Paternal Leave (2025)
- michemar

- 7 ott
- Tempo di lettura: 7 min

Paternal Leave
Germania, Italia 2025 dramma 1h53’
Regia: Alissa Jung
Sceneggiatura: Alissa Jung
Fotografia: Carolina Steinbrecher
Montaggio: Heike Parplies, David Maria Vogel
Musiche: Dascha Dauenhauer
Scenografia: Cristina Bartoletti
Costumi: Daniela Tartari
Juli Grabenhenrich: Leo
Luca Marinelli: Paolo
Arturo Gabbriellini: Edoardo
Joy Falletti Cardillo: Emilia
Gaia Rinaldi: Valeria
Gabriele Carà: Gabriele
TRAMA: Leo è una adolescente quindicenne che si mette in viaggio dalla Germania, dove vive con la mamma, verso la costa ravennate per trovare il padre che non ha mai conosciuto.
VOTO 7

Presentato all’ultima Berlinale e poi al Festival di Bellaria, il film segna l’esordio alla regia dell’attrice tedesca Alissa Jung e offre l’occasione di scoprire una storia familiare drammatica nella quale Luca Marinelli (dal 2018 sposato con la filmmaker) è il protagonista maschile, al fianco della sorprendente esordiente Juli Grabenhenrich. Una vicenda ambientata sulla costa adriatica più settentrionale, sulle spiagge invernali e quindi deserte di Marina Romea, vicino Ravenna.

Leo, una quindicenne cresciuta in Germania dalla mamma senza mai aver conosciuto il padre, scopre l’identità dell’uomo e decide di raggiunge da sola la riviera romagnola per incontrarlo con uno strattagemma: dice alla madre, che nel frattempo è impegnata al lavoro per tutto il fine settimana, che andrà a studiare a casa dell’amica dove potrà anche dormire e che quindi non si deve preoccupare non vedendola. Lei parte in treno, senza neanche il biglietto e sbarca sperduta e con un vago indirizzo alla ricerca di colui che sarebbe il padre, che conosce fisicamente solo da un video su YouTube in cui dà lezioni di surf ad alcuni giovani. Unico indizio, troppo poco, ma lei è determinata, testarda e non riesce più a vivere senza aver conosciuto quell’uomo e senza aver capito bene perché l’ha abbandonata. È quasi un bisogno fisico, in primis una questione di sopravvivenza psicologica.

Quando se la ritrova davanti Paolo (Luca Marinelli), che nel frattempo ha preso un bar da spiaggia malandato e costruito una famiglia dall’equilibrio assai precario, resta spiazzato e vorrebbe liberarsi di lei al più presto. Leo però non cerca solo risposte a un lungo elenco di domande che si è annotata su un quaderno infantile con la grafia dei bambini, che vuole registrare sullo smartphone, è anche decisa a riprendersi suo padre, pur se ha intuito, soprattutto valutandolo sul momento, che è un uomo vulnerabile e in continuo “congedo parentale”. “Sei la figlia di Anna? “Non solo sua!”. Come prima impatto non c’è male e rivela immediatamente il clima da vivere in seguito. Tra dubbi, speranze, illusioni e frustrazioni, i due capiranno, nonostante le barriere linguistiche, cosa vuol dire essere padre e figlia. Ma non così presto, ci vorranno tre giorni, litigi, rifiuti, fughe, rincorse, e tanti sguardi per capirsi. Soprattutto da parte della giovane, che ci appare molto più matura di quel farfallone del padre. Un padre che sfugge alle sue responsabilità, anche ora che ha un altro abbozzo di famiglia, mentre sta deludendo anche la nuova compagna Valeria (Gaia Rinaldi). Già il primo momento dell’incontro rivela e nello stesso tempo abbatte la prima barriera tra i due, la lingua: lei parla in tedesco, lui – a dimostrazione della sua continua impreparazione e anche per la sorpresa davvero inattesa – in italiano, fin quando si mettono d’accordo per colloquiare in inglese.

