Settembre (1987)
- michemar

- 3 gen
- Tempo di lettura: 7 min

Settembre
(September) 1987 dramma 1h23’
Regia: Woody Allen
Sceneggiatura: Woody Allen
Fotografia: Carlo Di Palma
Montaggio: Susan E. Morse
Scenografia: Santo Loquasto
Costumi: Jeffrey Kurland
Mia Farrow: Lane
Dianne Wiest: Stephanie
Elaine Stritch: Diane
Denholm Elliott: Howard
Jack Warden: Lloyd
Sam Waterston: Peter
TRAMA: Per due giorni e una notte, in una villa del Vermont, alla fine d’agosto sei personaggi si confrontano, si scontrano e soffrono. Il nucleo segreto della storia è il rapporto tra madre e figlia.
Voto 7,5

Una breve carrellata di macchina ci introduce dal corridoio nella casa di Lane nella campagna del Vermont, lì dove si svolgerà la breve trama che comprende due giorni ed una notte, poco più di ventiquattr’ore, densa di discussioni, rimpianti, dolorose decisioni, rinfacci, lacrime e la rivelazione del segreto più grande che grava da tempo sui non facili e traumatici rapporti tra due dei personaggi. Alla fine, il giorno dopo, quando tutti si accingono al lasciare l’abitazione, il carrello ripercorre all’incontrario il breve percorso facendoci uscire e chiudendo amaramente la storia.

Siamo a fine agosto, quando ormai il settembre autunnale si sta affacciando con i primi temporali sulla casa di Lane (Mia Farrow), che da qualche tempo ha lasciato la città per riprendere in mano le redini della sua vita nella casa di campagna che le ha lasciato la madre Diane (Elaine Stritch), appena giunta con il nuovo marito Lloyd (Jack Warden) e che non dà segni di voler andar via, almeno per il momento. Gli altri che si aggirano in casa sono solo tre: Lane ama Peter (Sam Waterston), uno scrittore con poca ispirazione, il quale però è totalmente innamorato di Stephanie (Dianne Wiest), amica intima della padrona di casa, donna sposata e con figli che lì trascorre l’ultimo scampolo d’estate. Nel frattempo, Howard (Denholm Elliott), un fisico che lavora in progetti importanti del governo, cerca invano di corteggiare e conquistare Lane.

Una situazione affettiva intricata ad incastri, dove chi è attratto da una persona non trova corrispondenza perché la controparte amerebbe avere il cuore di un altro o altra. Come lati di una figura geometrica che non trovano l’angolo giusto. Stephanie è tentata di cedere a Peter che la insidia continuamente e le confessa tutto il suo amore, ma la donna, a prescindere che ha una famiglia, non vuole danneggiare i sentimenti di Lane, illusa dalle educate attenzioni e dalla frequentazione con lo scrittore. Insomma, lei ama lui, che ama un’altra, mentre è desiderata da un uomo più anziano che rifiuta nonostante una corte serrata ma delicata. Intorno, una matriarca dirompente e invadente con al seguito un cagnolone di uomo ininfluente.

Come se la trama si svolgesse sulle assi di un palcoscenico, osserviamo spesso gli incontri a due a due di questi personaggi, solo qualche volte tutti assieme mentre ingannano il tempo in chiacchiere di varia natura e bevono fiumi di alcol, con una persona che sovrasta tutti: la mamma Diane, donna ormai più che matura che, devastante nella sua esuberanza oratoria e caratteriale, domina le discussioni e l’intrattenimento, arrivando ad organizzare un party con i vicini per la serata, quando la sfortunata e indifesa Lane pensava di andare con Peter a cinema per un film di Kurosawa. Nulla da fare: la madre vuole passare la sera con gente a bere, vanificando ancora una volta le scelte della figlia, chiaramente succube. Anzi, completamente stravolta da un crollo mentale che la costringe a sedativi per sopravvivere, e l’arrivo della madre nella casa nella compagna del Vermont, che proprio questa le ha lasciato, ha scombussolato la ricerca di pace di cui aveva bisogno, magari col conforto amorevole di Peter, che però non ha occhi che per l’amica Stephanie, donna indecisa se cedere all’uomo, e quindi far del male a Lane, o opporsi e sacrificarsi.

