The Tender Bar - Il bar delle grandi speranze (2021)
- michemar

- 29 gen 2022
- Tempo di lettura: 6 min

The Tender Bar - Il bar delle grandi speranze
(The Tender Bar) USA 2021 dramma 1h46’
Regia: George Clooney
Soggetto: J.R. Moehringer (memorie)
Sceneggiatura: William Monahan
Fotografia: Martin Ruhe
Montaggio: Tanya M. Swerling
Musiche: Dara Taylor
Scenografia: Kalina Ivanov
Costumi: Jenny Eagan
Tye Sheridan: JR Moehringer giovane
Daniel Ranieri: JR Moehringer bambino
Ben Affleck: zio Charlie
Christopher Lloyd: nonno
Lily Rabe: Dorothy Moehringer
Ron Livingston: J.R. Moehringer adulto / voce narrante (in italiano Stefano Benassi)
Max Martini: papà Moehringer "La Voce"
Rhenzy Feliz: Wesley
Max Casella: "Capo"
Matthew Delamater: Joey D.
Briana Middleton: Sydney
Billy Meleady: prete sul treno
TRAMA: Charlie è il proprietario di un bar. Toccherà a lui fare da mentore al giovane nipote, un ragazzo cresciuto senza il padre e alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Voto 7

The Dickens Bar è, come negli schemi del cinema classico, a cui George Clooney è particolarmente affezionato, un locale di Long Island dove i clienti sono tutti amici, scherzano e si offrono da bere, specialmente se ricorre qualche celebrazione o se c’è una bella novità. Ogni occasione è buona per riempire i bicchieri di alcol. Ma, contrariamente a tutti i bar conosciuti dal cinema, alle spalle del suo gestore c’è una libreria fornita di romanzi dei più famosi scrittori di sempre e il nome del luogo ne è la dimostrazione. Lui è Charlie, un ragazzone non più giovane che, come pare dall’atteggiamento, si è accontentato di ciò che la vita gli ha proposto e di quello che riesce a ricavare dall’attività e apparentemente non ha una donna ma piuttosto un bel gruppo di amici sbandati e bevitori con cui organizza uscite per il bowling. La monotona vita cambia quando la sorella Dorothy - divisa da tempo dal marito, una persona fallita come padre e marito, noto come DJ in una stazione radio newyorkese tanto da essere conosciuto come “La Voce” – si presenta in casa dei genitori e del fratello perché non ha lavoro, non paga da mesi l’affitto e non sa dove e come cavarsela.

L’evento che cambia la vita non è però l’arrivo della donna quanto quello del figlio di sette anni JR, un bimbo intelligente, attento, buono e tranquillo, che avverte, come potrebbe non essere altrimenti, la mancanza del padre, anzi meglio l’assenza, la guida di cui ha bisogno ogni bimbo, i consigli maschili per crescere nell’ambiente che frequenta, le indicazioni per cavarsela nella piccola società che vede con i suoi occhioni. La mamma non gli fa mancare l’affetto necessario, è attenta e lo stimola affinché studi per bene e si crei i presupposti per una professione che da grande gli dia soddisfazioni. Sogna, in poche parole, che un giorno possa diventare avvocato. JR (sì, senza punti dopo le iniziali, altra mancanza che gli crea problemi ogni volta che si iscrive ad una scuola, che si presenta dove gli chiedono le generalità…), che forse vuol dire semplicemente Junior, ascolta e osserva tutto e tutti e ha paura che a casa del nonno, mezzo rimbambito ma simpaticissimo con il nipotino, si possa annoiare. Invece il destino gli ha riservato uno degli incontri, forse il principale, che lo hanno condizionato positivamente per il futuro e per il modo di affrontare le insidie della vita: è lo zio Charlie, che sin dal primo momento ha forse trovato quel figlio che non ha mai avuto, ma soprattutto perché tiene tanto alla sorella. Una delle immagini più rappresentative del film è infatti lui piegato in due verso il nipote con l’atteggiamento di chi sta svelando il segreto della vita, un discorso tra uomini, solo tra loro due: sono quei momenti che diventano importanti per JR, che lo ascolta con estrema attenzione, registrando tutto nella mente, seguendo poi i consigli che ha ricevuto e che, come si vedrà, non dimenticherà mai più. Per questo gli sarà per sempre grato.

