Nostalgia (2022)
- michemar

- 28 set 2022
- Tempo di lettura: 8 min
Aggiornamento: 11 mag 2023

Nostalgia
Italia/Francia 2022 dramma 1h57’
Regia: Mario Martone
Soggetto: Ermanno Rea (romanzo)
Sceneggiatura: Mario Martone, Ippolita Di Majo
Fotografia: Paolo Carnera
Montaggio: Jacopo Quadri
Scenografia: Carmine Guarino
Costumi: Ursula Patzak
Pierfrancesco Favino: Felice
Francesco Di Leva: don Luigi Rega
Tommaso Ragno: Oreste
Aurora Quattrocchi: Teresa
Sofia Essaïdi: moglie di Felice
Nello Mascia: Raffaele
Emanuele Palumbo: Felice da giovane
Ar Tem: Oreste da giovane
Salvatore Striano: Gegè
TRAMA: Dopo aver vissuto per 40 anni in alcune nazioni dell’Africa, Felice torna a Napoli, nel rione Sanità, per accudire la madre vecchia e malata. In seguito, invece di fare ritorno al Cairo dove lo aspetta la compagna, Felice resta a Napoli, in attesa dell'incontro con l'amico di un tempo, Oreste, diventato un criminale camorrista. Lo stesso Felice ne racconta la storia e si confida con don Luigi, un combattivo sacerdote.
Voto 7,5

Felice, dopo essere atterrato all’aeroporto di Napoli e sistematosi in un albergo del centro, da cui gode una vista panoramica della città, vaga per le strade principali e per i vicoli con gli occhi spalancati, quasi per rimettere a fuoco le fotografie mentali dei ricordi che ha nella mente e nel cuore. Si guarda intorno con circospezione e curiosità, rivede con gli occhi della memoria i luoghi che lo avevano visto crescere, le scorribande in moto con l’amico fraterno Oreste. Sono decenni che manca dal suo rione Sanità dove vive ancora la mamma, ormai anziana e malandata, dopo essere scappato via a soli 15 anni, prima alla volta di Beirut, poi in Sudafrica ed infine in Egitto, al Cairo, dove ha avviato da tempo una proficua attività di imprenditore nel campo dell’edilizia, che lo ha reso benestante assieme alla bellissima moglie egiziana che lo attende a casa. Ci vorrà tempo per capire, forse anche per lui stesso, i motivi di questo rientro, perché essenzialmente è una doverosa visita alla madre, che trova non nell’appartamento dove l’aveva lasciata ma in un pessimo alloggio a pian terreno dello stesso immobile, uno dei tanti tipici dallo stile napoletano nelle strette viuzze del quartiere. Dentro di sé sa benissimo che non è solo una questione di doveri familiari e di nostalgia, dopo aver cambiato completamente vita e abitudini: la sua permanenza nei paesi islamici lo ha convertito alla religione di Allah e lo intuiamo sia quando, come primo atto nostalgicamente giovanile, si siede in una pizzeria ma rifiuta il vino e la birra, sia quando, prima di accudire la madre, si lava il viso, le mani e gli avambracci respirando l’acqua, secondo il preciso rito dell’Islam, con tanto di preghiera al suo Dio.

Non è solo una questione di doveri familiari e di nostalgia perché lui non è più l’adolescente Felice che lo zio ha obbligato a partire frettolosamente 40 anni prima, ora è un uomo maturo che torna nella sua terra principalmente perché il cruccio di aver abbandonato improvvisamente l’amico del cuore Oreste e di non avergli dato più sue notizie lo affligge da sempre. Gli sembra di aver tradito un legame tenace, fraterno, e da molto tempo ritiene scorretto che non gli abbia mai telefonato o inviato una cartolina. Sa, in cuor suo, che è la vera ragione del ritorno alle origini. Nostalgia? Beh, di certo è la sensazione che prova per aver chiuso con quella vita e già dai primi giorni di permanenza a Napoli gli si è consolidata l’idea di tornare per restarci, chiamando accanto a sé l’amata moglie e comprando una casa adeguata per essere felice nel suo ambiente di nascita. Nostalgia? Beh, di certo la madre è alla fine della vita ma non è più procrastinabile il momento in cui deve fare i conti con se stesso e con Oreste. Lo deve incontrare a tutti i costi, anche a pericolo della vita, rischio plausibile dal momento che, come scopre con molta sorpresa e disagio, l’amico, che con lui in gioventù non andava oltre lo scippo ed il furto, è diventato un pericolosissimo e temuto boss camorrista, che spande il terrore in tutta la Sanità: ora lo chiamano O’Malomme. È divenuto il nemico numero uno del tenace don Luigi, il giovane parroco che combatte la criminalità con le parole e l’azione, accogliendo in canonica tutti i giovani del rione nella speranza di toglierli dalla strada e dal crimine. Motivo di orgoglio del prete ma di odio da parte del criminale, persona inavvicinabile se non tramite gli scagnozzi al suo servizio. Uomo che non ha mai perdonato la fuga, l’assenza e il silenzio di Felice, che considera ormai un traditore.