In questo clima non facile, la eccessiva vivacità e l’egoismo prorompente che anima Diane è il detonatore potenziale all’esplosione della crisi che pare imminente: lei continua a ribadire come non capisca che sia potuta invecchiare, lei che era così bella e attraente, come ha vissuto non bene con il marito e padre di Lane, abbandonando tutti e andandosene a vivere con un criminale violento che la picchiava e che – a quanto pare, almeno in via ufficiale – lei ha ucciso per difesa con un colpo di pistola. Ma ora ha il buon Lloyd, facoltoso e buon uomo che la accontenta in ogni maniera mentre lei imperversa nella vita e nella casa, decidendo per tutti e zittendo tutti. Più questo accade, più è in crisi Lane, ridotta alla crisi senza soluzione, persino vicina a provare a risolvere la sua esistenza con il secondo tentativo di suicidio, motivo per il quale si era rifugiata in quella casa ora invasa dalla madre. Forse, l’unica soluzione è venderla e tornare a New York per riprendere l’attività di fotografa.

Fin quando arrivano potenziali acquirenti, momento in cui scoppia un putiferio, alla fine del quale, nella animatissima discussione tra le due congiunte - dopo che Lane ha anche scoperto le vere intenzioni di Peter verso l’amica - alla donna sfugge una terribile confessione, lasciando tutti gelidi e impietriti. Il castello ipocrita crolla e ognuno, tra cui il povero e deluso Howard, decide di sgomberare fisicamente e mentalmente da quella casa e tornare tutti quieti alla routine che li aspetta, con Lane sempre più in crisi ma determinata a cambiar vita.

Tra i film più impegnativi e drammatici di Woody Allen, questo, assieme a pochissimi altri, è un film scritto da vero drammaturgo, con chiare influenze bergmaniane come poche altre volte, parlando di donne (scrivendone come pochi al mondo, come ho sempre ribadito) e descrivendone le problematiche e le dinamiche nell’ambito sia familiare che nei rapporti sentimentali con gli uomini. Questo è un gruppo di personaggi problematici, soprattutto deboli, con poche difese personali, compreso – perché no – anche l’insopportabile madre, la cui sovrabbondanza pare uno scudo di difesa per i fallimenti personali che l’hanno afflitta e che lei, invece, ritiene successi. Ognuno cerca la persona a cui appoggiarsi per non crollare e la più debole, chiaramente Lane, è quella più vicina al fallimento. Chi conosce il meraviglioso Zio Vanja di Anton Cechov si accorgerà delle varie attinenze, di quanto abbia preso spunto il nostro autore per scrivere e girare questo film, di come, in parallelo, in quell’opera, come in questa, non si fa altro che parlare delle difficoltà della vita e di quella vissuta in quella casa, con lo spettro della morte (tema che ha lungamente abitato le opere di Allen) che aleggia anche quando i personaggi fanno finta di parlare d’altro.

Raramente si verifica che in un film di Woody che ci sia tanta drammaticità e mancanza di almeno una battuta divertente, di un aforisma spiazzante, e ciò viene maggiormente evidenziato da molti primi piani e solo qualche inquadratura media per catturare i movimenti di scena. È un film da camera, come ogni dramma teatrale richiede, un film racchiuso in poche stanze e quella minima carrellata che assomiglia più che altro ad un sipario che all’inizio si alza e alla fine drammatica si richiude mestamente. Tutto il cast tecnico lavora all’unisono: il costumista Jeffrey Kurland elabora vistiti semplici e poco colorati, nonostante le vanitose pretese di Diane per la mise serale del party che non ci sarà mai, anche (ma non unicamente) per il violento temporale che si abbatte la sera; la scenografia del fidato Santo Loquasto è perfettamente in tono con l’ambientazione psicologica e l’atmosfera che si aggira; la fotografia di Carlo di Palma sposa alla perfezione quanto detto prima imprimendo una colorazione autunnale dai toni tenui ad ogni inquadratura, come una pellicola ingiallita e scolorita nel tempo, come l’autunno esistenziale che stanno affrontando i sei personaggi.

