Noi (2019)
- michemar

- 18 ott 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 13 mag 2023

Noi
(Us) USA/Cina/Giappone 2019 horror 1h56'
Regia: Jordan Peele
Sceneggiatura: Jordan Peele
Fotografia: Mike Gioulakis
Montaggio: Nicholas Monsour
Musiche: Michael Abels
Scenografia: Ruth De Jong, Cara Brower
Costumi: Kym Barrett
Lupita Nyong'o: Adelaide Wilson
Winston Duke: Gabe Wilson
Elisabeth Moss: Kitty Tyler
Tim Heidecker: Josh Tyler
Yahya Abdul-Mateen II: Russel Thomas
Anna Diop: Rayne Thomas
Evan Alex: Jason Wilson
Shahadi Wright Joseph: Zora Wilson
Madison Curry: Adelaide bambina
Cali Sheldon: Gwen Tyler
Noelle Sheldon: Maggie Tyler
TRAMA: Adelaide Wilson torna nella sua casa d'infanzia sulla spiaggia con il marito Gabe e i loro due figli per un'idilliaca vacanza estiva. Perseguitata da un trauma inspiegabile e irrisolto del suo passato e tormentata da una serie di inquietanti coincidenze, Adelaide cade in uno stato di paranoia sempre più crescente mentre prende consapevolezza che qualcosa di brutto possa accadere alla sua famiglia. Dopo una giornata al mare con i Tyler, Adelaide e la sua famiglia rientrano a casa ma al calare della sera scoprono la sagoma di quattro figure che si tengono per mano sul vialetto: si tratta dei loro doppi, tanto terrificanti quanto misteriosi.
Voto 7

Guardare noi e scoprire che esistono altri noi. È un incubo solo a immaginarselo. Jordan Peele non ne ha fatto un mistero sin dall’inizio: quei “noi”, quei sosia che i quattro protagonisti del suo film si stagliano nell’ombra fuori della loro villa di vacanza sono le nostre paure, i nostri fallimenti che molto spesso non abbiamo il coraggio di guardare in faccia, che cioè non vogliamo riesaminare per non ammettere gli errori commessi. Peggio ancora se ci rapportiamo alla nostra psiche e alle sue paure. Se poi il regista americano rivolge lo sguardo all’interno del suo Paese scopre che il fenomeno del doppelgänger (cioè quello del doppio, del sosia) che sconvolge i personaggi del film crea un legame con le paure instillate nella popolazione verso il diverso, verso “l’altro”, dove diventa necessario alzare i muri ai confini dello stato.

Jordan Peele firma la sua seconda opera, rimanendo nel genere che lo ha reso celebre, l’horror, quello però con poco sangue, diciamo antitarantiniano dei primi tempi, però, come si può facilmente notare, affrontandolo in maniera diversa. Mi riferisco al fatto che se il fortunato (nel senso di riuscito e premiato, anche dal successo del botteghino) Scappa – Get Out (recensione) inizia come una commedia con gocce di romanticismo e sorprende positivamente l’ignaro spettatore quando il film vira lentamente ma inesorabilmente verso l’horror, questo secondo invece dà subito la sensazione del tipo di cinema che stiamo vedendo. A cominciare dal commento musicale che accompagna sin da subito le prime sequenze con note innegabilmente da film di terrore. Il regista ci fa tuffare immediatamente nell’atmosfera necessaria per stare dal primo istante in allarme mentale: l’incubo della bella e classica famiglia americana in vacanza nella bella casa al mare di Santa Cruz inizia già nella prima sera del weekend, per poi precipitare di minuto in minuto, in un crescendo che non lascia dubbi. Molte peculiarità tipiche e ricorrenti del genere si ritrovano anche in questa occasione e non potrebbe essere altrimenti, ma la vera novità, che è ormai una caratteristica del regista newyorkese, è che i suoi personaggi sono di colore come lui, anzi questa volta la famiglia protagonista è composta appunto solo da gente nera, un bel gruppo in armonia: Gabe, un ragazzone alto e grosso, Zora e Jason, due bei figli vispi e intelligenti e la bellissima Lupita Nyong'o, la mamma Adelaide combattiva e inarrendevole. E meno male che c’è lei, anzi. Con una specificità, però. La Adelaide sarà anche la chiave di lettura nel lungo (forse troppo) e decisivo finale, un duello degno di quelli dei minuti decisivi di un western.

