Morte a Venezia (1971)
- michemar

- 9 feb 2019
- Tempo di lettura: 2 min
Aggiornamento: 15 nov 2020

Morte a Venezia
Italia/Francia/USA 1971 dramma 2h10’
Regia: Luchino Visconti
Soggetto: Thomas Mann (romanzo)
Sceneggiatura: Luchino Visconti, Nicola Badalucco
Fotografia: Pasqualino De Santis
Montaggio: Ruggero Mastroianni
Musiche: Gustav Mahler
Scenografia: Ferdinando Scarfiotti
Costumi: Piero Tosi
Dirk Bogarde: Gustav von Aschenbach
Romolo Valli: direttore dell'albergo
Mark Burns: Alfred
Nora Ricci: governante
Marisa Berenson: signora von Aschenbach
Carole André: Esmeralda
Björn Andrésen: Tadzio
Silvana Mangano: madre di Tadzio
TRAMA: Il musicista Gustav von Aschenbach, prossimo alla vecchiaia, prende alloggio nel lussuoso "Hotel des bains" del Lido di Venezia. Indifferente a tutto, viene colpito dalla bellezza di un adolescente, Tadzio, ospite con la sua famiglia nello stesso albergo. Dopo un fallito tentativo di fuga, non può fare a meno di pedinarlo. Venezia è in preda a un'epidemia di colera e Gustav si ammala.
Voto 9

Lo stile estetico di Luchino Visconti, tanto ammirato ne Il Gattopardo, La caduta degli dei, Gruppo di famiglia in un interno e soprattutto nel meraviglioso Ludwig, non è più rivolto agli arredamenti, agli addobbi delle sontuose case, agli abiti sfarzosi dei protagonisti come in quelle occasioni. In questo melanconico film il grande regista esplora con la macchina i paesaggi marini e lagunari di Venezia, il dedalo dei suoi vicoli piccoli e nascosti, gli sguardi ammirati del protagonista Gustav e l’angelico viso di Tadzio. Il senso malinconico che domina l’opera è tutto negli occhi di un musicista (nel romanzo di riferimento di Thomas Mann è invece uno scrittore) che, in cerca di ispirazione, sceglie di passare una vacanza nel lussuoso albergo veneziano “Hotel des bains” e che incrocia nei corridoi e sulla spiaggia una specie di angelo caduto in terra davanti alla sua vista, quasi una visione paradisiaca. La folgorazione non è immediata: ogni incontro fortuito, poi sempre più cercato, alimenta il bisogno di vederlo ancora, aumenta di volta in volta la voglia di rivolgergli la parola. Quel viso pulito ed etereo è come se incarnasse la bellezza della musica che vorrebbe ancora scrivere.

Lo sguardo intenso e fortemente malinconico di un grandissimo Dirk Bogarde – ad un livello recitativo pari forse solo a quello de Il servo (film straordinario di Joseph Losey, di cui potete leggere qui) – rappresenta tutto il film.

Con intensa tristezza esprime il dispiacere della vita che avanza col tempo e l’impossibilità di poter avvicinare fisicamente il bellissimo e desiderato giovane, fino al punto che non gli è più permesso di concentrarsi sul foglio di carta. Fino al punto di non capire che la malattia che lo sta aggredendo (a Venezia si è pericolosamente sparsa una epidemia di colera) non gli lascerà scampo.
Protagonista assoluta, pur non comparendo, è la meravigliosa Quinta Sinfonia di Mahler che incide come un bisturi accompagnando le sequenze topiche del racconto. Visconti esprime con questo film la summa della sua cinematografia, anche se non è certamente il suo migliore, tra i più belli senz'altro, ma la recitazione sommessa e dolorosa del grande Bogarde, gli sguardi alteri e il profilo nobile di Silvana Mangano, la bellezza diafana e angelica del giovane Björn Andrésen ne fanno un capolavoro del genere drammatico.
La stupenda scena finale in campo lungo, sovrastata da Mahler, è la degna conclusione di un film che non si dimentica.






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