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Old (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 7 apr
  • Tempo di lettura: 5 min

Old

USA/Giappone/Cina 2021 horror 1h48’

 

Regia: M. Night Shyamalan

Soggetto: Pierre-Oscar Levy, Frederik Peeters (graphic novel “Sandcastle”)

Sceneggiatura: M. Night Shyamalan

Fotografia: Mike Gioulakis

Montaggio: Brett M. Reed

Musiche: Trevor Gureckis

Scenografia: Naaman Marshall

Costumi: Caroline Duncan, Behnood Javaherpour

 

Gael García Bernal: Guy

Vicky Krieps: Prisca

Rufus Sewell: Charles

Ken Leung: Jarin

Nikki Amuka-Bird: Patricia

Abbey Lee: Chrystal

Kathleen Chalfant: Agnes

Aaron Pierre: Brandon / Sedan

Alex Wolff: Trent a 15 anni

Luca Faustino Rodriguez: Trent a 11 anni

Emun Elliott: Trent adulto

Eliza Scanlen: Kara a 15 anni

Mikaya Fisher: Kara a 11 anni

Kyle Bailey: Kara a 6 anni

Thomasin McKenzie: Maddox a 16 anni

Alexa Swinton: Maddox a 11 anni

Embeth Davidtz: Maddox adulta

Gustaf Hammarsten: resort manager

Daniel Ison: Gret Mitchel

Jeffrey Holsman: sig. Brody

Aaron Pierre: Mid-Sized Sedan

M. Night Shyamalan: autista dell’hotel

 

TRAMA: Una famiglia in vacanza su un’isola tropicale si sta concedendo sole e relax sulla morbida sabbia di una spiaggia isolata. Sembra tutto perfetto fino a quando diventa chiaro che stanno tutti invecchiando rapidissimamente e che, stando a un rapido calcolo, la loro intera vita rischia di essersi ridotta a un unico giorno.

 

VOTO 6



Guy e Prisca Cappa, marito e moglie, si recano in un resort tropicale con i figli piccoli Trent di 6 anni e Maddox di 11, come ultima vacanza in famiglia prima del divorzio. Su consiglio del direttore, la famiglia visita una spiaggia isolata vicino a una riserva naturale. La spiaggia è occupata anche dal rapper Mid-Size Sedan, dalla coppia sposata Jarin e Patricia Carmichael, dal chirurgo Charles e dalla sua famiglia composta dall’anziana madre Agnes, dalla moglie Chrystal e dalla loro bambina Kara. La tragedia colpisce la vacanza del gruppo quando si scopre il cadavere della compagna di Mid-Size Sedan, e in breve tempo anche Agnes muore improvvisamente. Ben presto si verificano strani eventi, tra cui i tre bambini che crescono ad una velocità impressionante e diventano improvvisamente adolescenti. Il gruppo si rende conto che la spiaggia li sta rapidamente invecchiando, facendo trascorrere loro circa un anno intero ogni 30 minuti, con il conseguente peggioramento della loro salute.



Cosa sta succedendo? C’è un modo per impedire l’invecchiamento rapidissimo e quindi che la morte li sopraggiunga? Siamo davanti al classico esempio del cinema horror concepito dalla fervida fantasia di M. Night Shyamalan, che non è mai un modello cruento o davvero spaventoso. Lui ama giocare con la tensione e l’atmosfera misteriosa di eventi imprevisti che spargono prima l’incertezza e poi la paura, che si impadroniscono dei personaggi fino a portarli a comportamenti di sbandamento mentale. Solitamente, come in questo caso, sono thriller psicologici che non mollano né quei personaggi né gli spettatori. Come un macabro scherzo del destino, in cui il regista stesso si mette abitualmente in gioco con un cameo (qui è l’autista dell’hotel) e lo immaginiamo divertirsi alle nostre spalle. Il più delle volte non succede alcuna catastrofe, altre volte sì, ma costantemente lancia un segnale su temi importanti di natura sociale o politica.



