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È stata la mano di Dio (2021)

Aggiornamento: 22 dic 2023


È stata la mano di Dio

Italia/USA 2021 dramma biografico 2h10’


Regia: Paolo Sorrentino

Sceneggiatura: Paolo Sorrentino

Fotografia: Daria D'Antonio

Montaggio: Cristiano Travaglioli

Musiche: Lele Marchitelli

Scenografia: Carmine Guarino

Costumi: Mariano Tufano


Filippo Scotti: Fabietto Schisa

Toni Servillo: Saverio Schisa

Teresa Saponangelo: Maria Schisa

Luisa Ranieri: Patrizia

Betti Pedrazzi: baronessa Focale

Massimiliano Gallo: Franco

Renato Carpentieri: Alfredo

Roberto De Francesco: Geppino

Enzo Decaro: San Gennaro

Marlon Joubert: Marchino Schisa

Rossella Di Lucca: Daniela Schisa

Ciro Capano: Antonio Capuano

Lino Musella: Marriettiello


TRAMA: Il diciassettenne Fabietto Schisa è un ragazzo goffo che lotta per trovare il suo posto nel mondo, ma che trova gioia in una famiglia straordinaria e amante della vita. Fino a quando alcuni eventi cambiano tutto. Uno è l’arrivo a Napoli di una leggenda dello sport simile a un dio: l’idolo del calcio Maradona, che suscita in Fabietto, e nell’intera città, un orgoglio che un tempo sembrava impossibile. L’altro è un drammatico incidente che farà toccare a Fabietto il fondo, indicandogli la strada per il suo futuro.


Voto 7-

Qualche volta giunge il momento, per un autore, di utilizzare la sua arte per raccontare la parte della vita che lo ha segnato di più, senza nascondere alcun aspetto di quello scorcio di esistenza. Aprirsi quindi al pubblico con un film che diventa più di una seduta psicanalitica, forse addirittura una liberazione, un sollievo, l’alleggerimento di un peso che si porta addosso come un carico che appesantisce l’esistenza. Lo dimostra la lettera alla mamma di Paolo Sorrentino – riportata integralmente in calce - che ha voluto pubblicare su un quotidiano dopo l’uscita del film nelle sale. Una dedica commovente ed un invito accorato a tutti i figli. Però, da estimatore del suo modo di fare cinema, della sua estetica, dell’originalità delle sue storie, faccio fatica a mettere quest’ultima opera sul livello dei suoi più riusciti film, a mio parere troppo lenta nella prima parte e persino un po’ troppo macchiettistica, con tante figure ipercolorate che mi paiono poco credibili. Sicuramente caricate dal troppo amore per gli amici, conoscenti, parenti e vicini di casa che ha frequentato il giovane Fabio Schisa, Fabietto per tutti, il suo alter ego. L’istinto tutto partenopeo per esaltare i personaggi delle loro storie, senza per questo voler sfruttare un luogo comune. Nello stesso tempo, si avverte l’afflato di impronta popolare che spinge il regista a filmare la famiglia e tutto l’ambiente, che alla fine risulta come un quadro evocativo della felicità che fu, come quella che tanti di noi ricordano con nostalgia: l’ingenuità di Fabietto è quella nostra, come anche l’incoscienza giovanile che ci fa credere che nulla di grave potrebbe mai accadere ai nostri cari, che il domani è un futuro lontano. Ora, l’adolescenza, è un’avventura che si vive con il pilota automatico. Sotto questo profilo è un film toccante, ma – forse per la grande stima che ho per Sorrentino e per le attese che ho per i suoi film – una leggera delusione non sono riuscito a scrollarmela di dosso.

