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Storia di un fantasma (2017)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 18 feb 2023
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 19 mag 2023


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Storia di un fantasma

(A Ghost Story) USA 2017 dramma 1h32’


Regia: David Lowery

Sceneggiatura: David Lowery

Fotografia: Andrew Droz Palermo

Montaggio: David Lowery

Musiche: Daniel Hart

Scenografia: Jade Healy, Tom Walker

Costumi: Annell Brodeur


Casey Affleck: C

Rooney Mara: M

McColm Sephas Jr.: adolescente

Kenneisha Thompson: dottoressa

Grover Coulson: uomo sulla sedia a rotelle

Liz Cardenas Franke: Linda

Barlow Jacobs: uomo al telefono

Sonia Acevedo: Maria

Will Oldham: pronosticatore

Kesha Sebert: fantasma donna

Brea Grant: Clara


TRAMA: Una figura spettrale - che un tempo era stata un uomo - si fa strada verso la sua ex casa, dove sarà destinata a rimanere per sempre. L'uomo è morto qualche tempo prima in un incidente stradale proprio davanti a casa sua. Lì osserva il lamento della sua amante addolorata, avvolto in un lenzuolo bianco.


Voto 7,5

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“A qualunque ora ti svegliavi, c’era una porta che sbatteva.”

Virginia Woolf, La casa stregata.


Questa breve citazione letteraria precede la prima scena che vede la coppia sdraiata amorevolmente sul divano mentre lei spiega le sue piccole manie in occasione dei tanti traslochi della sua vita, accompagnata dai gesti affettuosi di lui.

“Perché ridi?”

“Perché? Ho tanta paura. Non so perché. Quando ero piccola traslocavo di continuo. Io scrivevo dei bigliettini e li piegavo per renderli piccolissimi per poi nasconderli in posti diversi cosicché, se mai fossi tornata, ci sarebbe stato un pezzo di me ad attendermi.”

“E ci sei mai tornata?”

“No.”

“Visto? Ecco che intendo.”

“Perché non ce n’è stato bisogno.”

“Che ci scrivevi sopra?”

“Erano vecchie poesie e filastrocche. Cose che volevo ricordare, cose di quella casa o ciò che mi piaceva di essa.”

“Perché andavi via? Perché traslocavi così spesso?”

“Perché non avevo scelta.”

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Già in questa prima scena, così tenera, ci sono un paio di particolari che saltano subito agli occhi: gli angoli arrotondati dello schermo nel formato classico 1:33 che fanno sembrare la visione una specie di vecchio filmino trovato in soffitta; la seconda cosa è la colonna sonora inquietante ma bellissima composta da musiche che salgono la scala musicale per ridiscenderla appena giunta in cima, con strumentazione di archi e, in altri momenti, un meraviglioso brano, in cui volteggiano versi poetici, entrambi composti da Daniel Hart, armonia e canzone ritmata che si adattano molto bene a questo lavoro tanto originale. Anche perché il protagonista è un musicista. Entrambi gli accorgimenti ci fanno intendere che stiamo assistendo a qualcosa che è molto differente alla consueta zona di comfort di un solito film. E lo dimostra anche la trama, una ellisse che ruota intorno alla lunghissima esistenza di quest’uomo, C, in un loop temporale avvitato in un unico luogo che attraversa i secoli.

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Viaggio nel tempo e nello spazio riassunto da un personaggio loquace (una rarità in un film silenziosissimo, costellato da lunghi silenzi) che, durante una festa in quella casa ormai abitata a turno da diversi nuclei familiari, interrompe le chiacchiere frastornate di una normale riunione di amici che ballano, amoreggiano, bevono, chiacchierano, con un panegirico massimalista sulla evoluzione cosmica e sulle conseguenze minimaliste sulla vita di ognuno degli abitanti della Terra, i quali senza la musica immortale, come per esempio la Nona Sinfonia di Beethoven, riusciranno a tramandare la vita e l’intelligenza, sopravvivendo alla mortalità e alla caducità della vita. Magari espandendosi nello spazio mentre il nostro pianeta viene inghiottito dal sole. Il giro temporale, dopo l’incidente mortale in cui proprio C perde la vita (non spoiler, avviene subito), lui vedrà l’appezzamento di terreno della casa in cui vivono trasformarsi dai tempi del West sino all’arrivo di se stesso con la sua amata M.

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Il loop parte, e non lo sappiamo ma lo ri-incroceremo nel finale, come il capo del cerchio si ricongiunge con la coda, partendo appunto dalla scena iniziale già descritta, in cui è già possibile udire uno strano rumore e durante la notte uno scherzo del fantasma sui tasti del pianoforte. In quella occasione, sempre costantemente nel formato scelto, notiamo la fotografia alquanto sgranata e offuscata da una leggera foschia, che accentua l’atmosfera da mistero e dalla assenza di spiegazioni. Perché il film non è mai didascalico, ma necessita molta attenzione e intuito per seguirne le vicende, che si svolgono, in ogni caso, così lentamente che si ha sempre il tempo per riflettere. Nell’ambito dello sviluppo flemmatico, persino lentissimo fino allo sconcerto, il passaggio “moviolistico” da una scena all’altra avviene a volte con una dissolvenza che dura come raramente si vede; altre volte con stacchi perentori. A ciò si aggiungono sequenze di silenzi prolungati, di sguardi, ma soprattutto di osservazione del fantasma che si aggira per le stanze. Anzi, ci sono tratti in cui i dialoghi sono quasi completamente sostituiti dalla bellissima musica.

