Point break - Punto di rottura (1991)
- michemar

- 23 mar 2023
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 18 apr 2024

Point break - Punto di rottura
(Point break) Giappone/USA 1991 poliziesco 2h2’
Regia: Kathryn Bigelow
Sceneggiatura: W. Peter Iliff
Fotografia: Donald Peterman
Montaggio: Howard E. Smith
Musiche: Mark Isham
Scenografia: Peter Jamison
Costumi: Colby P. Bart, Louis Infante
Patrick Swayze: Bodhi
Keanu Reeves: Johnny Utah
Gary Busey: Angelo Pappas
Lori Petty: Tyler Endicott
John C. McGinley: Ben Harp
James LeGros: Roach
Lee Tergesen: Rosie
John Philbin: Nathaniel
Bojesse Christopher: Grommet
Julian Reyes: Alvarez
Daniel Beer: Babbit
TRAMA: Un agente FBI si infiltra in un gruppo di surfisti sospettati di essere autori di una serie di rapine.
Voto 7

Una banda di quattro rapinatori assalta da più di tre anni le banche della contea di Los Angeles: la loro caratteristica è di avere il volto nascosto dalle maschere di gomma raffiguranti quattro ex presidenti (Johnson, Nixon, Carter, Reagan). L'FBI, che non è mai riuscita a risalire alla loro vera identità, è sulle loro tracce senza però avere in mano elementi concreti. Alla sezione di Los Angeles giunge l'agente speciale Johnny Utah, un giovane ambizioso appena diplomatosi a pieni voti, che viene messo in coppia con Angelo Pappas (Gary Busey), un anziano professionista e veterano del Vietnam, che ha una teoria: i “rapinatori-ex presidenti” sono surfisti che con le rapine — che mettono a segno solo in estate — finanziano la loro vita libera, così da potersi trasferire durante l'inverno in giro per il mondo, alla ricerca delle località con il clima e le onde migliori. La teoria è suffragata da due elementi: il primo consiste nei campioni di terra e sabbia ritrovati sulla scena del delitto, senza però essere mai stati presi in considerazione dagli investigatori e dai loro superiori; il secondo consiste nella ripresa di una telecamera di sicurezza delle natiche mostrate per scherno da uno dei rapinatori, che evidenzia la forte differenza di abbronzatura con la schiena tipica dei surfisti o frequentatori di spiagge.

Può bastare questo impianto di base per un film di alto gradimento pieno di azione ed evoluzioni acrobatiche tali da tenere alta l’attenzione dal primo all’ultimo minuto? Forse sì, forse no, ma in mano a Kathryn Bigelow non è più “forse sì", è senz’altro così. Ci si può stancare e trovare inutile continuare a dire o leggere che lei gira i film con mentalità e mano maschili, ma è un dato di fatto, forse quasi unico nel panorama mondiale di questa arte. Sarà capitato a tutti di vedere un film girato con sensibilità e visione chiaramente femminili, tanto da spingersi a curiosare il nome dell’autore/autrice alla fine della visione e ci si accorge che in effetti – e così si scrive spesso – solo una donna avrebbe fotografato o scritto un film in quella data maniera. È innegabile. Con la grintosa Bigelow succede l’esatto contrario, ogni volta. E non in maniera ordinaria, se così si può dire, ma con stile talmente personale ed incisivo che la tensione, la dinamica e l’azione ma soprattutto l’adrenalina che riesce a sviluppare, che imprime alle sue opere restano pressocché intatte dal primo minuto e fino all’ultima inquadratura.

Con questo buonissimo film, il suo terzo da sola, torna su un tema già studiato e applicato nel precedente Blue Steel - Bersaglio mortale, quando il personaggio principale è (e stavolta è proprio una donna, Jamie Lee Curtis) alle prime armi nella divisa di poliziotta. Qui si ripete: il novellino ma audace Johnny Utah (Keanu Reeves), una ex star del football che per un serio infortunio si congeda dallo sport ed entra nella FBI, viene incaricato delle indagini per fermare la serie di rapine alle banche. Lui non sarà il solo protagonista ma dovrà misurarsi con un altro di pari importanza, il capo della banda, Bodhy (Patrick Swayze), dal nome che si pronuncia come body, un corpo atletico che si muove con la medesima grazia sia mascherato e con un’arma in mano sia con una tavoletta sotto i piedi sulle onde che pare ogni volta lo travolgano e da cui invece sa uscire come un angelo dal tunnel dell’acqua. Un giovane agente bello e prestante contro un leone marino con la mentalità di eroe esistenzialista il cui carisma incanta il nemico/amico.

Keanu Reeves veniva da buone esperienze precedenti, dove gli capitavano ruoli da bel ragazzo, ma la Bigelow gli offre un’occasione d’oro con un personaggio da primo piano in un film che pian piano è diventato un cult e lui ha iniziato così una carriera costellata da figure di movimento che continua tutt’oggi, e con gran successo. Al contrario, Patrick Swayze veniva già da ottimi risultati di gradimento, ma soprattutto dall’amato Ghost – Fantasma ed ora passa dal sentimentale all’action pura, ricavandone un personaggio un po’ troppo esaltato ed impunito ma di grande effetto ai fini della spettacolarità. Intorno, solo personaggi di contorno ai due, solo da sfondo al confronto che, come nei western, girano e girano ma alla fine deve arrivare allo scontro diretto. Perfino la figura femminile di Tyler (Lori Petty), nonostante la regia di una donna, viene oscurata dal duello – ora psicologico, poi fisico – tutto al maschile. La sceneggiatura di W. Peter Iliff e la regia non perdono molto tempo ad analizzare in profondità i caratteri e le motivazioni che muovono i due giovanotti, piuttosto puntano sul sottile gioco psicologico di quando il poliziotto resta affascinato dal rivale o quando le carte vengono scoperte e Bodhy e Johnny di sfidano ad alta quota.

Kathryn Bigelow gioca abilmente la possibilità di mettere in vetrina due uomini che non sono solo d’azione, come potrebbe sembrare di primo acchito, ma di pensiero che scelgono l'azione come modo per esprimere le proprie convinzioni. Ciò aggiunge un elemento intrigante ai loro personaggi e rende il confronto finale il più significativo possibile, dato che – è comunque il caso di dirlo - la trama è discretamente poco credibile. Ma tutto serve al riuscito intrattenimento. Che è solo l’antipasto di una carriera che porterà la regista in cima al mondo, sia con The Hurt Locker (rari i film di tale portata adrenalinica!) che con Zero Dark Thirty. E che maestria a dirigere un film non facile come Detroit!
Allacciamo le cinture, ché si deve volare sulle macchine che si inseguono e poi sulle onde e con i paracadute. Non c’è attimo di sosta.






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