top of page

Titolo grande

Avenir Light una delle font preferite dai designer. Facile da leggere, viene utilizzata per titoli e paragrafi.

Un giorno di ordinaria follia (1993)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 18 set 2020
  • Tempo di lettura: 6 min

ree

Un giorno di ordinaria follia

(Falling Down) Francia/USA/UK 1993 thriller 1h53'

Regia: Joel Schumacher

Sceneggiatura: Ebbe Roe Smith

Fotografia: Andrzej Bartkowiak

Montaggio: Paul Hirsch

Musiche: James Newton Howard

Scenografia: Barbara Ling

Costumi: Marlene Stewart

Michael Douglas: William "Bill" Foster / "D-Fens"

Robert Duvall: det. Martin Prendergast

Barbara Hershey: Elisabeth "Beth" Travino

Rachel Ticotin: det. Sandra Torres

Tuesday Weld: Amanda Prendergast

Frederic Forrest: Nick, proprietario negozio di armi

TRAMA: Los Angeles, estate 1992, caldo torrido. Bill rimane bloccato con l'auto in un ingorgo, scende, la chiude e va a casa con una passeggiata di quaranta chilometri che si trasforma in un'odissea violenta. A quella di Bill fa da riscontro la vicenda parallela di un poliziotto al suo ultimo giorno di servizio. È lui che intuisce l'itinerario di sangue e violenza che Bill traccia attraverso la città.

Voto 7,5


ree

Diversi elementi, sociali e personali, confluiscono in questo film turbolento e come componenti di un potente esplosivo causano, trovando il giusto detonatore, un botto che fa male, con una lunga scia di discussioni, litigi, minacce, ferimenti, morti. Come un crescendo che pare, di minuto in minuto, inevitabile, impossibile da arginare. Sono i primi anni ’90 e il governo USA, con il presidente Bush alla fine del suo mandato, sta diminuendo, pur se di poco, la costruzione di armi, dopo che l’America aveva terminato con successo la missione della Guerra del Golfo. La minor produzione di armi porta alla chiusura di alcune fabbriche con il conseguente licenziamento dei dipendenti, anche del personale più qualificato come gli ingegneri che progettano i missili. Uno di loro infatti è proprio Bill Foster, che per amore del suo lavoro e attaccamento alla patria, guida un’auto la cui targa recita “D-Fens”, come un secondo nome, scritta che letta di seguito suona come “difesa”, quella a cui lui pensa di contribuire con il suo apporto professionale.


ree

Unendo lo smantellamento della fabbrica, la crisi occupazionale che lo sta investendo in prima persona, insieme ad un momento in cui il peggioramento nella ricerca di un nuovo lavoro si è accentuata, produce nel già nervoso ed esaurito Bill un momento molto difficile. A tutto ciò bisogna sommare il lato familiare che gli sta crollando addosso: il suo comportamento sempre nevrotico e manesco, sempre al limite della violenza domestica, ha provocato la fuga della moglie e della loro bambina, con il conseguente divorzio e la condanna da parte del tribunale che ha intimato all’uomo di non avvicinarsi più alle due donne. Condanna a cui non solo Bill non si rassegna, ma con pretesti di vario genere, come il compleanno della piccola che cade proprio in quel maledetto giorno in cui si svolge tutto il film, trova l’occasione per infrangere il divieto.


ree

Fa un caldo terribile e afoso, gli abiti si appiccicano addosso, Bill vive con la mamma ormai dal giorno della separazione, mamma a cui non ha mai confessato di essere rimasto disoccupato, motivo per il quale lui esce comunque tutti i giorni al solito orario come se si dovesse recare in ufficio. La rabbia che porta addosso si accumula con tutti questi eventi negativi e il lentissimo traffico che lo sta affliggendo quella mattina già alle 8:30 e lo stare in coda con le bocchette d’aria che sputano solo onde accaldate non fanno che aumentare la temperatura all’interno della macchina e della mente. Nulla si muove, tutti sono incolonnati mentre i bambini urlano, gli automobilisti premono nervosamente e rassegnati il tasto del clacson, mentre la pubblicità dei cartelloni sembra infierire su quella umanità sudaticcia di vario tipo. Bill abbandona l’auto per strada, si avvia a piedi per una lunga camminata che durerà parecchi chilometri, che coprirà diverse aree della Los Angeles bollente e brulicante, piena di ragazzi ben armati nel quartiere dei latinos pronti a rapinare o a ricattare il primo estraneo che passa per le zone che ritengono di loro proprietà.