Nel corso di quei tre giorni, in cui si riesce lentamente a scoprire il carattere di entrambi, ma soprattutto le debolezze dell’uomo, la sua inadeguatezza alla paternità, la paura di assumersi la figura che spetta a chiunque metta al mondo una creatura, il perché – cosa che ammette nella scena topica, unica in cui i toni si alzano smisurati e nervosi nell’ambito di un film recitato sommessamente, più da sguardi e gesti che con le parole - anni prima è scappato, non sentendosi all’altezza, avvertendo specialmente la paura di essere padre. Atteggiamento e pretesti che Leo non accetta e non ammette, rinfacciandogli di averla abbandonata senza il minimo riguardo, con il massimo dell’egoismo. Le si legge costantemente negli occhi la mancanza del papà, la presenza maschile nella sua ancor brevissima vita, ha dovuto sempre mentire alle sue amiche raccontando di un genitore morto, quando invece era lei che moriva dalla voglia di abbracciare e sentire la vicinanza di un padre.

La sua identità è chiara e forte, con un carattere volitivo e senza paura, dimostrato con l’incoscienza e la determinazione con cui è partita senza dir nulla ad alcuno ma con l’idea fissa prima di conoscere lo sconosciuto della sua vita monca e poi di capire. Capire i motivi dell’abbandono, il carattere dell’uomo che ha fatto ciò. Cerca, possibilmente, come un sogno irrealizzabile, di portarselo via per una riconciliazione disperata, per un cambio nella sua vita, perché le manca terribilmente. Non ci sono dubbi per lo spettatore: è lui il più fragile, è lui l’eterno ragazzotto mai maturato, è lui che ora ha un’età per capire ed ammettere l’errore ma il fisico lo tradisce, avendo la mentalità di un ragazzo in un corpo di adulto. Lei, invece, è seria, matura, intelligente, elastica, piena di buoni sentimenti, leale, sincera. È proprio l’opposto di Paolo. Quasi nessun dialogo è tra persone che vogliono avvicinarsi: da una parte Leo che è arrabbiata, dall’altra un uomo che le sfugge, che fugge dai suoi oneri morali. Troppo facile ammettere ora che non se la sentiva. “Non mi fidavo di me stesso come padre, non mi sentivo in grado di crescere una figlia!” “Potevi usare il preservativo e poi non fare lo stronzo ora!”.

Ma a parte questa scena urlata e qualche scatto nervoso, la fragilità emotiva li fa esprimere principalmente con gli sguardi. Parlanti, quelli di Leo, significativi, pieni di emozioni e di parole non dette, persino con l’amicizia nata casualmente con Edoardo, il ragazzo del bar con cui entra in sintonia, essendo anche questo in rotta di collisione con il proprio padre possessivo e non conciliante, non avendo accettato la sua omosessualità. Gesti, movimenti del corpo, accenno di sorrisi in momenti più cauti e rilassati, ma le distanze emotive e relazionali sono una corda tesa pronta a rompersi: i due si avvicinano e si allontanano, ma mai vicini come Leo sperava e quando le possibilità crollano a seguito di uno scatto d’ira di Paolo, in cui la schiaffeggia a sproposito, tutte le speranze crollano e ancora una volta lei, indipendente come sempre, si avvia da sola per tornare dalla madre in Germania. Il loro rapporto è stato come il mare d’inverno, come quello in cui, nonostante tutto, hanno avuto e provato un attimo di gioia e complicità sui surf sull’acqua grigia dell’Adriatico arrabbiato. Benedetto sia uno dei fenicotteri che sostano nelle zone acquitrinose del litorale: uno di questi - investito dal furgone su cui Paolo riporta alla stazione Leo, a causa del battibecco finale - li ferma sulla strada, lei scappa, lui la insegue e come nei migliori film d’amore, dopo il litigio e il crollo del pianto dell’adolescente – nonostante tutto è un’adolescente, diamine! – il padre, nel tentativo di confortarla, l’abbraccia.