E difatti il “gioco” inizia con un’accoglienza tranquillizzante del tipo che ci si attende sempre all’arrivo in una struttura di vacanza: “Benvenuti nella nostra versione del paradiso!”. Beh, non andrà tutto liscio e dopo un po’ i vacanzieri se ne accorgeranno. Ma a guardare con attenzione la carriera di Shyamalan ci si accorge che le sue creazioni non hanno avuto sempre uno standard qualitativo costante, avendo toccato punte ottime (Il sesto senso, The Village) e anche mediocri: in pratica è un thriller anche il percorso del regista, non potendo noi prevedere come andrà ogni volta. Questo, per esempio, non è il suo massimo, ma rappresenta uno di quei film che si guardano con un certo interesse. Anche, almeno, per la situazione che si crea partendo da una vacanza (spesso è un trabocchetto che porta i personaggi nel baratro) per ritrovarsi nell’incubo, lentamente ma inesorabilmente. Nel caso specifico: cosa sta succedendo al loro corpo? Come fermare il veloce invecchiamento e da cosa dipende? Da quello che bevono, dall’aria, dal luogo, da una maledizione?



A cosa mira, stavolta, il regista è presto detto. Il tema centrale è quello che mette inquietudine a tutte le persone: la paura della propria mortalità. I personaggi, infatti, devono confrontarsi con il fatto che il loro tempo sta scivolando via, affrontando questo processo ciascuno a proprio modo. Tra tutti, per esempio, il viaggio di Trent, che risulta particolarmente interessante poiché viene catapultato nella pubertà con conseguenze sorprendenti. Non tragga in inganno il fatto che sia un film ambientato interamente in una piccola sezione di spiaggia e che quindi diventi monotono: accade, invece, che, assegnando a ogni personaggio un dilemma personale, la storia riesce a intrecciarsi continuamente, garantendo che nuovi sviluppi emergano regolarmente. L’abilità riconosciuta del regista fa sì che con l’aiuto del direttore della fotografia Mike Gioulakis utilizza la scelta di lenti particolari e la composizione dell’inquadratura fuori dal comune, creando un senso di claustrofobia in un luogo aperto. La cinepresa è spesso volutamente troppo vicina agli attori, tagliando la parte superiore delle loro teste o metà dei loro corpi, nelle foto di gruppo gli attori sono disposti in modo tale che la loro vicinanza l’uno all’altro sembri innaturale. Questo infonde al film un’atmosfera quasi subliminale di terrore, sottolineando la natura sinistra della spiaggia. Ecco perché è più un horror mentale che altro, nonostante la trasformazione dei corpi sia evidente ed allarmante e ponga molti quesiti destabilizzanti.



A peggiorare le cose per i villeggianti è scoprire che non è possibile uscire da quello spicchio di spiaggia e ad ogni spostamento trovano nuovi particolari che non fanno che aggravare la situazione. Che sia una sorta di rilettura dei mitici dieci piccoli indiani è chiaro, come lo è che ciò che accade sia ai confini della realtà. Mica è un racconto di fantascienza! No, il film assume i connotati di una riflessione filosofica sul tempo e sul presente fuggente e di conseguenza ci costringe a riflettere sull’effimero, l’importanza di vivere il momento e il rapporto con le scelte che facciamo nella vita. Con il pretesto della cornice horror, il regista ci spinge alla critica verso il capitalismo contemporaneo e al consumo del tempo come prodotto. Non resta che godersi “il qui e ora” in modo consapevole, accettando responsabilità e progettualità, evitando di rimanere intrappolati nel passato o ossessionati dal futuro. Concetti che si possono riassumere nella domanda che sentiamo: “Come ti chiami e cosa fai per vivere?”.



L’unico vero ostacolo per affermare che il film sia un prodotto di qualità eccellente è che dai dialoghi ci saremmo aspettati di più, dato che a tratti sembrano un po’ banali, ma tutto serve a creare quell’atmosfera che ci si attende da un film di M. Night Shyamalan e dalla scelta degli attori principali, a cominciare da Gael García Bernal, attore capace di sorridere e di preoccuparsi in modo tangibile,  per finire al viso di un’attrice che sa esprimere di tutto (dalla dolcezza alla inquietudine), quello di Vicky Krieps. Vanno a pennello per i progetti del regista indiano americano.

Avviso per gli spettatori che hanno paura degli horror: è guardabile, non ci si spaventa per nulla, è solo un mistery thriller che si limita all’ansia. E intrattiene sufficientemente.

Cast nutrito.



 
 
 

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