Il punto di riferimento del giovane è il padre, scherzoso e sorridente funzionario di banca, ma l’imprevedibile di casa è la mamma, instancabile fautrice di scherzi, irriducibile creatrice di sorprese ai limiti dell’offesa, come un parallelo di quella “mano di Dio” (citazione di Maradona) che segnò la più famosa rete irregolare dell’intera storia del calcio mondiale. Persino quando si sente oltraggiata allorché scopre i tradimenti di suo marito, lei aspetta solo qualche giorno (a mo’ di punizione) per farlo rientrare in casa, per poi riprendere l’armonia di sempre. Il film, con l’avvenimento luttuoso che lo caratterizza, segna con quell’episodio la maturazione immediata, repentina, necessaria, di un giovane che intuisce che da quel momento non è più un figlio ma un uomo che deve trovare la sua strada, non può rimanere il Fabietto di sempre, adesso è il momento in cui, come dice l’occasionale amico contrabbandiere di sigarette, diventi finalmente Fabio, Fabio Schisa e basta. E siccome – complice anche una visita della troupe di Federico Fellini a Napoli – la propensione del giovinotto è il cinema, decide di partire alla volta di Roma, inevitabilmente sconsigliato dagli altri perché, per i napoletani, la casa della vita è Napoli, città che per loro è imparagonabile a tutte le altre. La sequenza finale è il coronamento dell’amoroso omaggio del regista alla sua città, alla filosofia dei suoi abitanti, alla felice rassegnazione che abita nei vicoli, Proprio come canta, memorabilmente, Pino Daniele con Napule è, mentre Fabio guarda fuori dal finestrino del treno che lo porta nella capitale. Andando via, dovrà mettere da parte il suo amato abbonamento alla curva B dello stadio del Napoli ricevuto come ultimo regalo di compleanno dal padre per poter ammirare l’idolo Diego Armando Maradona, il nuovo dio del golfo.

Se da un lato il film non mi ha entusiasmato più di tanto, è innegabile come si possano avvertire dal primo all’ultimo fotogramma la sincerità e il sentimento con cui Paolo Sorrentino ha scritto e filmato, come traspaia attimo dopo attimo il senso di affetto per la sua famiglia e la acuta mancanza che avverte per la precoce assenza dei genitori, dei tempi andati (Si stevemo buono, cantava sempre Pino Daniele), del mito di San Gennaro che appare in Rolls Royce con tanto di autista, del fantomatico “monaciello” (visto solo da Patrizia e Fabietto), della leggerezza nello stare tutti insieme a tavola e prendersi in giro: provocare le reazioni della scorbutica signora Gentile, prendere in giro la baronessa Focale e soprattutto l’attrazione provata per la bella zia Patrizia, il sogno erotico che agitava gli ormoni del giovane Fabietto. E poi la prima esperienza sessuale con chi non avrebbe mai immaginato, la solitudine (“Papà, io non ho amici”), l’amicizia fortuita ma sincera con un contrabbandiere. Praticamente un diario scritto a cuore aperto abbandonando per una volta il suo stile estetizzante che ha reso famoso il regista in tutto il mondo. Non troviamo le inquadrature prospettiche e geometriche (tranne proprio qualcuna, come quella della gita nel grande gozzo di Franco, dove al completo si recano nel mare prospicente il golfo di Salerno), in cui la zia Patrizia in nudo integrale fa finalmente ammutolire tutti. Album dei ricordi che culmina con il più importante insegnamento che il protagonista riceve quando il mentore Antonio Capuano lo esorta “Non ti disunire!”. Una scena cult da ricordare in cui il giovinotto capisce che, anche se spinto dal suo intuito a partire per la città del cinema, lasciando Napoli e il Napoli di Maradona, deve comunque restare unito all’amore della famiglia, delle tradizioni, al legame sensuale con la zia. Un’istruzione esistenziale che egli ascolta e assorbe con estrema attenzione, così come quella esortazione che gli dà la baronessa dopo un formativo rapporto sessuale mediante la quale la donna, alquanto matura, lo spinge a crescere, distaccarsi, iniziare a volare, per iniziare a scalare l’olimpo del suo futuro di autore cinematografico.