Dramma corale, dominato dalla recitazione altamente professionale di un gruppo eccellente di attori, in cui la allora prediletta Mia Farrow ha modo di sfoggiare la fragilità del suo personaggio, fisicamente adatta al ruolo, donna a cui Woody Allen ha donato parti importanti come nessun altro autore e che lui ha diretto nel periodo artisticamente migliore seppur lontano da quegli schemi che lo hanno reso famoso, in cui ha saputo coniugare i dubbi esistenziali, le dinamiche filosofiche, le scelte vitali che ogni individuo deve affrontare prima o poi. Come è successo a lui che, giocando giocando è arrivato nel momento della sua vita in cui doveva fronteggiare i veri problemi dell’uomo, affidandoli meglio sulle spalle dei personaggi femminili. Meglio con Mia Farrow e con Cate Blanchett quando questa lo ha completamente sostituito come alter ego, rispetto a Diane Keaton che gli è servita come sponda. Rivediamo Dianne Wiest come negli altri film di quel periodo, come anche il frequente Sam Waterston.

La scrittura è quella di un drammaturgo vero, la regia è quella consapevole di un fine cineasta che ha avuto l’umiltà di imparare dai maestri che ha preso come punti di riferimento, la visione è quella di un artista maturo e pronto per temi seri. Settembre è il nome di un mese che lascia sperare in un prolungamento dell’estate, che dà aspettative ancora positive, ma è anche la porta per uscire dalla vacanza, come quella macchina da presa che ci conduce all’aperto, dove non c’è stata mai un’inquadratura. Non siamo mai usciti all’aperto: ora è tempo che ognuno torni da dove è partito. Un film troppo serio? No, è un’opera emotiva, fatta di personaggi emotivi, sensibili, che, se parlano, parlano troppo e a vanvera, se tacciono, esprimono tantissimi sentimenti. Assoli e coro, riflessioni sul dolore e voglia di felicità e serenità, e discussioni vivaci, fino al litigio vero e proprio ma liberatorio. Ora sappiamo. Ora sappiamo il trauma di Lane e anche la generosità della madre, che non è esente da colpe, anzi è l’unica colpevole sulla scena.

Allen ci consegna ancora una volta un ricercato film superbamente realizzato, che si focalizza sull’intricato mondo delle emozioni umane e i delicati fili che le tengono unite.
Grazie Woody!
Curiosità.
Allen ha scritto il film ispirandosi alla casa di campagna di Mia Farrow nel Connecticut e avrebbe voluto girarlo proprio in quella casa. Quando finì la sceneggiatura, però, era ormai inverno ed essendo il film ambientato alla fine di agosto non lo si poteva girare nella casa reale. Il film venne allora girato in studio a New York.
Il film è stato girato due volte con attori diversi. Il cast originale vedeva Sam Shepard nel ruolo dello scrittore Peter (Christopher Walken abbandonò lo stesso ruolo dopo alcune scene, essendosi rivelato non adatto), Maureen O’Sullivan nel ruolo di Diane, e Charles Durning nel ruolo di Howard. Dopo aver finito e montato il film, il regista era del tutto insoddisfatto, e decise di riscriverlo, trovare un nuovo cast e rigirarlo da capo. Le uniche fisse erano rimaste Mia Farrow e Dianne Wiest.
(fonte Wikipedia)
Secondo l’autobiografia di Mia Farrow, “What Falls Away”, lui era ansioso di rifare tutto per la terza volta (!).














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