Un abbraccio desiderato da Leo, un abbraccio in cui lei assapora l’odore dell’uomo che le manca in casa e specialmente nella vita, un abbraccio doloroso che diventa stretto e denso di sentimento. Ma lo sanno, loro, è l’addio. Per sempre. Lei lo ha conosciuto e può tornare, chissà con quali emozioni, a casa dalla inconsapevole madre a cui, forse, racconterà tutto o forse no. Nel frattempo, a lui tocca ricucire con la nuova compagna quello che si è rotto con la presenza della figlia, che purtroppo ha sempre ritenuto inappropriata. Ma solo per egoismo e per paura. Per inadeguatezza e per una maturità che tarda ad arrivargli. Un addio fatto di un ultimo sguardo pregnante di parole non pronunciate in quei tre giorni che lei non voleva mai che finissero. Leo è forte per i suoi pochi anni di età ma è pur sempre una ragazzina, corazzata dalla forza d’animo, ma ragazzina e come tutte è fragile come quei fenicotteri che stanno in piedi con una sola zampa, di cui si dice che se si feriscono a sangue preferiscono lasciarsi morire.

Ci capita tante volte di pensare che un debutto alla regia è positivamente sorprendente, ma spesso perché non lo si aspettava, ma per Alissa Jung è davvero una bella sorpresa: dimostra una maturità incredibile, distribuisce il ritmo con estrema sapienza conoscendo i tempi giusti, scrivendo una sceneggiatura con dialoghi che tengono la scena la continua tensione, inquadrando ora l’una, ora l’altro con grande efficacia, concedendoci il grande piacere di farci sentire in mezzo ai due, come se fossimo con loro, il tutto con l’intenzione di non avere fretta, a non intestardirsi a far esaurire la vena creativa in pochi minuti, ma dilatando la storia lentamente senza annoiare. Non è facile scrivere e dirigere una storia tra un padre ed una figlia in una situazione scomoda come questa, eppure la neoregista fa centro con una padronanza che impressiona. Certamente aiutata dall’attore protagonista che è suo marito e che quindi ne conosce le idee e la mentalità. Comunque, suoi i meriti per l’autenticità del ritratto padre-figlia, lo sguardo non banale sulle location romagnole, la cura per i personaggi di contorno, a cominciare da Edoardo (Arturo Gabbriellini, il figlio di Edoardo!).

E se Luca Marinelli non può più farci impressionare dalla sua bravura eccelsa (è il mio numero 1, perfetto come solito), chi strabilia è la stupefacente Juli Grabenhenrich, una forza della natura. La sua Leo è la vera protagonista del film, sia perché la regista le dedica tutto il tempo e le inquadrature possibili, sia perché lei agisce come un’attrice consumata. Come e dove la regista l’abbia pescata non lo so, ma è stata una fortuna averla trovata perché la ricompensa sta nella recitazione sontuosa che ha saputo offrire, la sicurezza con cui si muove e parla, e soprattutto come sa recitare senza proferire parola. Quegli occhi sono l’emblema dell’intero film. Una rivelazione affascinante. Oltre al fatto che i due trovano quella sintonia che diventa la carta vincente del film, recitano come se lo avessero fatto assieme tante altre volte. Una magia.

I titoli di coda ci regalano un brano cantato dallo stesso Marinelli, con voce sommessa e malinconica: Solo per gioco accompagna il finale come una carezza sonora, coerente con il tono sospeso e intimo della narrazione, mentre scorrono anche polaroid in bianco e nero del set. “Non volevo far sul serio, ma poi mi sei rimasta dentro”, dice come rivolto a Leonie, in nome vero della fantastica protagonista. La vera protagonista di questo piccolo grande film, tra fughe e abbracci, fenicotteri veri e gonfiabili.
Riconoscimenti
Berlino 2025
Premio AG Kino Gilde - Cinema Vision 14plus
Barcelona-Sant Jordi 2025
Migliore regia









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