The Fabelmans (2022)
- michemar

- 30 mag 2023
- Tempo di lettura: 7 min

The Fabelmans
USA/India 2022 dramma biografico 2h31’
Regia: Steven Spielberg
Sceneggiatura: Steven Spielberg, Tony Kushner
Fotografia: Janusz Kaminski
Montaggio: Sarah Broshar, Michael Kahn
Musiche: John Williams
Scenografia: Rick Carter
Costumi: Mark Bridges
Gabriel LaBelle: Sammy Fabelman
Michelle Williams: Mitzi Fabelman
Paul Dano: Burt Fabelman
Seth Rogen: Bennie Loewy
Julia Butters: Anne Fabelman
Oakes Fegley: Chad Thomas
Judd Hirsch: Boris Schildkraut
Chloe East: Monica Sherwood
Isabelle Kusman: Claudia Denning
Jeannie Berlin: Haddash Fabelman
Robin Bartlett: Tina Schildkraut
Jonathan Hadary: Phil Newhart
Cooper Dodson: Turkey
Sam Rechner: Logan Hall
Keeley Karsten: Natalie Fabelman
Sophia Kopera: Lisa Fabelman
Alina Brace: Renée
David Lynch: John Ford
TRAMA: Sammy Fabelman è un giovane che cresce a Phoenix, nell’Arizona del dopoguerra, insieme alla sua famiglia ebrea: il padre Burt, la mamma Mitzi, l’amico intimo di famiglia Bennie, chiamato da tutti zio, e le tre sorelline. Tra trasferimenti in lontane città, la scoperta di un segreto che lo sconvolge e l’amore per il cinema, crescerà diventando un giovane uomo.
Voto 7,5

Liberamente basati sull'infanzia di Steven Spielberg, quindi una riflessione sul (ri)vissuto della sua adolescenza, i 151 minuti del film vogliono raccontare come nel giovanissimo Sammy scoppiò la scintilla dell’amore per la cinepresa, dalla più rudimentale 8 mm. a quella più sofisticata Arriflex, e quindi per il cinema visto come professione e non come hobby, termine usato continuamente e impropriamente dal padre, sempre rimproverato per questo.
Burt Fabelman (Paul Dano) e Mitzi (Michelle Williams) sono una coppia apparentemente felice, lei casalinga ma molto dotata artisticamente, eccellente pianista e propensa alla danza (la madre del regista fu davvero una pianista concertista), lui un professionista informatico (il padre fu veramente un ingegnere elettronico) pieno di idee innovative che lo porteranno a fare carriera e lavorare per la IBM e che per arrotondare lo stipendio e per passione ripara televisori in casa. Sammy (Gabriel LaBelle), come lo chiamano affettuosamente in famiglia - anche se lui dagli altri preferisce Sam, che sa più di adulto - è un bellissimo bimbo di 6 anni che una sera viene portato dai genitori a cinema per vedere Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B. DeMille. È sbalordito da tale magia ma si spaventa parecchio alla vista della scena drammatica e spettacolare dello scontro tra due treni con il conseguente volo di un’auto che si trovava sui binari. È tale il turbamento che prova che la notte seguente rivive la sequenza in un brutto sogno, che però lo affascina nello stesso tempo, fino al punto di desiderare un trenino elettrico immaginando chissà quali incidenti: la fantasia si scatena e con una 8 mm. avuta in regalo cerca di replicare la scena con il suo trenino elettrico filmandola come uno spettacolo. Il primo passo è compiuto e da allora vorrà cineprese sempre più sofisticate e girerà ogni tipo di filmati, dalle giornate trascorse con la famiglia nel campeggio ai vari avvenimenti della sua vita in compagnia degli amici, scoprendo la bellezza delle inquadrature e dell’utilità di taglio e del montaggio delle scene più adatte. Un miracolo! Un miracolo che non lo abbandonerà mai più, ma che gli farà scoprire quanto l’immaginario cinematografico – che è pura fantasia - dia la possibilità di vedere particolari che normalmente sfuggono all’occhio umano: vedendo e rivedendo, andando avanti e indietro con la pellicola, saltano fuori gesti, visi, segreti che si svelano nascosti e che magari non avrebbe mai voluto conoscere. In particolare uno, che gli sconvolgerà l’adolescenza e porterà i genitori alla separazione.
