L’amore che non muore (2024)
- michemar

- 12 ott
- Tempo di lettura: 7 min

L’amore che non muore
(L’amour ouf) Francia, Belgio 2024 dramma sentimentale/noir 2h46’
Regia: Gilles Lellouche
Soggetto: Neville Thompson (Jackie Loves Johnser OK?)
Sceneggiatura: Gilles Lellouche, Audrey Diwan, Ahmed Hamidi
Fotografia: Laurent Tanguy
Montaggio: Simon Jacquet
Musiche: Jon Brion
Scenografia: Jean-Philippe Moreaux
Costumi: Isabelle Pannetier
Adèle Exarchopoulos: Jackie a 25 anni
François Civil: Clotaire a 28 anni
Mallory Wanecque: Jackie adolescente
Malik Frikah: Clotaire adolescente
Alain Chabat: padre di Jackie
Benoît Poelvoorde: Le Brosse
Vincent Lacoste: Jeffrey Valrink
Jean-Pascal Zadi: Lionel a 28 anni
Élodie Bouchez: madre di Clotaire
Karim Leklou: padre di Clotaire
Logan Lefebvre: Kiki adolescente
Raphaël Quenard: Kiki a 20 anni
Anthony Bajon: Tony
TRAMA: Anni ‘80, nel nord della Francia. Jackie e Clotaire sono cresciuti insieme, ma lei tra i banchi del liceo e lui per strada. Lei studia, lui fa il piccolo delinquente. Poi i loro destini si incrociano inevitabilmente, finalmente, ed è amore folle. Il destino proverà a separarli ma il loro sentimento è più forte.
VOTO 6,5

L’amore tra due persone, giovani o adulti, ha milioni di facce, può nascere, crescere, morire, rinascere in milioni di maniere. Eppure, è sempre lo stesso, è amore e basta. Ma a volte è pazzo, così pazzo che Gilles Lellouche - alla sua terza regia dopo il da noi inedito Narco e 7 uomini a mollo, due commedie – lo definisce come titolo, prendendo le distanze da Jacques Rivette invertendo, in originale, le lettere dell’aggettivo, che diventa ouf. Quando si parla di un amore scatenato e forte, infatti, non viene spontaneo alla persona interessata dire che lo (la) ama pazzamente, che è pazzo(a) di lei (lui)? Beh, stavolta ciò che accade a Jaqueline e Clotaire (che lui battezza subito Jackie) e Clotaire va pure oltre, dura decenni, scavalca gli ostacoli, pare finito ed invece cova senza sosta pure quando l’incendio è domato o apparentemente spento, anzi non esiste più. Non serve la ragione, non basta la logica: i due, conosciutisi adolescenti, sono nati per stare assieme, dopo il primo in(s)contro, dopo la separazione di 12 anni, dopo essersi cercati comunque e contro il parere di tutti.

Il film è diviso in due tronconi, il primo negli anni ‘80 quando lei frequenta con profitto il liceo, lui bazzica per le strade atteggiandosi a piccolo teppista, aspetta le femmine che scendono dal bus per andare in classe mentre lui le insulta, fa il gradasso e si atteggia a miniboss del gruppo. Lei (la sorprendente Mallory Wanecque) è orfana di madre accudita da un padre (adorabile Alain Chabat) amorevolmente vigile, espulsa da una scuola per indisciplina; lui (l’altrettanto sorprendente Malik Frikah) figlio turbolento, in una famiglia numerosa, di una casalinga e un operaio del porto che lo picchia spesso per le sue bravate. Dopo un iniziale scontro verbale dovuto alla sfacciata intraprendenza di Clotaire derisa con sorridente sdegno da Jackie, i due iniziano spavaldi a frequentarsi - uno spinge, l’altra respinge - ma si intuisce che è inevitabile che si innamorino perdutamente e così vivono, lì per lì, una passione divorante, nonostante le differenze di condizioni sociali e le aspirazioni personali. Tanto per avere un’idea di quello che sta accadendo, per sedurre Jackie, Clotaire non esita a commettere piccoli crimini, tra cui un meticoloso furto di un piccolo carico di dolci, ma queste peregrinazioni portano a gravi conseguenze per suo fratello Kiki che viene mandato in un istituto di correzione dopo essere stato trovato chiuso nel camion frigo che li trasportava. Nonostante questi ostacoli, Clotaire continua i suoi tentativi di seduzione, arrivando al punto di registrare una compilation di canzoni su una cassetta e offrirgliela. La loro relazione è diventata rapidamente ufficiale e i due adolescenti hanno intrapreso una storia d’amore appassionata e tumultuosa. Tuttavia, questa intensa felicità viene rapidamente oscurata dalla realtà delle rispettive vite. Lei sogna giustamente l’emancipazione, mentre l’altro, perso nelle difficoltà precarie della ribellione antisociale, sprofonda gradualmente nella delinquenza. Ma siccome è amore, lei non si spaventa e, adeguandosi, lo frequenta e accettando i piccoli regali perché fatti con sentimento, tra il giubilo delle altre ragazze che, data la fama del giovane, quasi la invidiano.