La bella figura di don Luigi fa da contraltare al malcostume che impera per le strette strade del quartiere, al malvezzo del comportamento di brutti ceffi che si aggirano indisturbati e temuti su potenti moto per la rituale “stesa” a dimostrazione del loro predominio sul territorio, alla pessima aria che si respira, appena alleviata dalle iniziative culturali di un piccolo prete che non arretra di un millimetro. È solo in lui che Felice trova l’orecchio giusto per confidare i segreti, i timori, i dubbi, le mancanze, le speranze che coltiva intimamente. Il colloquio confidenziale pare una confessione anche se non lo può essere, non essendo più cristiano, ma tale si rivela date le circostanze in cui avviene: isolati, seduti, con il prelato che lo ascolta con pazienza e comprensione… fino al momento in cui l’uomo confessa ciò che è successo 40 anni prima, la vera causa per cui è scappato dall’Italia, l’atto criminoso commesso con l’amico, confidenza che scatena l’ira del prete che, pur dotato di tolleranza e clemenza, non sopporta quel particolare, essendo ora nel mirino del piccolo boss.

Il finale è prevedibile, avvertito anche per il momento in cui si verifica, in cui matura. La presenza al concerto parrocchiale, la donazione per il suo sostentamento, la richiesta del prestito di un’auto, la moglie a cui ha prenotato finalmente il volo per Napoli, la bella casa acquistata per la definitiva sistemazione, il frettoloso saluto a don Luigi, tutti presupposti letterari e cinematografici per il tragico finale: Felice sente il bisogno di incontrare Oreste, O’Malomme, nonostante i rischi. L’incontro è stato brusco, il saluto ancora di più. Ma Felice sorride perché finalmente l’ha incontrato, ha cercato di chiarirsi, si sono commossi entrambi, anche se motivi differenti. Felice vuole attuare il piano nostalgico, stavolta con la moglie, vuole una vita serena nella sua Napoli, non ha più necessità morale e giudiziaria per essere un comodo latitante in fuga dal passato e da se stesso, vuole essere equidistante da don Luigi e da Oreste. Ora è lì, nel ventre di quel luogo, ha riscoperto una città che lo ha tormentato e che continua a divorarlo, perdendosi tra le pietre delle case del rione e nelle catacombe del sottosuolo, nelle parole di una lingua che sente estranea, ma che in realtà è la sua e la parla ancora, occasionalmente, ma sempre di più, soprattutto nelle case degli abitanti, a tavola, dove si concede anche il piccolo peccato (per la sua religione) di un bicchiere di vino. L’uomo sembra rapito da una strana malìa quando rivive e irrompono in lui i ricordi di una vita lontana.

Nostalgia in greco è ritorno, il ritorno ad una casa che però non trova più, ad una città che trova diversa e uguale, con la criminalità che è aumentata e si è modernizzata, di cui lui non faceva parte ma ora una parte della sua vita, l’amico intimo, vi è entrata e la rappresenta pericolosamente. È il ritorno che ancora si deve compiere del tutto, che trova qualche intoppo, che è ostacolato da chi il protagonista considerava parte di sé, di cui conservava una foto nel segreto del portafoglio: loro due con la moto, sorridenti, giovani esuberanti, pronti a commettere piccoli reati con la faccia da duri ma insicura (la sua, non di Oreste), pronti a fare il bagno nudi ridendo felici.

