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Titane (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 20 ott 2022
  • Tempo di lettura: 6 min

Aggiornamento: 26 nov

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Titane

Francia, Belgio 2021 dramma/horror/fantasy 1h48’


Regia: Julia Ducournau

Sceneggiatura: Julia Ducournau

Fotografia: Ruben Impens

Montaggio: Jean-Christophe Bouzy

Musiche: Jim Williams

Scenografia: Laurie Colson, Lise Péault

Costumi: Anne-Sophie Gledhill


Agathe Rousselle: Alexia

Vincent Lindon: Vincent

Garance Marillier: Justine

Laïs Salameh: Rayane

Myriem Akheddiou: madre di Adrien

Bertrand Bonello: padre di Alexia

Frédéric Jardin: ispettore

Florence Janas: medico di Alexia


TRAMA: Alexia ha una placca di titanio conficcata nel cranio a causa di un incidente passato. Ballerina in un salone di automobili, le sue performance erotiche la rendono preda facile degli uomini, che l'approcciano senza mezze misure. Ma Alexia uccide con un fermaglio chi si avvicina troppo e colleziona omicidi che la costringono a fuggire e ad assumere l'identità di un ragazzo, Adrien, il figlio scomparso dieci anni prima di un comandante dei pompieri.


Voto 7


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In auto viaggiano un uomo alla guida e, sul sedile posteriore, una bimba. Il primo dà l’impressione di essere serioso e nervoso, stato d’animo che aumenta a causa della irrequietezza della figlia che ha dietro, che cerca di cantare e mantenere il ritmo del brano di musica bluegrass, Wayfaring Stranger, che esce dagli altoparlanti della radio. Il padre, disturbato dalla vivacità della bambina, aumenta il volume dell’audio e la rimprovera cercando di calmarne l’esuberanza, determinando invece una maggiore eccitazione, che lo costringe a girarsi verso di lei arrabbiato. La conseguenza della distrazione alla guida è la classica causa di tanti incidenti e anche qui non si sfugge: l’auto sbanda pericolosamente, testa-coda inevitabile, guardrail. La bimba, senza cinture, batte violentemente la testa. Nel cambio di scena, in una sala operatoria, la piccola Alexia subisce l’innesto di una placca di titanio nel cranio, appena sopra l’orecchio destro. L’operazione è riuscita ed esce dall’ospedale con la sola raccomandazione ai genitori affinché da quel momento la bimba non prenda più colpi alla testa. Altra scena, Alexia, ormai provocante signorina, entra spavalda nel salone di una esposizione di auto dove presta il lavoro di lap dancer, espediente spesso usato dagli espositori per attirare l’attenzione dei visitatori. Le sue esibizioni spietatamente erotiche, ostentate anche oltre le ordinarie aspettative, attirano l’attenzione degli uomini, nella maggior parte giovani, più verso di lei che verso i vari modelli esposti, fino al punto che lei risulta così richiesta, desiderata e cercata che in tantissimi le chiedono l’autografo. Che lei concede di fretta e con scarso entusiasmo. Evidentemente infastidita, non gradendo tanta passione dei fans, alla fine del turno si reca nel parcheggio per salire sulla sua auto ma viene avvicinata da uno di quelli, che oltre all’autografo chiede anche un bacio. Lei si concede con passione apparente ma sfilandosi un lungo fermacapelli dalla forma di stilo d’acciaio lo ficca con forza nell’orecchio dell’importuno, lasciandolo ammazzato al suolo.


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È un lungo prologo, composto dalle tre sequenze, che ci immette in maniera violenta e cruda nel clima del film, con cui Julia Ducournau ci fa immediatamente capire la sostanza essenziale del suo secondo lungometraggio. Non ci mette molto, quindi, per mostrare la personalità di Alexia, la quale anzi si esibirà in tanti altri ulteriori atti violenti e mortali perpetrati ai danni di chiunque le provochi attrazione fisica. Si ripeterà anche con chi ha una relazione più o meno stabile, senza mai fare distinzione di genere, raggiungendo il picco trovandosi con la scomoda situazione di testimoni che, reduci da un’orgia, deve assolutamente eliminare. La sua arma preferita è l’immancabile fermacapelli ma non si fa scrupoli ad utilizzare ogni oggetto solido e contundente che trova a portata di mano, maneggiati con una forza inimmaginabile in una ragazza così esile. Ciò che la spinge è una furia inarrestabile e feroce, che colpisce senza il minimo tentennamento. La sua vita era già una fuga e lo sarà di più, cogliendo l’occasione di potersi trasformare in un ragazzo, dopo aver scoperto il nome e la provenienza di un ragazzino sparito anni prima, spacciandosi per lui presso il padre, il comandante di una caserma di pompieri, che vive disperato per la perdita subita tanto tempo fa. Ed è lì che inizia una seconda vita, equivoca sia da parte sua, che deve nascondere non solo la sua identità femminile, ma anche da parte di Vincent, l’uomo maturo che la accetta come figlio, per colmare il vuoto lasciato dalla scomparsa del vero Adrien.


