Personal Shopper (2016)
- michemar

- 9 set
- Tempo di lettura: 4 min

Personal Shopper
Francia, Germania, Repubblica Ceca, Belgio 2016 dramma/mistery 1h45’
Regia: Olivier Assayas
Sceneggiatura: Olivier Assayas
Fotografia: Yorick Le Saux
Montaggio: Marion Monnier
Musiche: Sebastien Pan
Scenografia: François-Renaud Labarthe
Costumi: Jürgen Doering
Kristen Stewart: Maureen Cartwright
Lars Eidinger: Ingo
Nora Waldstätten: Kyra
Anders Danielsen Lie: Erwin
Sigrid Bouaziz: Lara
Ty Olwin: Gary
Audrey Bonnet: Cassandre
Pascal Rambert: Jerome
Benjamin Biolay: Victor Hugo
Dan Belhassen: cardiologo
Hammou Graïa: detective
TRAMA: Maureen è una giovane americana che a Parigi si mantiene lavorando come personal shopper della celebrità Kyra. Inoltre, Maureen ha la capacità psichica di comunicare con gli spiriti dei morti, come quello del fratello gemello Lewis, da poco defunto. Ben presto, comincia a ricevere messaggi ambigui provenienti da una fonte sconosciuta.
VOTO 7

Lo sguardo sperduto e il fisico nervoso di Kristen Stewart riempiono lo schermo per la quasi totalità della durata del film che Olivier Assayas ha cucito intorno all’attrice dopo l’esperienza di Sils Maria, prolungando la magnifica intesa tra il regista francese e l’attrice americana. Lo scopo del cineasta consiste nel costruire l’evanescenza del glamour in cui svolge il compito la protagonista, accoppiata a quella della comunicazione mediata dagli smartphone, che combina il passo da thriller con la comparsa di presenze ectoplasmatiche.
La protagonista del racconto è infatti Maureen, una ragazza americana che a Parigi si guadagna da vivere gestendo il guardaroba di lusso di una celebrità, (è una personal shopper, infatti) ma che deve affrontare l’impegno molto più gravoso dell’elaborazione del lutto per il fratello gemello perso mesi prima. La giovane, in preda alla confusione, cerca la sua identità, il suo ruolo e il suo corpo: si prova i vestiti che compra per la sua datrice di lavoro pur sapendo che le è vietato, asseconda l’inquietante assedio virtuale che uno sconosciuto (un fantasma?) le infligge via sms, si masturba. Un film sulla ricerca di sé, dell’identità in una vicenda che si sviluppa a livello cerebrale, prendendo coscienza del suo lato più animale. Per il resto è una giovane particolare, tutta costretta nel suo lutto, in quel legame con il fratello che sembra non spezzarsi mai, in una solitudine incredibile che quasi le impedisce di parlare.
In luoghi asettici e stilizzati, compra abiti e accessori su commissione, per abbigliare la starlette che fatica a incontrare, nel suo corpo androgino, insofferente, ambiguo, queer, vestito di casual. È una gemella e una medium, Maureen, e sta aspettando un segno: un messaggio del fratello dall’aldilà. Anche qui, come in Sils Maria, è nuovamente diva nel dimesso ruolo di giovane-che-assiste-una-diva, un gioco di riflessi che si fa accecante, contorto. In questa straniante atmosfera, legge Hilma af Klint, pioniera dell’astrattismo e spiritualista, studia le sedute spiritiche di Victor Hugo e si informa tramite materiali didattici su smartphone e pc. Dopo un dialogo in presenza, chatta con un anonimo durante un viaggio in treno e immagina che i suoi fantasmi possano guidarla attraverso il piccolo schermo. “Lewis, sei tu?” (il fratello morto). Si crea così tensione tra il lavoro alienante, quello per guadagnarsi la vita e pagarsi l’affitto e le aspirazioni più alte, l’universo interno, spirituale, l’inconscio, che connette con la parte più essenziale di ognuno di noi, come accade per Maureen.
Il film, come si percepisce, diventa uno sguardo sul rapporto fra la realtà e una dimensione altra che riguarda la finzione e la percezione e in questo approfondimento il fisico esile e nervoso dell’attrice diventa un mezzo efficace, vettore perfetto per rendere l’idea visibile. Per contattare un fantasma cosa le serve? Maureen, alla ricerca di ciò, è in attesa di un segno immateriale o concreto che sia, è in cerca di spettri e di risposte, consapevole di essere dotata, come il fratello, di capacità chiaroveggenti. Lei percepisce delle vibrazioni, ma non sa come interpretarle e il dubbio rimane, fino alla fine. E la scena conclusiva di questo bellissimo film mantiene quella perfetta ambiguità che permea tutto il racconto.
Anche se tecnicamente classificato come horror o thriller, il film funziona meglio se visto come una creazione d’atmosfera. C’è qualcosa di ipnotico nel modo in cui l’autore ha girato il film, impiegando un punto di vista che privilegia inquadrature e riprese lunghe per trascinarci nel mondo della protagonista. E, come ci si può aspettare da un film così, non succede molto: Maureen è bloccata in un limbo e il tono riflette questo. A causa della natura della storia, tuttavia, Assayas infonde al procedimento un senso di tensione che si costruisce gradualmente. Inizia in piccolo e raggiunge il suo crescendo 90 minuti dopo con un’incredibile sequenza che genera tanta suspense a causa di una serie di messaggi.

Olivier Assayas realizza un’opera affascinante ma non è l’unico artefice, perché i meriti di Kristen Stewart sono enormi. Sembra che l’attrice non stia mai recitando. La sua efebica performance distaccata è perfetta per un personaggio che è più interessato alla prossima vita che a questa. È come se stia attraversando la sua esistenza sulla Terra, consapevole che la stessa condizione genetica che ha ucciso suo fratello potrebbe presto farla morire (ha lo stesso problema di salute) e non sembra mai connettersi con chiunque. Non ha paura di mostrarsi in scatti poco glamour (ci sono momenti in cui indossa poco o nessun trucco e ha i capelli filamentosi e disordinati) e permette al regista di filmarla in topless per un paio di scene che però non hanno alcuno scopo sensuale.

Nonostante il film contenga qualche sparuto elemento caratteristico dell’horror - ma è più un mistery - non c’è nulla di spaventoso o inquietante, alcun jump scare, come dicono gli anglosassoni specialisti, tranne qualche episodico avvenimento notturno, indicazioni di “presenze”, ma paiono più sensazioni percepite che fatti reali. Quando, infine, succede l’imprevisto per cui viene sospettata e che la mette nei pasticci, i misteri si infittiscono, dando, solo qui, maggiore tensione e sensazione di thriller vero e proprio, ma sempre con l’aurea del sovrannaturale, con porte di ascensori che si aprono e chiudono come in presenza di un’entità invisibile. Quando va in vacanza con Gary, il suo ragazzo, la “presenza” si fa più presente che mai: “Lewis, sei tu?”

Non tutti, a suo tempo, sono stati d’accordo nel giudicarlo positivamente: io ne sono rimasto affascinato.

Riconoscimenti
Cannes 2016
Miglior regia





















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