamente non all’altezza delle volte precedenti, il film si lascia vedere ma è anche un po’ troppo lungo, ma ripetersi dopo Parasite era davvero tanto difficile. Un mezzo voto in più della sufficienza premia la fantasia, la discreta simpatia e la messa in scena che caratterizza i cupi e ferrosi interni di un’astronave per nulla allegra. Ma resta un film poco incisivo, non indimenticabile.






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