Ad Astra (2019)
- michemar
- 18 dic 2019
- Tempo di lettura: 5 min
Aggiornamento: 2 giu 2023

Ad Astra
USA/Cina 2019 dramma fantascientifico 2h3’
Regia: James Gray
Sceneggiatura: James Gray, Ethan Gross
Fotografia: Hoyte van Hoytema
Montaggio: John Axelrad, Lee Haugen
Musiche: Max Richter
Scenografia: Kevin Thompson
Costumi: Albert Wolsky
Brad Pitt: maggiore Roy McBride
Tommy Lee Jones: H. Clifford McBride
Ruth Negga: Helen Lantos
Liv Tyler: Eve McBride
Donald Sutherland: colonnello Thomas Pruitt
John Ortiz: generale Rivas
Donnie Keshawarz: capitano Lawrence Tanner
Greg Bryk: Chip Garnes
Loren Dean: Donald Stanford
John Finn: generale Stroud
TRAMA: L'astronauta Roy McBride ha il compito di ricercare per la galassia il padre. Scomparso sedici anni prima in una missione tesa a trovare la vita aliena, l'uomo rappresenta una grande minaccia per tutta l'umanità.
Voto 7

Per aspera ad astra, dicevano i latini, attraverso le asperità sino alle stelle. Una Via Crucis per giungere al Paradiso. È quello che deve affrontare Roy McBride, il valoroso e coraggioso astronauta che ha ricevuto un incarico pesante come un fardello e impegnativo come una traversata oceanica, anzi peggio, molto ma molto più difficile, pressocché impossibile. Il compito che la SpaceCom, il Comando Spaziale Statunitense, gli ha affidato è davvero proibitivo anche se la tecnica dei tempi in cui la trama si dipana è talmente all’avanguardia che andare nello spazio fino ai confini del nostro sistema solare è ormai un volo ordinario - per giunta realizzabile in poche settimane - ma lo scopo del viaggio è chiaramente gravoso più che mai.
Suo padre, il mitico e apprezzato Clifford McBride, partito ben sedici anni prima con una missione difficile ma esaltante, cioè scoprire se ci sono altre forme di vita al di là di Nettuno, non solo non ha fatto più ritorno, non solo pare si rifiuti di dare notizie, ma le pericolose ondate di energia che stanno colpendo la Terra con terribili tempeste magnetiche sembrano proprio provenire da quella stazione spaziale, cioè dal progetto Lima, in cui appunto ci lavora alla guida Clifford. Roy deve in qualche modo cercare di contattare il padre e capire cosa stia succedendo.

Questo è solo il lato scientifico e avventuroso della storia ed è già sufficiente per imbastire una trama avvincente, mentre invece è solo un pretesto per James Gray per esplorare lo spazio interno dell’anima dell’astronauta Roy, il quale sopporta con difficoltà la mancanza e il distacco subito dalla partenza del padre e soprattutto dalla sua assenza, che gli grava come un enorme peso. Non è mai riuscito in tutti questi anni a capire il gesto del padre, assentatosi inopinatamente e per giunta, a quanto risulta, riluttante a rimettersi in contatto con la base e con la famiglia. Cosa lo abbia spinto a quel comportamento e cosa lo tenga così distaccato dai suoi cari, a cui non ha più inviato più alcun messaggio almeno per giustificare tale comportamento e per spiegare il rifiuto di ricontattarli, è un mistero incomprensibile. Roy soffre enormemente e vuole cogliere l’occasione che la SpaceCom gli sta offrendo per cercare un minimo di approccio con il padre, per guardarlo in viso e chiedergli i motivi di tutto ciò. Ammesso e non concesso che sia ancora in vita, perché nessuno ha questa certezza. Lui, come figlio, sente dentro di sé che il padre è lì, nella stazione spaziale ed è sicuro che potrà parlargli, anche se le difficoltà sia tecniche che fisiche saranno tante e difficili da superare. Nel frattempo i dirigenti della Company vogliono sfruttarlo contando sia sulla sua abilità di astronauta sia il suo legame affettivo per sapere gli esiti della missione e per bloccare definitivamente i picchi di quelle onde di energia che tanti danni apporta sulla terra. Energia potente e pericolosa che sicuramente deriva dal nucleo di antimateria mal funzionante sulla stazione ai confini del sistema solare guidata da Clifford. Lo scopo ultimo insomma rimane la distruzione del progetto Lima, ormai inevitabile.