È questa parte del film che scalda il cuore, a partire dal momento di essere rimasto orfano, dall’impulso personale, e di chi gli vuol bene, a realizzarsi ma, non solo nella seconda parte, è in tutto il film che si avverte che non c’è nulla fuori posto, che la costruzione complessiva, la perfetta sceneggiatura, la bella fotografia di Daria D'Antonio (già ammirata in diverse occasioni: Tornare, Il ladro di giorni, Il corpo della sposa, Ricordi?, Il padre d’Italia, La pelle dell’orso, dopo la lunga collaborazione ora interrotta con Luca Bigazzi), le inquadrature mai sbagliate, la cura nel tratteggio dei tanti personaggi. Tutto gestito con la giusta dose di emozione e commozione che non sconfina mai nella retorica, con sapienza e delicatezza, proprio come il carattere di Paolo Sorrentino, solitamente trattenuto e timido, che ha saputo “pescare” tra i candidati a rappresentarlo il giovane Filippo Scotti, cercando evidentemente qualcuno che avesse le caratteristiche somatiche più similari. Il suo Fabietto che diventa finalmente Fabio è, oltre che somigliante, silenzioso e osservatore muto di tutto ciò che avviene intorno, mai invasivo e piuttosto invisibile. Sarà stata la partita di Maradona a farlo rimanere in città invece che andare a Roccaraso con i genitori, sarà stato il suo idolo sportivo a fargli dire di no, sarà stata la mano di Dio – come gli dice solennemente Alfredo – a salvarlo, fatto sta che Fabio/Paolo oggi è qui e ce lo racconta con emozione evidente. Invece il film è solo opera della mano di Paolo Sorrentino e si nota. Dall’alto della sua notevole autorialità, pochi si possono permettere di firmare un’autobiografia così attesa e importante, già premiata a Venezia 2021 con il Gran Premio della Giuria, cioè il tributo alla migliore regia, mentre il quasi esordiente Filippo Scotti è stato gratificato dal Premio Marcello Mastroianni quale miglior attore emergente. Non trascurata nel festival anche la brava Teresa Sapongela, la mamma Maria, con il Premio Pasinetti. Inoltre, in questi giorni è arrivata anche la notizia della candidatura del film ai Golden Globe Awards. Ma son stati bravi un po’ tutti, indubbiamente, con una menzione speciale per una dolente Luisa Ranieri, secondo me nel più importante film della sua carriera, mentre al fidato Toni Servillo resta un ruolo non molto impegnativo per lui, di normale amministrazione, date le sue ben riconosciute qualità. Un film autobiografico, sicuramente sofferto, ma finalmente sereno nella forma, più sereno degli altri film, perché a prescindere dal roboante La grande bellezza, tutti gli altri sono dominati, a mio parere, da una continua e latente angoscia, al contrario di questo film che instilla invece nostalgia e romanticismo per il passato, mentre lo sguardo è rivolto alla rinascita e al futuro.

Chissà se, nell’aldilà, è consentito andare al cinema. Così mia madre potrebbe vedere la lettera che le ho scritto, attraverso questo film. La lettera che sosta tutti i giorni nell’anima dei figli diventati grandi. Dove scriviamo, col pensiero e con le parole che non abbiamo detto, quella meraviglia che è stata o non è stata, ma che sempre rimarrà nella nostra vita sentimentale, l’idea di meraviglioso.

Abbiamo avuto madri meravigliose e da ragazzi non lo sapevamo. Coltivavano pedagogie traballanti, fameliche di sensi di colpa. Mia madre era sbrigativa ma molto affettuosa. L’ironia era il sollievo per qualsiasi problema. Ai primi sintomi di adolescenza, quando si cominciava a frequentare, con quella gravosità affranta, la profondità, mia madre ricorreva a uno strumento irritante: minimizzava. Da adulto, ho compreso. Mi è parsa l’unica strada. Minimizzare. Non è utile, ma è difficile rintracciarne altre. Oggi l’educazione dei figli è una missione. Per la generazione di mia madre era solo un altro fardello che la vita imponeva. Eppure, era tutto amore. Ma l’ho capito dopo. E quando ho avuto le parole per dirglielo, lei non c’era più.

Per questo mi piace pensare, con un’ingenuità da bambino profondo, che nell’aldilà si possa vedere un film. Per dire quello che non ho potuto dire. E per chi può, ho un solo consiglio: ditelo. A costo di essere ridicoli, sentimentali e pieni di lacrime. È necessario, per diventare grandi, passare attraverso le porte del ridicolo e del pianto. Il pianto degli adulti. L’unico modo, per una madre, di ritrovare, davanti a sé, il bambino meraviglioso che tutti siamo stati.

Per dirle quello che non ho potuto dirle. E per chi può, ho un solo consiglio: ditelo!

Così dice Paolo Sorrentino.

Riconoscimenti

2022 – Premio Oscar

Candidatura per il miglior film internazionale

2022 – Golden Globe

Candidatura per il miglior film straniero

2022 – David di Donatello

Miglior film

Miglior regista

Migliore attrice non protagonista a Teresa Saponangelo

Migliore autore della fotografia

David Giovani

2022 – Nastro d'argento

Miglior film

Miglior attrice protagonista a Teresa Saponangelo

Miglior attrice non protagonista a Luisa Ranieri

Miglior casting director


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