Spaceman (2024)
- michemar
- 11 mar 2024
- Tempo di lettura: 8 min

Spaceman
Rep.Ceca/USA 2024 dramma fantascientifico 1h47’
Regia: Johan Renck
Soggetto: Jaroslav Kalfar (romanzo “Spaceman of Bohemia” [Il cosmonauta])
Sceneggiatura: Colby Day
Fotografia: Jakob Ihre
Montaggio: John Axelrad, Scott Cummings, Simon Smith
Musiche: Max Richter
Scenografia: Jan Houllevigue
Costumi: Catherine George
Adam Sandler: Jakub Procházka
Carey Mulligan: Lenka Procházka
Kunal Nayyar: Peter
Lena Olin: Zdena
Isabella Rossellini: commissaria Tuma
Paul Dano: voce di Hanuš
TRAMA: Jakub Procházka che, rimasto orfano, è cresciuto insieme ai nonni ed è diventato il primo astronauta nella storia della Repubblica Ceca. Una missione di otto mesi realizza finalmente il suo sogno di andare nello spazio, ma nel frattempo la sua vita sulla Terra va in pezzi: sua moglie non ce la fa più a sopportare la solitudine per appoggiare le ambizioni del marito. Da solo nell’immensità dello spazio, Jakub affronta i grandi dilemmi dell’esistenza e i suoi traumi del passato parlando con un ragno alieno gigante dalla saggezza antica, senza nemmeno essere sicuro che la creatura sia reale.
Voto 6,5

I film di fantascienza tendono generalmente a rivolgere l’attenzione sull’aspetto avventuristico e scientifico dei voli spaziali puntando soprattutto sulla spettacolarità dell’impresa e delle inquadrature, presentando inoltre i protagonisti come degli eroi spericolati e coraggiosi. Lo spazio geometrico che si vuole esplorare e conquistare fa parte di quello spazio infinito che mette sempre un po’ di paura, sia per l’ignoto a cui si va incontro, sia per l’impossibile garanzia che tutto vada bene e che si possa sempre rientrare sulla terra senza conseguenze fisiche. Senza dimenticare che quell’infinito buio, sterminato, misterioso, senza confini, pieno di nebulose e stelle e galassie, e alieni (?), incute finanche terrore, oltre a rappresentare, per molte religioni, il luogo-non-luogo dei defunti. Solo i film d’autore (ovviamente, termine che può anche non significare nulla, ma che serve ad indicare la fascia alta degli intendimenti artistici) si pongono il compito di esplorare qualcosa che va oltre la fisicità ed il corpo umano. Sono quelli che affrontano, con non poche difficoltà, i rapporti scienza e mente, volo e psicologia, facendo diventare l’avventura spaziale una profonda disamina di se stessi, del proprio io.
Anche il film dello svedese quasi esordiente nel lungo Johan Renck (un solo film precedente e parecchio sconosciuto, ma molta esperienza positiva in serie, video musicali per grandi star e video pubblicitari) prova a seguire lo spirito filosofico ed esistenzialista, riconoscendo – e ciò è evidente – dei debiti verso maestri come Andrej Tarkovskij (Solaris), Steven Soderbergh (con il remake dello stesso soggetto), e, perché no, James Gray (Ad Astra, opera in cui trova in comune i difficili rapporti con il padre del protagonista), fino ad arrivare al 2001 di Kubrick (poi spiegherò perché). La solitudine che si prova in una navicella viaggiando tra pianeti, qualche volta (come nel caso) da solo, è una prova molto dura da superare e il rischio di un crollo psicologico è contemplato dagli esperti, fino al punto di cercare di mantenere i contatti con la base in maniera continuativa, dando compiti tecnici precisi e istruzioni nei casi di malfunzionamento degli strumenti di bordo. Tutto al solo scopo di non far sentire l’astronauta abbandonato a sé. I viaggi sono entusiasmanti all’inizio, poi la permanenza diventa problematica specialmente se deve durare un periodo più o meno lungo, che è proprio quello che accade al protagonista Jakub.