ree

Questo mondo variegato di popolazione diventa pian piano una paradossale via crucis pagana di un uomo ormai sull’orlo della follia, come un rito di insopportabilità verso il genere umano. Ogni tappa è un gradino più in su nella scala della nevrosi e il comportamento dell’uomo peggiora di episodio in episodio, tanto da arrivare a sparare ed uccidere chi pensa di poterlo bloccare, tentativo che lui interpreta sempre come una minaccia alla sua libertà (quella fatidica che ogni americano crede di poter esercitare in ogni occasione, che poi invada quella altrui poco importa) e quindi crede opportuno reagire in modo più che proporzionale, spianando la strada verso l’obiettivo che si è posto sin dal mattino: portare il regalo di compleanno alla figlia Amanda. Una tensione così capita raramente di vedere: è tesa come una fune per il funambolo e se ogni tanto appaiono bagliori di umorismo acido è solo perché sono consoni alla trama e alla assurdità di quella vita metropolitana. È un viaggio di 40 chilometri a piedi e di due ore di violenza scatenata in un uomo qualunque, che giunge sino al suo limite psicologico.


ree

Questa intanto è solo la metà della trama, in quanto in tutt’altra zona della città californiana il detective della polizia losangelina Martin Prendergast sta portando a termine la sua ultima giornata di lavoro: il giorno dopo sarà finalmente in pensione e potrà godere il resto della sua vita con la amata moglie, donna in piena depressione. Martin, al contrario dello scatenato Bill, è l’uomo più paziente del mondo che cerca con amore e comprensione di tranquillizzare la donna della sua vita, con la speranza che la partenza per il luogo della loro vacanza porti tranquillità e soprattutto serenità. Due vite e due strade esistenziali così diverse si congiungeranno inevitabilmente dal momento che l’uno è ormai borderline e l’altro è uno che presta servizio per mantenere l’ordine e per far osservare la legge. Più il folle Bill si avvicina alla nuova residenza della sua precedente famiglia, più il mansueto Martin riesce ad intercettare il sanguinoso tragitto percorso dall’altro, fino al punto di intersezione delle due linee, sulla passeggiata sul mare cittadino. Ove si compirà la tragedia finale. Spiccano intanto nel film accenni di una forte tensione sociale e razziale che effettivamente c'era nella città di Los Angeles in quel periodo e che va ad aggiungersi a quei diversi motivi di cui nell’incipit.


ree

La regia di Joel Schumacher è degna dell’aurea che ha accompagnato la carriera di questo autore e ci offre un’opera densa di tensione montante, attutita ad intervalli studiati mediante gli inserti del montaggio in cui il buon detective rallenta l’azione crescente del protagonista, dal suo modo di affrontare con calma la vita di poliziotto e cogliere le pause dell’attività di servitore della legalità, le simpatie e le antipatie del suo ambiente di lavoro, della sintonia tra lui e la collega più cara, impressionando noi spettatori per la profonda esperienza di poliziotto con cui sa condurre il finale, a modo suo, senza farsi travolgere dalla foga che annebbia l’errabondo ingegnere che ha attraversato parte della città spinto dai nervi e dal folle sogno di (ri)entrare nella casa che tanto gli manca, dove però è istintivamente pronto a ripetere dagli errori del passato. Il regista sfrutta al meglio l’ottima sceneggiatura di Ebbe Roe Smith, trasmettendoci il caldo californiano dallo schermo fino alle nostre sensazioni, assieme alla deviazione mentale che trasforma un uomo medio come Foster in un paladino pazzoide della giustizia sociale, che si ribella alle difformità di ciò che la politica promette e ciò che poi succede nella pratica quotidiana. La delinquenza diffusa, i maniaci e nostalgici delle dittature storiche europee, l’inflessibilità del servizio del settore gastronomico, la facilità con cui in America girano armi di ogni tipo. Tutto nell’orrendo calderone estivo della vita emulsionata degli anni Novanta. Gli attori di prima linea danno una mano notevolissima al regista, prima di tutto perché un Michael Douglas così performante è raro rivederlo, con quella camicia a maniche corte e la cravatta mai slacciata, una mise diventata quasi iconica; l’altro è il super collaudato Robert Duvall, impareggiabile in tutti i ruoli abbinabili. Una storia sui generis che stabilisce anche delle regole generali che si ripetono: il capitalismo del fast food, i clandestini latini sterminati con metodi fascisti e nel contempo un metodo partigiano per eliminare il fascista che si frappone nel cammino. Una rivoluzione muscolare dell’uomo comune contrapposta alla pacata risoluzione del poliziotto.


ree

Attenzione: da notare i poster di soggetto sociale e politico che troneggiano sullo sfondo di parecchie scene. Sono immagini realizzate dal pittore e fotografo Michael McNeilly, un artista che talvolta paga di tasca propria l’utilizzo degli spazi pur di esporre nei diversi punti della città i temi che lo interessano: le violenze sui minori, il sesso sicuro, la guerra e la pace, ecc.

Eppure, il primo avvertimento era arrivato, quando D-Fense incontra / si scontra con i due teppistelli durante la prima pausa sul prato: "Sentite ragazzi, questa giornata per me è cominciata male... È meglio che lasciamo perdere." Lo aveva detto, perdinci, lo aveva detto!



 
 
 

Commenti


Il Cinema secondo me,

michemar

cinefilo da bambino

bottom of page