Migliori nemici (2019)
- michemar

- 29 lug 2020
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 12 set

Migliori nemici
(The Best of Enemies) USA 2019 biografico 2h13’
Regia: Robin Bissell
Soggetto: Osha Gray Davidson (The Best of Enemies: Race and Redemption in the New South)
Sceneggiatura: Robin Bissell
Fotografia: David Lanzenberg
Montaggio: Harry Yoon
Musiche: Marcelo Zarvos
Scenografia: Jeannine Oppewall
Costumi: J.R. Hawbaker
Taraji P. Henson: Ann Atwater
Sam Rockwell: Claiborne Paul Ellis
Wes Bentley: Floyd Kelly
Babou Ceesay: Bill Riddick
Anne Heche: Mary Ellis
John Gallagher Jr.: Lee Trombley
Nick Searcy: Garland Keith
Bruce McGill:Carvie Oldham
Sope Aluko: Henrietta Kaye
Ned Vaughn: Wilbur Hobby
Rhoda Griffis: Whitney
TRAMA: Ann Atwater è una schietta attivista per i diritti civili. C.P. Ellis, invece, è un leader del Ku Klux Klan locale. Nel 1971, durante una calda estate, formeranno un improbabile legame per combattere contro la segregazione razziale nelle scuole di Durham, nella Carolina del Nord. Gli eventi che seguiranno cambieranno le loro esistenze per sempre.
Voto 6,5

Il cinema è affollato di soggetti che trattano di battaglie antirazziste che hanno un bel finale costruttivo, che indicano la strada della pacificazione e della redenzione (così come recita il titolo del libro che ha originato il film). Tante volte paiono troppo accomodanti, troppo buonisti (brutto termine molto usato oggi) che portano la parola “fine” in coda ad una pellicola che pare girato apposta per dare conforto. Ed invece no, questa volta il film, anche se può dare l’impressione di una bella favola scritta a fin di bene, è una storia vera, una vicenda realmente accaduta che sbalordisce per il modo imprevedibile in cui il protagonista negativo resta folgorato sulla sua strada di Damasco, per come, quando meno ce lo si poteva aspettare, fa una vera giravolta nella sua vita e diventa un paladino dei diritti civili. Un film su una giusta causa, almeno per chi oggi non si sente a disagio e non teme la vicinanza di una persona solo perché parla o prega o ha una pelle di colore diverso (da bambino lessi di una scrittrice di cui non ricordo il nome che affermò che il colore è una invenzione dei nostri occhi). Proprio per questo l’opera dell’esordiente regista (ma non più giovane ma già in precedenza produttore e autore di soundtracks) Robin Bissell può sembrare ottimistica e accomodante ma tutto ciò che si vede e si sente è veramente accaduto.

Siamo nel 1971 a Durham, nel North Carolina, una città popolosa come altre dello stato che si affaccia sull’Atlantico, quando una scuola per bambini delle famiglie nere della zona viene data a fuoco. I giovani studenti si ritrovano senza aule e quindi la comunità black si attiva affinché possano frequentare la scuola dei bianchi: inevitabile a questo punto la ribellione della nutrita schiera degli oppositori bianchi. Su tutti si erge il gruppo dei suprematisti iscritti alla temibile associazione ben conosciuta chiamata KKK, agguerrita e pronta a dare battaglia anche fisica per contrastare le pretese dei neri. Il presidente locale del movimento razzista è il titolare della pompa di benzina C.P. Ellis, per tutti C.P., un uomo orgogliosamente convinto delle sue idee e buon padre di famiglia, che dedica tempo anche al figlio portatore di un handicap mentale ricoverato in un istituto. È la classica situazione in cui le due etnie sono nettamente separate e che non solo non si frequentano ma si tengono anche a distanza, gli uni per evitare guai e violenze gratuite, gli altri per non perdere i privilegi che ritengono di diritto, essendo semplicemente nati bianchi.