La sua è un’odissea intergalattica di amore, ambizione e scoperta di sé. Rimasto orfano da ragazzo, cresciuto nella campagna ceca dai suoi affettuosi nonni, Jakub Procházka (Adam Sandler) è passato da piccolo scienziato a diventare, orgogliosamente, il primo astronauta del paese. Quando una pericolosa missione in solitaria su Giove gli offre sia la possibilità di eroismo che ha sempre sognato, sia un modo per espiare i peccati di suo padre come informatore comunista, si avventura coraggiosamente nell’ignoto. Ma così facendo, lascia dietro di sé la devota moglie, Lenka (Carey Mulligan), il cui amore - se ne rende conto troppo tardi - lui ha sacrificato sull’altare delle ambizioni. Nello spazio profondo, mentre sta cercando di raggiungere uno strano ammasso di sostanze sconosciute che stanno oscurando la Terra e fanno diventare la notte viola, egli scopre di non essere l’unico viaggiatore della navicella: tra una telefonata e l’altra con la moglie in piena crisi e i frequenti contatti con il suo ingegnere spaziale Peter (Kunal Nayyar), si accorge di avere a bordo un essere indesiderato e potenzialmente pericoloso, forse anche mortale. È un ragno alieno gigante, che però non pare minaccioso, anzi tutt’altro, che dopo i primi tentativi di presentazione, per fortuna tranquillizzanti, diventano amici e si scambiano informazioni. Addirittura, questo alieno è molto saggio e intuisce le difficoltà psicologiche di cui soffre l’uomo e non lesina consigli e disponibilità: è davvero un essere umanamente (se è possibile usare questo termine) empatico e comprensivo, molto intelligente, a cui Jakub affibbia un nome, per poterlo chiamare e conversare, essendo diventato l’unico aggancio alla realtà da quando alla moglie è stato vietato dalla commissaria Tuma (Isabella Rossellini) di far giungere altri messaggi registrati, avendo lei deciso di abbandonarlo e farglielo sapere. Lo chiama Hanuš (ha la voce di Paul Dano, eccezionale prestazione!) e con lui nasce un buonissimo rapporto di amicizia, dopo che Jakub ha cominciato a convincersi che non è un’allucinazione dovuta alla solitudine.
Siamo noi spettatori che ci chiediamo chi mai sia questo alieno, da dove venga, come ha fatto a penetrare nel mezzo spaziale, perché è lì, cosa cerca: è forse immaginario? Fatto sta che ormai è diventato il suo improbabile compagno, gli ha offerto un vaso di una specie di nutella che gli piace tantissimo e con lui ha modo di stabilire conversazioni filosofiche sulla natura dell’amore, della vita e della morte e sulla bontà della crema spalmabile alle nocciole. La coppia, quindi, ha formato un legame intenso ed emotivo. Chiari i riferimenti e le citazioni di altre poche opere simili: un estraneo a bordo, un padre da dimenticare che ha condizionato la vita del figlio e che lo ha fatto crescere con la necessità del riscatto civile e sociale.
È davvero un viaggio fisico attraverso l’immensità dello spazio che lo conduce fino alla nebulosa e anche oltre, dal momento che l’astronauta vuole andare fino a Giove? Davvero sta navigando con un alieno che gli parla e lo consiglia? Non è invece un allegorico viaggio dentro se stesso, per guardarsi dentro e scoprire gli errori commessi, l’amore che ha dato ma sospeso per compiere l’impresa, perdendo perciò la persona che lo amava e che gli ha dato un figlio ed un altro è in arrivo e, come gli dice sempre Lenka, lui non c’è mai? Figli che non conosce e moglie che si allontana? È questo ciò che gli sta accadendo per colpa sua? Chi è quell’enorme ragno: forse è la sua coscienza, è il suo alter ego con cui fa un esame di coscienza che riguarda tutta la vita. Sprecata. Sbagliata. Accecata dal ricordo/rimorso di un padre sbagliato. Lo spazio è per definizione immenso ma anche il nostro spirito, la nostra anima, il nostro “io” non conoscono confini e probabilmente, ora, Januk è lì, davanti a se stesso a ragionare della sua esistenza e dello spreco che sta facendo della famiglia che voleva costruire ma che ora sta distruggendo. Da quando non giungono più messaggi video della moglie, da quando si è verificato un guasto nei collegamenti con la base e non riesce a parlare con il suo ingegnere è più solo di prima e l’insonnia, assieme alla solitudine atroce che vive da mesi, lo hanno reso fragile fino allo sfinimento. Lo sta salvando quel ragno enorme, una sorta di monolito capitatogli misteriosamente (ecco il legame con 2001). qui presente, ingombrante alla vista, che rappresenta qualcosa non facilmente intuibile. È qui, entrato nella vita come un guardiano, costituito di chissà quale materia indecifrabile.