Uno dei furti commessi, portano il giovane ad avere contatto con un boss della zona, tal Le Brosse (Benoît Poelvoorde), che lo ingaggia facendolo diventare in quattro e quattr’otto un vero delinquente al servizio della banda: sarà la fine, perché un colpo grosso tentato nel porto causa l’uccisione di un agente e la conseguente condanna di 12 anni di carcere al giovane benché lui non sia l’autore, ma rimasto zitto per complicità leale. Lei lo perde e cresce più tranquilla pur sempre insofferente, subendo il licenziamento dal lavoro per la ribellione verso il suo direttore Valrink (l’ottimo Vincent Lacoste), il quale riesce ad ottenere comunque la sua attenzione, fino al punto di sposarla. Periodo, questa prima fase della trama, caratterizzata dalla fotografia carica di colori pastello, forse un po’ troppo anni ‘60 ma che comunque dà un’idea dei tempi passati, come un fatto antecedente nell’album dei ricordi.

Dopo l’intermezzo degli anni trascorsi in carcere, Clotaire (ora François Civil), che ha vissuto convinto con l’illusione che Le Brosse lo avrebbe cavato fuori dai guai giudiziari, e poi con l’inevitabile desiderio di vendetta, esce e regola i conti alla sua maniera, ora peggio di prima, ormai maggiorenne violento e senza scrupoli, vista la brutta esperienza che ha dovuto sopportare. Distruggendo il regno di Tony, che ha usurpato quello del padre Le Brosse, ne diventa l’ideale erede e spadroneggia per la città con la sua gang. Quindi? Jackie felice della nuova ed adeguata vita da signora Valrink? Clotaire svincolato da lei ora neo-boss soddisfatto? Ma neanche per sogno. Lei, quasi inconsciamente, non ha mai messo totalmente da parte l’amore pazzo della sua adolescenza, lui ha trascorso gli anni in cella pensando a lei e scrivendo 475 aggettivi dedicati alla sua ragazza di sempre con tanto di motivazioni. Uscendo dalla galera, gli è bastato annusare l’aria della cittadina e respirare l’odore della loro passione. Come allora, anche oggi bastano due squilli di telefono per ravvivare la fiamma mai spenta, anzi, mettere altra legna sul fuoco eterno dell’amore. Clotaire vive solo e quindi non ha chi lo consigli e lo limiti, Jackie, immaginata dal padre felicemente sposata ma che resta deluso ma comprende, prende una decisione istintiva. Nessuno possiede il potere di tenerli divisi, neanche la gelosia arrabbiata ed ora possessiva e violenta di Jeffrey Valrink e i due si ritrovano con l’identica, immutata, sicuramente rafforzata passione che avevano vissuto anni prima e sanno che non c’è al mondo persona che li potrà mai più separare e siccome capiscono, specialmente lui, che la criminalità non può che danneggiare la loro unione, intraprendono una nuova vita notevolmente ordinaria e modesta. Forse, sì, anche il finale, dopo il trambusto fuori di testa e non ordinario degli anni giovanili, è piuttosto modesto e senza il twist che ci si poteva attendere. Non sono Bonnie e Clyde, sono solo Jackie e Clotaire e si amano pazzamente sin dal primo sguardo. Anche ora, quando gli scappa, con nonchalance, “Ti amo”.