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Sì, David Lowery si prende tutto il tempo necessario e detta un ritmo rallentato che va in parallelo con quello dei movimenti dello spirito nascosto sotto il lenzuolo bianco che si è alzato dalla barella dove giaceva cadavere ed è uscito dall’ospedale senza che nessuno lo potesse vedere. E invisibile com’è, si è incamminato verso la casa dove la sua amata si è ritrovata, affranta e sola. L’amore che C prova per M è così profondo che non vuole lasciarla, mai. Sarà sempre in quella casa, accanto a lei, che però, date le sue consolidate abitudini, è in procinto di sloggiare ancora, lasciando quello spirito ad attendere che il tempo li riporti entrambi a quando l’agente immobiliare li introdusse per convincerli ad affittare quelle stanze. No, non è un film horror di fantasmi e di spiriti spaventosi, è un film d’amore profondo, un mélo, come in tanti lo hanno definito.

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La M di Rooney Mara è tenera e dolce, perfettamente adatta alla delicatezza innata dell’attrice, sempre misurata e in piena sintonia con un partner profondamente calato nel personaggio. Casey Affleck, che già normalmente borbotta le sue recitazioni, si ripete come è suo costume, a maggior ragione in questa occasione silenziosa per un fantasma che non deve parlare per buona parte della sceneggiatura: osserva immobile ciò che succede intorno a lui e coperto dal lenzuolo, che va sporcandosi con il tempo che passa e che si riavvolge (ma che trascorre ugualmente), si muove nelle stanze per capire le intenzioni della cara M sperando che non vada mai via da quella casa, così come voleva che fosse prima di morire. E poi, quando invece la donna trasloca malinconicamente dividendo i libri e i tanti vinili del suo uomo, resta solo e passa ad esaminare i vari nuovi arrivati, spaventandoli con lo spostamento degli oggetti o scaraventandoli contro il muro, sperando che vadano via atterriti. Quella casa è e deve restare sua e di M, con la speranza di poter estrarre dalla fessura dello stipite di una porta il bigliettino che, come sua abitudine, la donna ha infilato dopo aver scritto chissà quale breve riflessione o poesia. Non ci riesce, è infilato bene e ridipinto dopo, non ci riesce, con gran rammarico. E quando finalmente lo estrae, dopo aver visto arrivare lui e lei come il primo giorno, succede quello che non si sarebbe mai aspettato. Riesce finalmente a leggerlo e… puff!

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David Lowery, che aveva già lavorato con i due ottimi attori in Senza santi in paradiso, ha scritto e diretto molto bene il film e l’intesa con loro è piuttosto evidente, in modo che l’opera si compia come lui voleva: un film particolarissimo e originale, che ovviamente può dividere la critica e gli spettatori: lo si può guardare ammirati (come è capitato a me) oppure odiarlo. Un’opera che materializza una storia d'amore, una storia influenzata dalla fantascienza sui viaggi nel tempo e i cicli temporali, e una storia sulla solitudine e la negazione, e la natura effimera della carne e l'ansia che deriva dalla contemplazione della fine della coscienza. I personaggi sono così archetipici che non hanno nomi, solo iniziali: C, il musicista che vive con sua moglie M in una piccola casa circondata da una proprietà non edificata da qualche parte nella vasta pianura del Texas. I gesti possono essere più importanti delle parole e questo film lo dimostra, assieme alla bellissima musica e a quel brano di Daniel Hart, History (Are you runnin late? / Did you sleep too much? / All the awful dreams / Felt real enough / Is your lover there? / Is she wakin up? / Did she die in the night? / And leave you alone? / Alone / Mirror, mirror / There's your crooked nose / Boring hair / A thousand wrinkles / No children / Just emptiness / No place like home / Just a fucking mess / Mess [Sei in ritardo? Hai dormito troppo? Tutti i sogni orribili / Sembravano abbastanza reali / La tua amante è lì? / Si sta svegliando? / È morta durante la notte? / E ti lascia in pace? / Solo / Specchio, specchio / Ecco il tuo naso storto / Capelli noiosi / Mille rughe / Niente bambini / Solo vuoto / Nessun posto è come casa / Solo un fottuto disordine / Disordine]).

(Il meraviglioso brano lo si può ascoltare nel video postato sotto, mentre accompagna alcune sequenze del film)


Film da guardare in religioso silenzio, come il film stesso. Per viaggiare con C.



 
 
 

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