Il binario su cui viaggia il film di James Gray è quindi avventuroso e fantascientifico (più facile da raccontare) ma il lato più interessante da interpretare ed esporre è il travaglio di Roy e contemporaneamente delle motivazioni che hanno indotto il vecchio Clifford ad un comportamento così ribelle e pericoloso per l’umanità. Il regista sceglie la strada della voce narrante di Brad Pitt, che, come una nenia sommessa e accorata, ci mette al corrente delle sue impressioni e delle sue tribolazioni intime. Lui ha in mente solo il padre e la voglia e la volontà di raggiungerlo in una maniera o l’altra, pur di arrivare su quella maledetta stazione nell’orbita di Nettuno e guardarlo in faccia e fargli delle domande. Riuscirà? È difficile se non impossibile, date le enormi distanze e le difficoltà che si contrapporranno nel frattempo. La narrazione della voce narrante assume una netta colorazione malickiana e il pensiero va anche ad un altro pilastro della storia del cinema, va al capitano Willard che parte per eliminare il colonnello Kurtz autoesiliatosi al di fuori della civiltà.

È un viaggio periglioso di rinascita, se ci si pensa, ma è anche un probabile viaggio di morte, di un fine-sistema che significa anche la conclusione del sogno di un incontro agognato, che per giunta può rimanere senza risposte. In molti tratti del film ci si sente coinvolti, partecipi dell’afflizione di Roy, il quale non manca, con le sue silenziose esternazioni, di esporci i continui cambi di umore a seconda della evoluzione dell’avventura, mentale e astronautica. È come un viaggio nel “cuore di tenebra”, come ha voluto significare lo stesso autore, un viaggio dentro di sé nell’infinito spazio che ci circonda, che Brad Pitt ha interpretato in maniera eccezionale, dando il meglio del suo lato drammatico che poche volte ha dovuto tirar fuori dato che in tutti questi anni lo hanno sfruttato più che altro come commediante, mentre invece rivela un’ottima predisposizione per il tragico. Perfettamente a suo agio in un film “umanista”, un viaggio di andata e ritorno che ha il sapore di un volo spaziale, ma anche intimissimo, che nel contempo serve anche allo stesso protagonista per capire cosa fare della sua vita privata e del rapporto che si è deteriorato con la sua donna. Poche volte si può vedere un film di fantascienza che è anche e soprattutto un viaggio dentro i propri problemi esistenziali e relazionali.

Ma l’opera di James Gray non è tutta rose e fiori, anzi a dirla tutta il lato tecnico della sceneggiatura è quello più carente: troppa approssimazione scientifica, troppe inesattezze e qualche impressionante faciloneria da Far West. A prescindere da alcuni inammissibili errori, come si può credere al salto verso un razzo in partenza con la potenza del fuoco dei motori come se il protagonista si stia agganciando alla porta di un bus in partenza dalla pensilina, tipo Fantozzi? È davvero incredibile che gli sceneggiatori abbiano avuto una pensata del genere quando nel frattempo stavano descrivendo così bene i malesseri che attraversavano la mente del personaggio! Come è possibile che tutti si possano muovere nell’assenza di aria come se fossero nell’acqua della piscina e quindi girandosi o lanciandosi verso un punto ben preciso dello spazio vuoto? No, non ci si può passare sopra, soprattutto oggi quando ogni film di fantascienza è basato su ben precisi dati scientifici. Non è un fantasy! Peccato, perché il lato umano è ben elaborato ed espresso, recitato da un Brad Pitti in gambissima presente per tutti i 123 minuti di un film che poteva e doveva essere all’altezza della stima di un regista quale James Gray.
Il giudizio complessivo risente quindi in maniera inevitabile e irrimediabile della discrepanza tra l’aspetto tecnico piuttosto grossolano e quello artistico che è di buonissima levatura. Un elogio a parte per il bravo Brad Pitt e per gli effetti speciali delle scenografie spaziali di buona fattura.
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