Quello che abbiamo visto fino alla fine, però, non è la solita storia d’amore: è sì la vita di due persone, di due personaggi, che si sono incontrati per caso e che non si sono mai lasciati, ma è molto di più. Ci può pure stare il titoletto italiano per cui L’amore che non muore è sempre lì, più coriaceo di prima, ma è un amore davvero pazzesco, o più semplicemente pazzo, fou, o ouf. E ha dentro di sé una forza sovrumana che travalica gli amori quotidiani, che si spiega con gli sguardi che sanno scambiarsi, con l’idea fissa che non è mai sparita dalla loro mente. Pareva sbiadita ed invece era solo in letargo nel lungo inverno della galera, nella separazione forzata, in una cella e in un matrimonio per farsi bastare la vita, che alla fine dei 12 anni non bastava più. Perché soltanto Jackie e Clotaire si bastano a vicenda, gli altri non esistono. Magari poteva far spavento il capo del reparto dove i due lavorano, uno magazziniere l’altra cassiera, ma è bastato prima dire sì, e poi il fermo chiarimento di lei, che non ha perso minimamente lo smalto della ribellione imparata. Un finale modesto che fa non intravedere la fine dell’amore, che è davvero per sempre. Essi sono autoriempitivi, sono bastanti, sono felici, pazzamente innamorati. Si amano, ma di quell’amore vero, viscerale, che non ha niente a che fare con il sesso. O, almeno, che non si limita solamente al sesso. E difatti Lellouche mostra poco e nulla di eros, c’entra poco. È solo, tutto, essenzialmente e follemente amore.

Una cosa risalta in questo film pieno di colori, violenze, sentimenti, tanta bella musica (i brani sono parte integrante del ritmo delle parti migliori, una bella rassegna rock): il cinema. È puro amore del regista attore per il cinema e per tutto ciò che ha imparato negli anni della sua attività. Ha assorbito il noir e la commedia e li ha mescolati in un dramma inatteso. Ma purtroppo non mancano difetti, ad iniziare dalla lunghezza, oltre ad una prima parte piuttosto lenta e ripetitiva, parzialmente giustificata dalla voglia - penso – di Gilles Lellouche di voler spiegarci e illustrarci compiutamente l’attrazione tra i due protagonisti e da lì scene ripetitive che si potevano, a mio modesto parere, accorciare o tagliare, tanto si capisce subito di cosa si tratta e da quanta intensità è caratterizzata. Inoltre, la questione razziale con gli insulti all’amico Lionel è appena accennata e fatta notare solo in uno scampolo di scena e quindi o la approfondivi o la evitavi del tutto. Difetti in parte compensati dalle sequenze più vivaci, in cui il ritmo riprende vita e sfida l’immaginazione del pubblico.

Premesso che comunque il regista ha sfornato senz’altro il suo miglior film (ma ora è obbligato e migliorare ancora) e che gli attori prima citati sono davvero bravi, da Adèle Exarchopoulos mi attendevo di più e di certo non può bastare la sua bellezza che fa fatica a maturare, pare ancora quella di La vita di Adele, mentre François Civil svolge un buonissimo lavoro ma non memorabile. Invece chi lascia il segno sono i due adolescenti ed il bonario Alain Chabat che è quasi commovente nella sua naturalezza. Dal canto suo, Benoît Poelvoorde si ricava un bel personaggio, adatto ad un istrione come lui. Ottimi la fotografia e il commento musicale che spazia dal rock dei Deep Purple al tradizionale Gilbert Bécaud. Il curioso è che la critica ufficiale si è divisa tra entusiasti e delusi con giudizi esaltanti e critiche feroci. Io, modestamente, mi mantengo in medio.

Riconoscimenti
César 2025
Migliore attore non protagonista ad Alain Chabat
Candidatura per il miglior regista
Candidatura per il migliore attore a François Civil
Candidatura per la migliore attrice ad Adèle Exarchopoulos
Candidatura per la migliore attrice non protagonista a Élodie Bouchez
Candidatura per la migliore promessa maschile a Malik Frikah
Candidatura per la migliore promessa femminile a Mallory Wanecque
Candidatura per la migliore fotografia
Candidatura per il miglior montaggio
Candidatura per la migliore musica
Candidatura per la migliore scenografia
Candidatura per i migliori costumi
Candidatura per il miglior sonoro
Premio Lumière 2025
Candidatura per la migliore promessa maschile a Malik Frikah






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