Rimetti a noi i nostri debiti (2018)
- michemar

- 14 mar 2023
- Tempo di lettura: 7 min
Aggiornamento: 10 set

Rimetti a noi i nostri debiti
Italia, Svizzera, Albania, Polonia 2018 dramma 1h44’
Regia: Antonio Morabito
Sceneggiatura: Antonio Morabito, Amedeo Pagani
Fotografia: Duccio Cimatti
Montaggio: Francesca Bracci
Musiche: Andrea Guerra
Scenografia: Marcello Di Carlo
Costumi: Stefania Grilli
Marco Giallini: Franco
Claudio Santamaria: Guido
Jerzy Stuhr: il professore
Flonja Kodheli: Rina
Peppino Mazzotta: dirigente COBUfin
Maddalena Crippa: funzionaria della società
Agnieszka Zulewska: moglie di Franco
Leonardo Nigro: Fantinari
Giorgio Gobbi: capo magazziniere
Paolo De Vita: Rinaldi
Giovanni Lillo: Viktor
TRAMA: Un uomo, alle prese con il peso schiacciante di un suo debito, decide di lavorare come esattore della società di recupero crediti, per ripagare i suoi creditori.
Voto 6,5

Guido (Claudio Santamaria), che ha già perso il lavoro di perito informatico a seguito del fallimento dell’azienda, vive tirando avanti come può: un lavoro saltuario da magazziniere, qualche bicchiere di whiskey al bar di Viktor dove adesso c’è Rina (Flonja Kodheli), la barista che lo sostituisce momentaneamente, e l’amicizia di un vecchio professore (Jertzy Stuhr) vicino di casa con cui parlare ogni tanto. Il problema serio è che però ora ha accumulato debiti tra prestiti e affitti non pagati. Quando viene anche cacciato dal magazziniere, perde anche quel lavoro e, come si vede nella sequenza introduttiva, subisce un’aggressione commissionata da parte della società di recuperi crediti che vanta il diritto alla riscossione del suo debito. Vessato e disperato, malamente confortato dagli assurdi discorsi da complottista globale che gli fa il professore, che gli rifila anche qualche banconota per sopravvivere, prende una decisione folle e paradossale: si reca presso la COBUfin, l’agenzia finanziaria che lo tartassa e si offre di lavorare gratis al suo dirigente (un feroce Peppino Mazzotta) come esattore fino ad estinguere il debito. Sarà Franco (Marco Giallini), un esperto e affermato recuperatore di crediti, che dovrà occuparsi della sua formazione e subito, anche se quest’ultimo si mostra scocciato della compagnia di un pivello, escono per le prime “operazioni”.

È una coppia davvero singolare: tanto Franco è estroso e cinico, tanto Guido è riservato ed insicuro, soprattutto per un lavoro così aggressivo. Nel breve giro di qualche giorno e di qualche visita come previsto dalle mansioni affidate, il nostro uomo ha modo di conoscere persone sia benestanti che non hanno voglia di ripianare il debito (che la società compra dalle banche a prezzi irrisori), sia famiglie sul lastrico che hanno chiesto prestiti per i più svariati motivi. I primi, come impara, vanno svergognati per i loro debiti davanti a familiari e conoscenti influenti, i secondi intimoriti e persino ricattati con lo scopo poi di dichiararli insolubili e salvarli. Inevitabile che davanti a tali situazioni incresciose, Guido andrà facilmente in crisi di coscienza e ripenserà sulle sue scelte e sull’amicizia che ha concesso a quell’uomo spietato. Specialmente quando Franco si rivelerà pienamente nel suo carattere e nella sua indole sprezzante ed insensibile.

Pur essendo stato girato nel 2018 ed entrato nell’interesse di Netflix e per questo mai uscito nelle sale, solo adesso il film ha riscosso molto interesse da parte del pubblico e si è fatto conoscere meglio, riscuotendo un discreto apprezzamento. L’autore è Antonio Morabito, regista che non è nuovo ad affrontare argomenti spinosi e scomodi, che normalmente il cinema italiano evita di guardare in faccia: prima si era fatto notare per Il venditore di medicine, dedicato al sistema marcio e mercificato della compravendita dei farmaci, e con questo film, sempre con Claudio Santamaria come protagonista, perlustra quel mondo bizzarro e sconcertante del recupero crediti e sul modo inquietante con il quale questo servizio viene effettuato. Come Franco istruisce l’inesperto Guido, dopo ogni volta che l’istituto ha “comprato” il credito da una banca, la prima mossa da compiere è mettere in difficoltà il debitore conclamando davanti a conoscenti ed estranei la sua inadempienza, per poi, se non bastasse, passare alle vie di fatto materiali e manesche per indurlo alla paura. L’esperto esattore è molto conosciuto nell’ambiente e sa farsi valere, tanto da aver raggiunto ormai una eccellente posizione sociale, con tanto di villa, una bella famiglia e un’automobile costosa. È una persona cinica e impassibile, che non disdegna sfruttare la debolezza delle persone cadute in disgrazia, fa il gradasso davanti al nuovo collega bistrattando cameriere, ma non si sente mai in colpa andandosi ipocritamente a confessare peccatucci veniali dal suo parroco per liberarsi definitivamente dai sensi di colpa e sentirsi a posto con la coscienza andando sotto l’altare e… “Padre nostro che sei nei cieli… e rimetti a noi i nostri debiti”.