Ancora una volta, il cinema di Mario Martone è un percorso tracciato con precisione, l’affresco di un ambiente con tutti i particolari dipinti chiaramente, con personaggi schietti e decisi, storie di vita reale e quotidiana. Ogni cosa è al suo posto, ogni personaggio, scritto e descritto con dovizia a quattro mani (assieme come sempre con la moglie Ippolita Di Majo, traendo la sceneggiatura dal romanzo omonimo di Ermanno Rea) fino a farcelo conoscere fino in fondo, è concreto, soprattutto se scaturito da un luogo che lui, napoletano, conosce alla perfezione, tanto da spingerlo a chiarire in anticipo alla sua troupe come ci si doveva sentire e comportare tra quelle strade. “Ciò che si racconta in questo film nasce dalla cronaca ma io volevo andare altrove, verso un sentimento misterioso da cercare durante le riprese. Mi affascinava l’idea di fare un film non in una città ma in un quartiere, come se si trattasse di una scacchiera, e così qui non appaiono strade, case o persone che non siano del Rione Sanità, un’enclave di Napoli distante dal mare. Tutto viene inghiottito dal quartiere, gli anni così distanti di cui si racconta, il Medioriente dove era finito il protagonista, i sogni, le sfide, le colpe. Ho invitato gli attori e la troupe a immergersi nel quartiere come se fosse un labirinto e a non temere di perdersi. Macchina da presa in spalla, abbiamo cominciato a percorrere le strade come se si trattasse di cinema del reale. Incontro dopo incontro, vita dopo vita, storia dopo storia, abbiamo finito per girare l’ultima scena chiedendoci quale ne era il senso, e non l’abbiamo più trovato. Forse non c’era, forse non c’è. C’è il labirinto e c’è la nostalgia, che sono il destino di tanti, forse di tutti.”

Il rapporto con il passato – che è il fulcro centrale dell’opera - è qualcosa con cui guardare anche il nostro tempo, perché è sempre difficile guardare lucidamente quello che ci circonda visto che viviamo in un mondo molto rumoroso. Invece la distanza che il passato ci regala ci fa guardare meglio quello che accade e in questo caso la parola stessa “nostalgia” tramite questo grandissimo regista si fa cinema, nel senso che il protagonista del film mette a fuoco progressivamente chi è e quale è il suo posto nel mondo, quale è il senso di se stesso e della sua vita. Di conseguenza, certamente, questo rapporto tra passato e presente si avverte molto forte, è scolpito nelle continue inquadrature che Martone dedica al primo piano del viso, spesso attonito, altre volte pieno di speranza, di Felice, o alla sua figura robusta che senza timore affronta le stradine a qualsiasi orario del giorno, persino in quella buia, umida e maledetta notte, appena colorata dal rossastro della illuminazione, quando O’Malomme decide di scendere le infinite scale di una stretta via che parte dalla sua abitazione, giù verso il destino già segnato. Ma se nostalgia è anche sinonimo di rimpianto, ciò che diventa il vero obiettivo del regista è sicuramente il richiamo, sono le voci che ti chiamano da un tempo lontano di cui si è da un lato ancora preda e dall’altro ci si è allontanati. Sono voci che chiamano, che confondono, quindi il procedere, a un certo punto, diventa incerto, insicuro: non a caso si potrebbe parlare del viaggio di Ulisse verso Itaca, pieno di insidie e tentazioni, di voci.

La straordinaria regia sorregge la consueta prova di grande attore di Pierfrancesco Favino, naturale e convincente come sempre e non è da meno un attore partenopeo che recita a piena voce e pieni polmoni, dando di sé il massimo, l’eccellente Francesco Di Leva, nel ruolo del prete che lui affronta con energia sanguigna. Il suo ruolo è l’altra faccia della medaglia del protagonista, è l’angelo che gli sussurra la saggezza e l’attore napoletano lo interpreta con grande efficacia. Così come sa fare il pacato corregionale Nello Mascia, che, come al solito, è di grande affidabilità. Fa tenerezza invece il primo nudo integrale di Aurora Quattrocchi, che a quasi 80 anni si fa lavare affettuosamente dal protagonista. Apprezzabile ed essenziale ai fini della narrazione la fotografia di Paolo Carnera.

“La conoscenza è nella nostalgia. Chi non si è perso non possiede.” Pier Paolo Pasolini.
Film bellissimo e affascinante, è un dramma che si colora di noir, di notte, di sangue, di ritorno incompiuto.
David di Donatello 2023
Miglior attore non protagonista a Francesco Di Leva
Candidatura miglior film
Candidatura miglior regia
Candidatura miglior sceneggiatura non originale
Candidatura miglior attrice non protagonista a Aurora Quattrocchi






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