In moltissimi casi, i film profondamente o vagamente autobiografici sono un momento di analisi della propria vita, una seduta psicoanalitica della memoria, di ciò che avrebbe potuto essere e di ciò che si è amato o odiato di più dei familiari. Quasi sempre, però, e questo ne è un esempio, è un atto di amore (pur se con qualche amara riflessione) e Steven Spielberg lo dedica alla sua famiglia, prima con l’innocenza di un bambino dagli occhioni spalancati davanti allo schermo, poi con la mente di un adolescente che cresce e capisce molte cose della realtà, che non è sempre un idillio amorevole, soprattutto nei riguardi degli adulti che si amano. Anzi, può persino succedere che Boris (Judd Hirsch), lo zio della mamma, vituperato e odiato dalla nonna materna si riveli il parente ideale e il più simpatico, ribelle e indipendente che si possa immaginare, anche perché fuori dagli schemi e prodigo di consigli e di incitamenti per la passione del nostro giovane protagonista. Ma soprattutto il film è un atto di devozione smisurata verso l’Arte del Cinema, la sua magia, l’incantesimo che suscita, non solo nel guardarlo ma, in special modo per Sammy e quindi per Spielberg, nel confezionarlo, nel trovare le soluzioni adatte alle esigenze del progetto: i buchini fatti con lo spillo sulla pellicola di celluloide per illuminare lo sparo delle pistole, le giuggiole rosse come sangue nella bocca, una carrozzella per bambini a mo’ di carrello per i piani sequenza, i tagli del filmino, il montaggio. È un ragazzino pieno di fantasia e di ingegno, qualità che nel suo piccolo mondo cinematografico si sviluppano e diventano materia di realtà, tra lo stupore dei genitori e degli studenti della scuola. È senz’altro la storia della vita di Steven Spielberg, che vi ha partecipato, come raramente gli capita, di scriverne anche la sceneggiatura, a quattro mani con Tony Kushner (autore anche in Munich, Lincoln, West Side Story), dopo averne a lungo meditato perché preoccupato dell'accoglienza che avrebbe potuto avere nella sua stessa famiglia. È certamente alquanto traumatico scomodare vecchi e non tutti piacevoli ricordi, che qui entrano prepotentemente nella sceneggiatura: un padre troppo preso dal lavoro e quindi distratto in famiglia, una madre infedele, rapporti non facili con i genitori, bullismo a scuola perché “sporco ebreo” e poco dotato atleticamente. “Allora chiedile scusa per aver ucciso Cristo.” “Sai, visto che non ho 2.000 anni e non sono mai stato a Roma, non chiederò scusa.”
È un percorso come quelli di tanti adolescenti che sognano il futuro che desiderano e che, pure se fra tante complicazioni affettive, in aggiunta a quella sentimentale per una studentessa cristiana radicale, parte dai primi infantili ma precoci progetti con filmini domestici e prosegue con quelli più dinamici con gli amici e gli studenti (uno di guerra, un western, un breve horror), fino a farsi notare dalla CBS e terminare in un mirabolante incontro con un mito di Hollywood, quando il giovane Sammy entra nello studio del più che burbero John Ford (David Lynch!) che gli (e ci) spiegherà l’importanza del posizionamento della linea dell’orizzonte in alto o in basso nell’inquadratura, dato che quella intermedia è “una palla mortale!”. È anche un film che ci descrive quanto il cinema vada oltre lo schermo fisico e raggiunga la vita palpitante di tutti i giorni, capace di raccontare ogni tipo di sentimento, di relazione, di conflitto umano e familiare, di leggere la vita avendo il potere taumaturgico di guarirne le ferite e alleviarne le sofferenze, di metabolizzare i dispiaceri, ma anche di saper guardare, con il suo obiettivo, ciò che non siamo in grado di notare, perché fissato per sempre sulla pellicola. Purché se ne abbia l’opportunità, quella che Spielberg ha voluto e saputo conquistare con caparbietà e perseveranza, combattendo, anche con una macchina da presa sulla spalla, per sopravvivere alle delusioni di una famiglia che gli è venuta meno nel momento apicale della sua maturazione. Un papà troppo facile che preferì non vedere le evidenze, una mamma che preferì la sua libertà di scelta.