Giunti nei pressi del punto di destinazione, dove deve raccogliere il materiale per cui è stato inviato, però finisce anche il viaggio di Hanuš, che annuncia di essere arrivato alla fine della esistenza, attaccato com’è dai vermi che lo uccideranno, motivo per il quale questo essere si catapulta fuori nello spazio per non danneggiare l’amico terrestre, lo “skinny humain”, come lo ha sempre chiamato (umano pelle e ossa) che gli ha fatto pena. Un’amicizia anomala che l’uomo non vuole perdere a rischio di restare anche lui nel vuoto per l’eternità. E mentre viene soccorso dall’altra spedizione analoga, quella coreana che lui voleva battere sul tempo, rivede con la mente la moglie che ripete il mantra “Dove vai tu, vado io”, la promessa che si erano sempre fatta e ripetuta. Forse, dopo mesi e mesi, potrà rimediare agli errori commessi per egoismo e ambizione? Nella sua capsula ha davvero incontrato un altro essere o un altro io? Quella capsula era divenuta un angolo di meditazione e autocoscienza, quasi un confessionale? Hanuš è stato forse il terapeuta di cui aveva bisogno e ha svolto il compito che né Tuma né Peter potevano assumersi. E se ci si chiede come abbiano mai potuto incontrarsi questi due esseri, la risposta arriva proprio da ciò che dice il protagonista: “Proprio come te, sono fuggito dal mio pianeta. Attraverso le galassie, attraverso i buchi neri, attraverso il tempo. E poi ho trovato…”. È l’incantesimo dello spazio profondo.
Ma, giunti a questo punto, che importanza ha questo dubbio? Ciò che conta è il risultato, quello di rientrare sulla Terra, anche se ci vorranno di nuovo alcuni mesi, per ritrovare gli affetti smarriti, i figli mai conosciuti, il riscatto in patria, i valori che veramente contano nella vita.
Presentato a Berlino 2024, non ha riscontrato pienamente il beneplacito della critica e a ben ragione: Johan Renck non ha avuto il giusto approccio con un tema così complesso, pur ammettendo che non è facile riuscire a camminare su un percorso tanto esistenzialistico, così fortemente basato sui demoni che contaminano lo spazio mentale con il pretesto di quello astronomico. Non è facile prima scrivere e poi filmare un attore in crisi con la sua coscienza che nel frattempo affronta le difficoltà fisiche. Certamente è un argomento impegnativo, con tranelli e trappole che possono far fallire l’impresa. Quindi, in fondo, è pur sempre apprezzabile lo sforzo che il regista compie e la volontà nel voler riuscire sebbene l’uscita nelle sale sia stata rimandata più volte a causa, pare, di pessime reazioni alle proiezioni di prova. Nel complesso credo comunque che il film non dispiaccia e rimanga abbastanza interessante, fermo restando una scarsa predisposizione verso le tecniche di un opera fantascientifica: non sono straordinarie le inquadrature, anzi pare di assistere ad una pellicola di anni fa, con una scenografia spaziale di scarso entusiasmo, forse perché, spero, al regista interessava più le sequenze girate all’interno della nave e alle relazioni tra i due personaggi, oltre ai moti intimi che muovono le reazioni psicologiche dell’uomo in balia di se stesso, prima del vuoto in cui si avventura. Le crisi coniugali nascono per motivi i più disparati e questo ne è un esempio sui generis.

Se qualche spettatore si meraviglia della inaspettata performance di Adam Sandler commette un errore: lui ha costruito una intera carriera da comico, a tratti anche un po’ demenziale, ma vorrebbe dire che non lo ha mai scoperto nei panni di attore drammatico. Lui qui non è bravo all’improvviso e a tale scopo basterebbe andare a riguardarlo in Diamanti grezzi (dei fratelli Safdie, il che è tutto dire), il recente Hustle, il pregiatissimo Ubriaco d’amore (mica per niente di Paul Thomas Anderson), ma soprattutto il drammatico e commovente Reign Over Me, in cui Mike Binder stravolge la sua fama di clown brillante, un film che mi è rimasto nel cuore. Anche in questa occasione, sebbene leggermente rigido, è molto apprezzabile, infatti. Carey Mulligan non ha molto modo di mettersi in mostra e deve limitarsi a poche scene sempre sull’orlo della crisi di pianto. Isabella Rossellini ha poco modo di farsi notare (poco più che un cameo), mentre chi si fa riempire di elogi non si vede: Paul Dano è la voce di Hanuš, impegno che dimostra ancora una volta il suo talento straniante e originale.
Forse è un film che non entusiasmerà tanti ma è senz’altro un film da studiare per i contenuti nascosti. Giudizio sufficiente con un mezzo voto in più per le intenzioni, che quando son buone, vanno sempre premiate. Per giunta per un compito così arduo.
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