Curioso l’abbigliamento con cui i due si presentano alle persone a scopo intimidatorio: con abito scuro elegante con tanto di farfallino bianco e mantella tipo magistrato sulle cui spalle c’è scritto Recupero Crediti. Da dove viene questo strano acconcio lo spiega il regista: “Tutto è nato da un articolo letto sul País dove si parlava di ‘El cobrador del frac’ (ossia ‘il collezionista di frac’). In Spagna fanno recupero crediti in un modo piuttosto bizzarro, mandando gli esattori, vestiti con un frac molto appariscente, a dare il tormento ai debitori. Poi, sempre da articoli di giornale, ho visto che in Italia, superata la soglia del normale recupero crediti, c’è la possibilità legale di vendere il debito a un’altra società, che lo acquisisce a suo rischio per un valore irrisorio. Questa operazione mi sembrava interessante, perché dava modo di parlare del debito a tutto tondo, con il debitore stritolato in questa morsa micidiale che lo porta alla fine ad avere un debito con se stesso, con la sua dignità, con la vita.”. Antonio Morabito ci mostra in ripetute scene (troppo ripetute) come si svolge nella pratica l’abbordaggio e il fastidiosissimo comportamento che questi tengono con quelle che sono delle vere e proprie vittime, uno stalkeraggio in piena regola, pur se spinti da una legittima pretesa. Ma quando una delle malcapitate vittime è una persona che il povero e smarrito Guido conosce bene, scoppia l’inevitabile dissidio tra i due, in un grande cimitero della Roma periferica. Il litigio avviene vicino ad una lapide su cui si può leggere il nome di Pavel Ivanovič Čičikov, personaggio immaginario creato da Gogol e protagonista de Le anime morte. Una citazione visiva dimostrata da come inveisce l’irato Franco verso l’altro: “Qui sono tutti già morti [indicando la borsa piena di pratiche], guarda quanti debitori. Guarda! Noi li compriamo ma questi sono tutti morti. Io e te siamo già morti!!!”. Come dargli torto se questo dannato lavoro lascia solo una scia di corpi indeboliti dalla crisi e dalla disoccupazione e sono così disperati da indebitarsi sapendo che difficilmente potranno saldare i conti, e con il pesante fardello di perdita di dignità? C’è sicuramente una fetta di approfittatori che fanno la bella vita a spese degli altri, ma tutto il resto non è altro che gente che deve sbarcare il lunario con una pensione minima che non permette di vivere dignitosamente. La moglie del professore (il grande Jerzy Stuhr), per esempio, era malata e lui non aveva i soldi necessari per farla curare.

Per un personaggio come Guido è normale attendersi uno scatto di dignità, una reazione consona al suo mite carattere e alla sua compostezza, di un uomo rassegnato che non ha più speranze di risalita. La coscienza gli impone di ribellarsi al mondo che ha scoperto. Tanto sfortunato che non gli va bene neanche tornare sui suoi passi e cercare di ritrovare Rina, la barista tedesca con cui aveva stabilito una certa assonanza di umanità e sentimenti. Donna che ha una battuta importante che passa quasi inosservata e che invece racchiude la morale del film: “Qui da voi la gente è rassegnata, triste, e io non voglio diventare triste.”. Il finale è mesto ma rientra nell’attendibile: il regista fa bene a non dare false speranze in un mondo così spietato come quello in cui stiamo vivendo.

Riguardevole il lavoro svolto da Antonio Morabito. Scrive molto bene, assieme a Amedeo Pagani, i caratteri dei due personaggi caricandoli per le loro peculiarità e differenze, li dirige con competenza e sceglie con cura l’ambientazione, che per molti tratti, anche per merito della bella fotografia di Duccio Cimatti, ricorda il cinema sottovoce di Kaurismäki, come i bar sospesi nel nulla, come questo e un paesaggio in cui si rispecchiano i mondi interiori dei personaggi. Felice è poi la scelta degli attori: Marco Giallini e Claudio Santamaria sono molto differenti e ciò funziona alla perfezione per distaccare i due personaggi, con una sceneggiatura adeguata al loro modo di porsi e recitare. Funzionano a dovere e recitano benissimo. Inoltre, il regista ospita un attore importante per il cinema europeo, quel Jerzy Stuhr che ha lavorato con grandi autori come Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Zanussi e Andrzej Wajda, e che va ricordato, oltre che regista, attore con Nanni Moretti in Il Caimano e Habemus Papam. Il viso interessante è infine quello della barista Flonja Kodheli, anche pianista e compositrice belga di origine albanese, che interpreta con disinvoltura ed efficacia esistenziale la barista.

Tutto sarebbe filato liscio se non ci fosse stato il problema della tenuta del film, nel senso dell’attenzione che inevitabilmente cala quando si ripete in alcune scene e che accusa momenti di rilassamento, certamente non cercato, quindi da imputare ad un calo di scrittura e di messa in scena. Poi, se il punto di forza sta nella caratterizzazione die personaggi, il debole si avverte nella scarsa spiegazione delle motivazioni del comportamento di Franco e dal poco progressivo percorso psicologico che porta alla reazione di Guido. La prima metà promette molto, nella seconda, quando è necessario tirare le somme, le condizioni narrative chiudono un po’ le ali e si arriva planando ad un finale intuibile e inevitabile.
La valutazione complessiva è certamente positiva, anche su un regista, come Antonio Morabito, che ama i pericoli e li affronta da temerario, cercando risposte e non offrendo alternative di giudizio, Buon regista che conosciamo poco avendo girato in 18 anni solo tre lungometraggi.






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