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Seven (1995)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 16 ago 2019
  • Tempo di lettura: 3 min

Aggiornamento: 26 mag 2023


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Seven

(Se7en) USA 1995 thriller 2h7’


Regia: David Fincher

Sceneggiatura: Andrew Kevin Walker

Fotografia: Darius Khondji

Montaggio: Richard Francis-Bruce

Musiche: Howard Shore

Scenografia: Arthur Max

Costumi: Michael Kaplan


Morgan Freeman: det. William Somerset

Brad Pitt: det. David Mills

Kevin Spacey: John Doe

Gwyneth Paltrow: Tracy Mills

R. Lee Ermey: capitano di polizia

John C. McGinley: California

Richard Roundtree: proc. Martin Talbot

Richard Schiff: avv. Mark Swarr


TRAMA: Nella sua ultima settimana di lavoro prima di andare in pensione, l'esperto detective William Somerset viene affiancato dal giovane e irruente collega David Mills. Insieme, i due devono affrontare il caso più insolito e atroce della loro carriera: un killer psicopatico, che risponde al nome di John Doe, ha firmato con il sangue una serie di orribili delitti. Tutte le vittime condividono colpe riconducibili ai sette peccati capitali.


Voto 8

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Questo thriller inquietante/affascinante, che ormai si può ritenere un vero cult del genere e non solo per gli anni ’90, fu il film che affermò tutto il talento di David Fincher, che in quel momento aveva alle spalle solo alcuni video, un documentario e il secondo sequel di Alien (Alien³). Nessuno però avrebbe mai immaginato che nel tempo questo film - che ha i soliti e rituali elementi del thriller classico, cioè un paio di detective (impersonati da Brad Pitt e Morgan Freeman) che indagano su omicidi commessi da un serial killer - scritto da dipendente di una catena di negozi musicali, avrebbe finito per assomigliare ad una vera opera d’arte. Che sia un film parecchio diverso dal panorama allora conosciuto lo si può dedurre immediatamente osservando i titoli di testa, che arrivano dopo circa 4 minuti e ricordano filmati sperimentali, con titoli traballanti, miscela di suoni elettronici, parvenze di urla, primissimi piani su oggetti, mani, alternando brevissime sequenze che suggeriscono una misteriosa affinità fra il serial killer e la polizia.

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I due detective, l’esperto e prossimo al pensionamento Somerset e l’ultimo arrivato al distretto e irruente Mills, stanno cercando di far luce su una serie di orribili omicidi che si ispirano ai sette vizi capitali e il decadimento della città in cui vivono, il buio, la pioggia aiutano a creare un’atmosfera plumbea e metafisica che si prolunga perfino nella campagna desolata e gialla della sequenza finale. Guardandolo diventa quasi inevitabile andare con la mente ad altri capostipiti del cinema, perché le città raffigurate in Taxi Driver e Blade Runner, se messe a confronto con quella mostrata in questa opera, sembrano quasi far meno paura: questa locazione aiuta anche a creare un’atmosfera metafisica che non viene meno neanche quando l’azione si trasferisce in campagna. Dove addirittura quel finale tragico raggiunge il suo culmine.

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Una cosa risulta comunque certa. La ricerca ovviamente studiata della sgradevolezza nelle riprese operate dal regista è una caratteristica che vuol mostrarci quella dell’era che viviamo. Ci si crogiola, in questa ripugnanza, ci si sporca le mani e gli occhi, perfino la mente ma il regista non è che ci va fino in fondo per spiegarcela. Ce la spiattella e noi ci sguazziamo. Nonostante tutto, è uno dei pochi film che in quegli anni dell’uscita nelle sale arrivò fino a quelle dell’Iran postrivoluzionario (assieme ci arrivarono anche la trilogia de Il Padrino e Balla coi lupi) e se il direttore della fotografia, Darius Khondji, iraniano di origine, non ha contato nulla, vuol dire che questa scelta qualcosa ha significato.

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E mentre ci chiediamo ammutoliti perché il mondo è così cattivo, perché David Fincher ci mostra tanto orrore, con la mente andiamo al finale e alla scena madre di tutto il film, ammesso che se ne possa scegliere solo una. La campagna è assolata, gialla, deserta, polverosa, si prova caldo al solo guardarla. Scena magistrale, in cui il crescendo della tensione si accumula alla orripilante consegna e apertura della scatola di cartone, culminando infine con la sofferta (in)decisione di Mills a chiudere definitivamente la questione.

David Fincher a soli 32 anni è già ai massimi livelli. E noi oggi lo sappiamo, si ripeterà.

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1996 - Premio Oscar

Candidatura miglior montaggio



 
 
 

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