È evidente che sia per il romanzo autobiografico di J.R. Moehringer (eh sì, alla prima occasione di lavoro, peraltro solo come avventizio nel prestigioso New York Times, lo hanno obbligato ad aggiungere il punto dopo le iniziali, chi si crede di essere?) sia per il film di Clooney, quel bar, dove pulsa il racconto come un cuore, con ritorni puntuali, dove ogni tanto la macchina da presa torna a mostrarci cosa succede, quello che si dice, i festeggiamenti per ogni buona novità di JR (la partenza per l’università, la laurea, il lavoro), quel bar è l’ombelico del racconto e della crescita del protagonista. Ma anche uno dei luoghi in cui zio Charlie ha instilla nel giovanottino pillole di educazione alla vita, fatte di consigli pratici, di indirizzi semplici ma efficaci, di esortazioni. L’importante per un uomo – per esempio – è rigare dritto, avere un buon lavoro e una macchina e dopo vedrai che una bella e giusta ragazza salirà in auto e nella vita. E poi tanti libri della raccolta del bar che serviranno a JR a capire l’importanza della letteratura, da Dickens (ovvio!) a seguire, e poi ancora i primi bicchieri di whisky per imparare a festeggiare i begli avvenimenti e per diventare uomo. Lì nasce la passione dell’ometto per la scrittura, la sua vera passione, ben lontana dall’aspirazione di diventare avvocato come vuole la mamma Dorothy. Che poi, è quello che è diventato, realizzandosi seguendo le indimenticabili affettuose raccomandazioni di uno zio che è stato più di un padre putativo, soprattutto quando gli donerà la sua fiammante decapottabile. Sia da bambino che da adolescente cresciuto si era sempre recato con entusiasmo al bar dello zio, il più spesso possibile, sperando che lui e i suoi amici, potessero riempire il grande vuoto lasciato dal padre, sfigato personaggio radiofonico che qualche volta si era fatto vivo, mai mantenendo le promesse, anzi cacciandolo dopo uno scontro a causa delle violenze domestiche ai danni della compagna del momento.

George Clooney, dopo altre due volte che aveva diretto dei bambini, alla sua ottava regia realizza un vero coming age, un racconto di formazione, illustrando due delle tre fasi del romanzo autobiografico (nel libro c’è anche la fase intermedia dell’adolescenza) per concentrare meglio la narrazione nei momenti topici. Come dice il regista, un libro e un film sono due bestie difficili da accostare e, assieme allo sceneggiatore William Monahan (suoi The Departed - Il bene e il male di Martin Scorsese, Nessuna verità di Ridley Scott, London Boulevard sua regia) e al sodale produttore Grant Heslov, ha scelto una buonissima riduzione di un romanzo corposo facendo, tra l’altro, esaltare le interpretazioni di un ottimo cast, che evidentemente ha colto con lui il senso del film. Ha diretto in maniera classica, come piace a lui e gli attori ne sono usciti soddisfatti. La sorpresa è ritrovarsi al cospetto di Christopher Lloyd nel ruolo del nonno brontolone ma grande amicone del piccolino; Lily Rabe è bravissima nei panni della mamma preoccupata e a volte depressa; Briana Middleton (Sydney, la ragazza che JR insegue inutilmente, una fidanzata volatile, sua massima delusione) è una bella attrice ma soprattutto una bella scoperta che tocca seguire per vedere cosa sarà capace di fare in futuro; Daniel Ranieri è il bel bimbo che incanta come tutti i piccoli attori, che, notoriamente, recitano così bene e spontanei che vicino si rischia sempre di fare brutte figure. È bello veder crescere professionalmente Tye Sheridan, sono lontani i tempi The Tree of Life, Mud e Joe: ora è un giovanotto sicuro di sé e dotato. Lui è il protagonista (forse Clooney lo fatto sorridere troppo?) e sa stare al centro della scena, ma. Ma poi entra Ben Affleck e… si prende la scena. Rimesso in sesto dall’ennesimo rihab, fuori dall’alcol e dalle sostanze, a seguito della reunion con la sempre amata Jennifer Lopez, asciutto nel fisico e disponibile al servizio del simpaticone George. Solo per questo? No, per nulla. Recita il ruolo di zio Charlie come se avesse atteso da una vita un ruolo così, la monoespressione multiuso è solo un ricordo e soprattutto recita, recita benissimo e se è giunta la candidatura ai Golden Globe non è affatto una sorpresa!


Alla fine il film piace, anche perché il buon George Clooney ha firmato un’opera perfettamente intonata alla sua filosofia di cinema, fatta di colori caldi e morbidi integrati nei Seventies di Long Island, con la tecnica che ci ricorda il cinema classico. Opera che si potrebbe definire persino elegante, pulita, lineare, montata con intelligenza per gli andirivieni tra i due periodi della vita di JR, con personaggi chiari, ben definiti, in una storia umanamente vera e tipicamente americana: tutti hanno prima o poi l’occasione giusta e bisogna prepararsi e farsi trovare pronti, con la volontà di riuscire e non arrendersi mai, meglio se c’è un papà o chi lo sostituisce, che gli stia accanto per sorreggerlo quando vacilla, nelle vicende ordinarie, nell’amore e nella scelta del futuro. Quella bellissima auto scoperta di colore azzurro metallizzato è il buon viatico che Charlie ha donato a quel bimbo che lo ha sempre ascoltato a bocca spalancata, come per mangiare meglio ogni parola udita. Un cinema caldo, come l’affetto che si può dare a chi ne ha bisogno. Bravo, George! Anche nella scelta del cast. Lui è un compagnone con i suoi amici e si diverte con i film che interpreta con loro ma quando dirige predilige sicuramente questo tipo di cinema, conoscendolo e amandolo, passando da pellicole serie (i suoi esordi, non dimentichiamo, si chiamano Confessioni di una mente pericolosa [2002] e Good Night, and Good Luck [2005]) a drammi sociopolitici o commedie e satire.
Oggi era la volta del dramma leggero unito alla commedia dolce. È un uomo di cinema e questo è un buon film.






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