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Shutter Island (2010)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 27 set 2020
  • Tempo di lettura: 4 min

Aggiornamento: 24 set

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Shutter Island

USA 2010 thriller 2h18'

Regia: Martin Scorsese

Soggetto: Dennis Lehane (L'isola della paura)

Sceneggiatura: Laeta Kalogridis

Fotografia: Robert Richardson

Montaggio: Thelma Schoonmaker

Scenografia: Dante Ferretti, Francesca Lo Schiavo

Costumi: Sandy Powell

Leonardo DiCaprio: Edward "Teddy" Daniels / Andrew Laeddis

Mark Ruffalo: Chuck Aule / Dr. Sheehan

Ben Kingsley: dott. John Cawley

Michelle Williams: Dolores Chanal

Emily Mortimer: Rachel Solando

Patricia Clarkson: dott.sa Rachel Solando

Max von Sydow: dott. Jeremiah Naehring

Jackie Earle Haley: George Noyce

Ted Levine: Warden

John Carroll Lynch: ag. Warden McPherson

Elias Koteas: falso Andrew Laeddis

TRAMA: Il capo del corpo della polizia locale Teddy Daniels e il suo nuovo partner Chuck Aule vengono convocati a Shutter Island per indagare sull'inverosimile scomparsa di una pluriomicida che sarebbe riuscita a fuggire da una cella blindata dell'impenetrabile ospedale di Ashecliffe. I due poliziotti si trovano immersi in un'atmosfera imprevedibile dove nulla è come appare. Con un uragano in arrivo, le indagini procedono velocemente: a mano amano che la tempesta si avvicina, i sospetti ed i misteri si moltiplicano e diventano sempre più e terrorizzanti e terrificanti con l'emergere di oscuri complotti, sordidi esperimenti medici, lavaggi del cervello, reparti segreti e un accenno a eventi soprannaturali.

Voto 7,5


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C’è voluto uno scritto di Dennis Lehane (celeberrimo scrittore, accademico, sceneggiatore e ispiratore di film di successo come Mystic River, Gone Baby Gone, Chi è senza colpa, La legge della notte) per condurre Martin Scorsese nella vasta pianura accidentata del gotico. Sì, perché questo misterioso film, il suo più buio, abitato da fantasmi della memoria più recondita, ha un manto gotico che lo contraddistingue dalle altre numerose opere del maestro newyorkese di origini italiane (con tanto di passaporto). E non pochi si son chiesti come mai un passo del genere è stato compiuto ed è lo stesso regista che ne spiegò le cause.


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Prima di tutto lo interessò il lato emotivo del racconto, sentendosi empatico verso il sofferto e non facile protagonista. Quindi la scelta era dovuta sia a motivi psicologici che il desiderio si iniziare un’avventura cinematografica mescolando generi tanto cari alla vecchia Hollywood, tra il thriller, l’horror, il gotico e lo psicodramma. Ed eccolo allora utilizzare elementi come la pioggia, l'oscurità, le dimore, l'inquadratura, l’illuminazione e altre cose del genere. Perfino tinte di noir. Ciò che lo attirò più di tutto il resto, fu, come dichiarò al tempo, quello che accadeva al protagonista Teddy, che trovò molto commovente ed emotivamente attraente, profondamente scioccato dal trauma post-guerra. E per realizzare il suo progetto non poteva non chiamare l’attore simbolo del suo cinema, Leonardo DiCaprio, scelta che fu propria anche dei produttori una volta che si decise in maniera definitiva chi poteva dirigere il film: l’accoppiata Scorsese-DiCaprio sembrò subito la migliore.


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In seguito, furono scelti i comprimari con grande oculatezza, tanto che sul set e sullo schermo i vari Mark Ruffalo, Ben Kingsley, Michelle Williams, Patricia Clarkson e Emily Mortimer si rivelarono prima entusiasti e poi adattissimi ai compiti ricevuti, tutti incantanti dal mix di atmosfere dark e fantasy, noir e soprannaturale, dal montaggio pieno di flashbacks, dagli abiti eleganti dell’epoca. Tutto mescolato con arte in un dramma di forte carattere.


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Thriller particolare, il più complesso e contaminato da profondi risvolti psicologici, tra i più neri di Martin Scorsese. Anche tra i più controversi, dal momento che la critica ufficiale si è più o meno divisa tra chi lo ha apprezzato e chi lo ha invece massacrato come un film che “accartoccia in una spiegazione verbosa dietro l'altra per mettere in scena il dramma psicotico dell'ennesimo uomo che non c'era”. Tutto ciò che all'inizio pare un classico noir poliziesco diventa man mano una discesa negli scuri meandri della memoria, in cui ci sono ricordi che si vogliono seppellire sotto altre realtà che fanno comodo. Ma la vera realtà è un'altra. E l’esoterismo assume maggiore spessore se pensiamo che l’anagramma del titolo (sempre in lingua inglese) per gli appassionati di enigmistica diventa “Truths and Lies” (Verità e bugie).


Ma il twist finale è la mossa che fa sobbalzare l'attenzione del pubblico, fino a quel momento convinto di assistere ad una storia solo drammatica e di sofferenza. Ed invece, tutto ribaltato, e i personaggi li vediamo con altri occhi: un colpo di scena davvero eclatante.


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Ogni volta nel cinema sembra di vivere la stessa storia della mente malata, ma invece ogni volta è un viaggio diverso, in cui non sappiamo fin dove ci si può spingere, cosa riusciremo a scoprire, dove conviene fermarsi. Se il film riesce (per chi lo ha apprezzato) è primario il lavoro del regista, nel tracciare il tragitto narrativo e mentale, perché è lui l'autista, è lui il Caronte che ci fa traghettare dal reale all'immaginario: gli attori sono solo dei tramiti. Che qui io trovo bravissimi, perché il Leo è concentratissimo e il Mark sembra il nostro vicino di casa, con cui andremmo dappertutto.


Tanti apprezzamenti, tantissimo gradimento da parte del pubblico, 11 premi e 66 candidature in tutto il m ondo.



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Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

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