Ann Atwater è una donna di colore che non ha paura di nulla (“parla tanto e non ascolta”), è sempre a capo delle proteste e si presenta sempre in prima linea come tenace attivista. Tutti i suoi la rispettano e la ritengono una vera leader, la riconosciuta guida che non si arrende mai. È lei che si muove ancora una volta per far riavere ai giovani neri una scuola per studiare e crescere, ma l’opposizione suprematista è dura e non si riesce a trovare una via d’uscita. Fin quando non interviene un intermediatore (per giunta nero anch’egli) inviato lì per istituire una commissione mista e discutere e recuperare una soluzione tra le due fazioni. Scorgiamo che nella fattispecie la questione razziale non è allargata a tutta la nazione ma resta una problematica locale e difatti la trama non si discosta dalla città, luogo in cui avvengono anche fatti spiacevoli e non poche volte si giunge sull’orlo di atti criminosi. La gente nera è spaventata ma la coraggiosa Ann Atwater non retrocede di un millimetro e il suo atteggiamento provoca perfino ammirazione nel suo acerrimo nemico, il quale nonostante l’astio che prova verso quella donna le riconosce audacia e determinazione. Qualcosa intanto si incrina nella sua mentalità e nelle sue convinzioni. Le faticose riunioni della popolazione nelle commissioni organizzate dal mediatore Bill Riddick giungono faticosamente all’atto finale e alle votazioni, dove emerge con grande stupore generale un risultato davvero sorprendente. Finale accomodante che dà risalto alla giusta causa? No, la più bella sorpresa è che è tutto vero, tutto andò in questa maniera e vedere nei titoli di coda le immagini e i video dei due reali personaggi storici fa davvero impressione: due vecchietti che a stento sono in piedi e che si reggono l’uno all’altra, come solo due vecchi amici potrebbero fare. Sorridenti e affezionati. Come è stato possibile? Di questo ci racconta il film.

Nulla di eccezionale, nulla di esaltante, ma comunque un film che appassiona e si fa voler bene a gran parte del merito va ai due attori protagonisti, molto validi. Lei è Taraji P. Henson, leggermente invecchiata e notevolmente appesantita per farla diventare la vera eroina della storia, con un gran seno che le scende sulla pancia ed una camminata a passi ondeggianti a gambe allargate, che chiama “zio Tom” l’istruito, preparato e fiducioso Bill Riddick: una simpatia che entusiasma, una forza della natura. Bravissima.
Lui è quell’attore che nella crescita artistica non finisce di stupire in bravura. Sam Rockwell, che fa un’operazione molto semplice: trasmigra il suo premiato vicesceriffo dei manifesti di Ebbing quasi pari pari in questo costruttivo film. Stesso atteggiamento strafottente, stessa postura baldanzosa, stesso ghigno di chi non si fa fregare da nessuno, stesso stomaco prominente che preannuncia il passaggio del capo razzista suprematista presidente del KKK. Eppure, lentamente quel tipaccio lo vediamo cambiare, lo notiamo guardare con uno sguardo diverso quella donna nera cocciuta e rissosa che non ha paura di urlare in faccia a qualsiasi abitante bianco i suoi diritti, quelli dei ragazzi che non hanno più scuola e della sua gente. Ovviamente lei ne guadagnerà in stima da tutti, mente il pentito C.P. si dovrà sorbire la rabbia e la reazione dei razzisti che si sono sentiti traditi dalla persona a cui si erano affidati e in cui credevano ciecamente.

Un film quindi che narra di un valido motivo per cui vivere e combattere, una giusta causa per cui sognare. Un film godibile almeno per i duetti imperdibili dei due protagonisti che sin dal primo momento non si sopportano, si guardano in cagnesco, si rifiutano di sedersi allo stesso tavolo per mangiare per la prima volta assieme, che si minacciano con gli sguardi. Due persone che hanno imparato a conoscersi e a capirsi, ma una vincente e l’altro che ammette le ragioni della parte opposta, fino ad arrivare al punto di combattere egli stesso per i medesimi scopi. The Best of Enemies, il migliore dei nemici, il migliore degli amici.
Ah, potesse accadere davvero in tutto il mondo e per sempre!






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