Le critiche al film non sono mancate da più parti e credo di interpretarle con il fatto che sicuramente non siamo ai livelli dell’opera precedente, ma va rilevato che quel primo ha sorpreso tutti, obbligandoci dopo ad attenderci chissà cosa. Il finale succitato si è dilungato eccessivamente e se fosse stato asciugato meglio in fase di montaggio il risultato sarebbe stato migliore. Interessanti sono stati alcuni elementi simbolici, ad iniziare dai tantissimi conigli utilizzati e dal cartello sorretto da uno strano personaggio nel luna park nella scena introduttiva. I primi sono un riferimento alla tana del Bianconiglio di Alice nel paese delle meraviglie, ciò che più o meno succede alla piccola bimba che si allontana dai genitori ed entra nei sotterranei del padiglione degli specchi. Un ipogeo che ci introduce alla fase finale ed esplicativa del mistero: in quel sottosuolo troveremo le spiegazioni necessarie e scopriremo la provenienza della moltitudine dei doppi che, loro sì, formano una catena (dis)umana come un confine invalicabile per gli uomini di superficie. Il secondo indica una scritta da interpretare, da Jeremia 11.11: “Perciò dice il Signore: Ecco, manderò su di loro una sventura alla quale non potranno sfuggire. Allora leveranno grida di aiuto verso di me, ma io non li ascolterò”. Da sottolineare che il sotterraneo è, per i primi due film di questo regista, una costante: anche nel precedente i misfatti peggiori, scopo della cordialità della famiglia della protagonista femminile, avvengono proprio nel piano sottostante, con una camera di prigionia e una di chirurgia orrorifica.


Le eccessive critiche le ritengo esagerate, perché pur con i suoi difetti il film è godibile e come costume di Jordan Peele non spaventa più di tanto, tiene solo alta la tensione e per giunta, come ama fare lui, fa anche sorridere in qualche frangente. La sufficienza è ben superata. Adesso tocca vedere cosa sarà ancora capace in futuro il regista, il quale ci chiarisce parecchio le idee quando intervistato in merito a questo film. Dice: “Mentre finivo di girare Scappa - Get Out, ho cominciato a pensare a Noi, che si basa su una delle paure più comuni dell'essere umano: quella dei doppelgänger. Amo tutta la tradizione letteraria e cinematografica che affronta il tema e volevo offrire la mia versione sull'argomento, parlando dei suoi aspetti negativi o malefici. Sono da sempre convinto che siamo noi i peggiori nemici di noi stessi: da questa considerazione, ho fatto partire le basi per una storia in cui i mostri hanno le stesse facce dei protagonisti. La figura del doppelgänger affonda le proprie radici nel folklore e nella mitologia. Già nell'antico Egitto si incontra la figura dei ka, una manifestazione fisica di un doppio spirituale che condivide ricordi, esperienze e sentimenti con la controparte vivente. Si tratta di un archetipo del cosiddetto "gemello cattivo", che in letteratura è presente da tempo altrettanto immemore. I sosia, dunque, sono sempre stati connotati da un'aurea di paura. Sono legati al concetto stesso di mortalità: solo uno dei due può sopravvivere. In Noi, il doppio serve a far confrontare i protagonisti con la loro psiche ma anche con il concetto di identità nazionale americana. Ho tratto ispirazione dalle mie paure chiedendomi cosa fosse per me la cosa più spaventosa. Non ho avuto dubbi: confrontarmi con i miei fallimenti, le mie colpe e i miei demoni. Spesso è facile puntare il dito contro gli altri mentre è più difficile farlo con noi stessi mettendo in piazza paure, ansie e rabbia, una caratteristica endemica della cultura americana. Ci hanno insegnato a temere l'altro, ad avere paura di ogni cosa aliena da no.”






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