Che sia un film fatto con il sentimento e con il cuore è evidente, che sia riuscito in pieno ci è mancato pochissimo: in alcuni tratti è bellissimo ed emozionante, in altri si è trascinato lungamente (ecco il motivo della notevole durata). Ma mi rendo conto che era una lunga confessione e aveva bisogno del suo tempo. La firma è spielberghiana al cento per cento, da grande regia come ci si può attendere da una personalità come la sua, felice anche nella scelta degli attori. Premesso che quello che meraviglia di più è il bravissimo Paul Dano in un ruolo che raramente gli è capitato (quello di Burt Fabelman), troppo facile e semplice per il suo talento, e che Seth Rogen è adattissimo al personaggio un po’ burlone e un po’ mascherato di “zio” Bennie, chi primeggia in assoluto è la superlativa Michelle Williams (Mitzi Fabelman), capace di esprimersi in diverse tonalità e registri, meritando appieno le candidature che le sono piovute addosso. Inoltre, è presente un altro fuoriclasse dei caratteristi, Judd Hirsch (Boris Schildkraut), che furoreggia nei pochissimi minuti di apparizione. Ruggisce come un leone e dà lezione di recitazione. Ed infine siamo all’interessante Gabriel LaBelle, figlio di un produttore e dedito alla recitazione sin da ragazzino, grosso modo come il personaggio del suo Sammy, l’alter ego del regista. Bravo, capace di esprimere al meglio i travagli del giovane protagonista: sembra spontaneo, sincero, mobile, duttile. Non mi meraviglierei se dopo questa importante esperienza, dopo quelle minime che ha sulle spalle, possa essere stato notato per futuri impegni altrettanto rilevanti.
È il film che poteva girare solo un regista innamorato della sua professione e che ha avuto nella vita l’esperienza vissuta adatta da poter essere raccontata sullo schermo, perché quello che gli è capitato è veramente la materia prima per un buon soggetto. E, difatti, con la fotografia dai colori primari vivaci tipici degli anni ’50 di Janusz Kaminski, è un bellissimo film dal sapore epico e romantico, perché, come diceva il critico francese Serge Daney: “Nel cinema di Spielberg persiste una dimensione biblica di elezione. L’individuo emerge per il fatto che è stato scelto.”
Riconoscimenti.
2023 – Premio Oscar
Candidatura per il miglior film
Candidatura per il miglior regista a Steven Spielberg
Candidatura per la miglior attrice protagonista a Michelle Williams
Candidatura per il miglior attore non protagonista a Judd Hirsch
Candidatura per la migliore colonna sonora a John Williams
Candidatura per la migliore scenografia a Rick Carter e Karen O'Hara
Candidatura per la migliore sceneggiatura originale a Tony Kushner e Steven Spielberg
2023 - Golden Globe
Miglior film drammatico
Miglior regista a Steven Spielberg
Candidatura per la migliore attrice in un film drammatico a Michelle Williams
Candidatura per la migliore sceneggiatura a Steven Spielberg e Tony Kushner
Candidatura per la migliore colonna sonora originale a John Williams
2023 - David di Donatello
Miglior film straniero
































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