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Ma soprattutto Alexia deve nascondere la pancia di donna incinta, essendo rimasta pregna durante un selvaggio e devastante rapporto sessuale con una Cadillac(!), attratta dal metallo tanto simile a quello che porta nel cranio (e sempre sul sedile posteriore, scena tanto simile a quando, da bambina, subì l’incidente causato dal padre). Se tante volte oggi sentiamo parlare di gender fluid non è nulla in confronto a come Julia Ducournau tratta e disegna il personaggio di questa protagonista: donna, uomo, binaria, omosessuale, travestita per necessità. Oltre che indisponente con i genitori, odiatrice di uomini, repulsione nascosta per convenienza verso l’uomo che la sta adottando come sostituto del figlio scomparso e via dicendo. Ma l’evoluzione del carattere e dei sentimenti verso quell’omone che le riversa una specie particolare di affetto dimostra però quanto bisogno comunque abbia di un rapporto d’amore con qualcuno che non sia lei stessa. Attratta e disgustata nello stesso tempo da Vincent, capisce quanto anche lui abbia bisogno di aiuto e di affetto e arriva il momento che glielo dimostra aiutandolo in quella sorta di esaltazione del fisico che sta inesorabilmente invecchiando, ricambiato con tanta partecipazione nel momento del più straniante parto mai visto in un film: lui vi partecipa come fosse un vero nonno, per aiutarla e liberarla da quel peso che ha schiacciato per tutto il tempo che lei è stata da e con lui. Dopo averla presentata ai suoi dipendenti (“Cosa sono io per voi, Dio? E allora lui è Gesù, mio figlio!”) lo/la fa accettare, lo/la protegge contro gli atti di nonnismo, interviene quando Alexia/Adrien viene spinta ad esibirsi, come solo lei sa fare, in cima al tetto di una autobotte nel parcheggio della caserma dove ogni sera i pompieri sfogano la difficile giornata di lavoro col fuoco ballando scatenati al suono di techno/pop/rock al massimo volume.


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Attrazione affettiva che sfiora quella erotica, ribellione continua verso il potere familiare e istituzionale costituito, eros metallico che richiama alla mente i personaggi cronenberghiani di Crash (anche se lontani anni luce da questo essere ibrido), autolesionismo da gestazione, sangue così scuro da parere inchiostro nerissimo, aggressività carnale, brutalità naturale, una sorta di Lisbeth Salander da arancia meccanica, Alexia. Contrapposta alla fame di paternità perduta, al rammarico della vecchiaia incombente, dei muscoli afflosciati, al bisogno di siringhe potenziatrici, alla cecità davanti alla evidenza che non si vuole accettare, Vincent. Due destini distanti ma paralleli che, come si vuole sempre dimostrare, devono incontrarsi al confine della vista, smettendo di ignorarsi ma ammettendo la necessità dell’uno per l’altro/a. La catarsi finale è l’accettazione necessaria per sopravvivere in un mondo che non può essere fatto di solo metallo.


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Un film folle, costruito da una scena madre dietro l’altra, da invenzioni, provocazioni, da atti impulsivi, dolori fisici inflittisi e subiti, da ossessioni compulsive, centrato su una protagonista dal corpo titani(c)o, mai padrona del suo destino ma vittima di se stessa e della vita rifiutata, non del mondo. Contrapposta ad un uomo che invece mette al centro della vita la carne, quella propria, che si affloscia, a cui deve rimediare fino a farsi male. Due sfide alla natura ai confini con la realtà. Ci sono film che si guardano volentieri e ce ne sono altri che non si riesce a sopportare lo sguardo e si cambia. Questo è un caso terzo: non si riesce a non guardare, a smetterlo, a dire che non fa. Disgusto e apprezzamento, odio e stima, pronti ad uscire di sala e restare incollati. Il titanio diventa magnetico se si sopporta, altrimenti è rigetto concettuale. Film divisivo, è stato detto da tutti e forse il meglio è proprio lì, anche perché Julia Ducournau ne è stata cosciente sin dall’inizio e lo ha costruito in maniera lucida e coerente, provocando dove voleva titillare l’attenzione e la reazione e se queste due emozioni si verificano vuol dire che ha fatto centro. Se piace, il giudizio può spaziare dall’eccellente all’ottimo, in caso contrario lo spettatore comune molla e il critico di professione spara a zero. Un po’ come i due protagonisti: l’una programmata per uccidere, l’altro che per dovere deve salvare vite, anche al ritmo della Macarena.


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Accettato o no il film, la regia è indubbiamente fantastica e i due burattini (ma la vera protagonista è lei, solo lei!) nelle sue mani sono al pieno suo servizio e compiono il miracolo di materializzare l’immaterialità dei loro personaggi. Se non ci fosse stata Agathe Rousselle non sarebbe stata la stessa cosa: viso scarno e scavato, fisico affilato, sguardo rasoiante, luce degli occhi fiammeggiante. Che ruolo, accipicchia! La sorpresa, se si vuole, è Vincent Lindon, perenne combattente perdente del cinema autoriale francese, che si è lasciato esporre nel fisico pieno senza timore: grinta e bravura assiepate in un attore che non delude mai. Ma il miracolo non si è verificato solo sul set e sullo schermo, anche a Cannes 2021 è successo (con successo), perché dopo ben 28 anni, una donna torna a vincere il premio principale al Festival: merito di un film violento e provocatorio, ma non privo di senso dell'umorismo. In quella occasione si è guadagnato la definizione di “pugno nello stomaco”, con diverse scene davanti a cui non è facile tenere gli occhi incollati allo schermo. Se lo si fa si vince, sennò si perde un’occasione di aria nuova.

Horror? Forse. Dramma? Certamente. Thriller dell’anima di sicuro.


Riconoscimenti

2021 – Festival di Cannes

Palma d'oro



 
 
 

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