127 ore (2010)
- michemar

- 20 ott
- Tempo di lettura: 5 min

127 ore
(127 Hours) UK, USA, Francia 2010 avventura biografica 1h34’
Regia: Danny Boyle
Soggetto: Aron Ralston (Between a Rock and a Hard Place)
Sceneggiatura: Danny Boyle, Simon Beaufoy
Fotografia: Anthony Dod Mantle, Enrique Chediak
Montaggio: Jon Harris
Musiche: A.R. Rahman
Scenografia: Suttirat Anne Larlarb
Costumi: Suttirat Anne Larlarb, Emma Potter, Elisabeth Vastola
James Franco: Aron Ralston
Kate Mara: Kristi Moore
Amber Tamblyn: Megan McBride
Clémence Poésy: Rana
Lizzy Caplan: Sonja Ralston
Treat Williams: padre di Aron
Kate Burton: madre di Aron
TRAMA: La storia vera di Aron Ralston, uno scalatore che, durante un’escursione nello Utah, cade in un canyon isolato e si ritrova con un braccio incastrato sotto una roccia. Nei cinque giorni successivi l’uomo è combattuto tra la disperazione e l’istinto di sopravvivenza.
VOTO 7

Danny Boyle, dopo il travolgente successo e i premi del fantasy romantico The Millionaire (8 Oscar e 4 Golden Globe), ha cambiato non solo marcia ma anche continente per raccontare la vera storia di Aron Ralston in un film d’azione con un ragazzo… che non può muoversi. Le somiglianze del film con altri simili (tipo Buried - Sepolto, dove il malcapitato protagonista si risveglia all’interno di una bara e gli unici strumenti a sua disposizione per cercare di salvarsi sono un accendino e un telefono cellulare) sono sorprendenti in quanto entrambisi basano principalmente sulla performance dell’attore protagonista ed entrambi sfidano la resistenza del pubblico a rimanere con un personaggio in circostanze difficili per 90 minuti. Il livello di tensione magari qui non raggiunge il livello intenso raggiunto dall’altro, ma contiene una scena così inquietante nel suo gore rovente e realistico che può capitare che qualcuno molli la visione. Non è un horror, ci mancherebbe, ma qualche scelta per la sopravvivenza è indubbiamente tosta. Tutto, però, è dettato dalla forte volontà di non mollare, assolutamente.


Come suggerisce il titolo, 127 ore copre un periodo di poco più lungo di cinque giorni che va dalla fine di aprile all’inizio di maggio 2003, durante il quale l’avventuriero Aron Ralston (James Franco), 27enne biker, si avventura nel Blue John Canyon dello Utah per fare un po’ di arrampicata ed esplorazione. I primi quindici minuti del film, che sono luminosi e colorati con fantastiche inquadrature di paesaggi accompagnate dalla palpitante colonna sonora di A.R. Rahman, hanno il duplice scopo di presentarci il personaggio principale e di mostrare l’ambientazione. Aron incontra una coppia di escursioniste smarrite (interpretati da Amber Tamblin e Kate Mara) e le aiuta a trovare la strada per la loro destinazione prima di continuare da solo. Non passa molto tempo, tuttavia, prima che un incidente lo faccia cadere in un crepaccio e rimanga intrappolato sul fondo quando un masso in caduta schiaccia il suo braccio contro la parete del tunnel e vi rimane incredibilmente incastrato. Lui prova tutto ciò che è in suo potere per liberarsi, ma gli strumenti a sua disposizione sono limitati e mentre la sua riserva d’acqua diminuisce, si rende conto che potrebbe morire di sete.


Come nel film su citato, anche in questo si rimane con il protagonista per l’intera durata, senza mai divagare con scene in cui gli amici o i parenti si chiedano quale fine abbia fatto dal momento che non dà più notizie di sé. Come comanda il classico schema sempre utilizzato, il giovane percorre con la mente alcuni brevi flashback all’inizio del calvario e, mentre la disidratazione e la stanchezza iniziano a farsi sentire, sperimenta sogni e allucinazioni. Il film, nel tentativo di entrare nella mentalità del personaggio, li rappresenta come parti di una realtà semi onirica. Ha con sé anche una videocamera e registra un video-diario di alcuni suoi pensieri ed esperienze, con la speranza che chiunque trovi il suo corpo lo restituisca ai suoi genitori. La videocassetta esiste ancora. Anche se non è mai stata mostrata pubblicamente, Ralston ha permesso a regista e attore di vederlo per la preparazione alla realizzazione del film. Questo, insieme alle interviste e al libro autobiografico, fornisce la base della narrazione diventandone il soggetto.


James Franco, che è sullo schermo per quasi l’intero film (spesso in primo piano), offre la performance della vita, ribaltando la sua reputazione di attore di media levatura: lui porta tutto il peso del film con determinazione e convinzione, immedesimandosi completamente nel ruolo. Per più di un’ora siamo in un buco con lui e la tensione e l’intensità della sua performance riescono a tenerci sotto scacco. Se uno spettatore non conosce la storia vissuta del giovane ne resta rapito fino alla fine. L’eccellente interpretazione ci porta a capire perché ha scelto (occhio, piccolo spoiler) la strada dell’auto-amputazione come unica via di sopravvivenza. Inutile dire che quella scena non è roba da horror ma resta non facile da guardare e Boyle non la tronca, non gira la telecamera dall’altra parte e non fa nulla per ridurne l’impatto. Vediamo Aron rompersi entrambe le ossa dell’avambraccio, quindi usare uno strumento multiuso economico (il classico coltellino svizzero) per segare i tessuti molli. È una scena sanguinosa e poco piacevole. L’attendibilità realistica di questa sequenza la rende più difficile da guardare.


Danny Boyle riesce a documentare il calvario di Aron e a raccontare le difficoltà che ha affrontato mentre era nel crepaccio roccioso: temperature estreme, stanchezza fisica e mentale, numerosi tentativi falliti di liberarsi e l’angoscia di aspettare la morte. Il suo atto finale è stato in parte coraggio e in parte disperazione, e molti spettatori si chiederanno (pur sperando di non dover mai dare la risposta) se potrebbero fare qualcosa di altrettanto estremo in una situazione simile. Una cosa quasi del tutto assente (almeno per chi conosce la reale storia) è la suspense. Non solo sappiamo che il giovane sopravviverà, ma siamo consapevoli di come lo farà. Quindi guardarlo all’opera non è un esercizio per scoprire come vanno a finire le cose, ma per studiare i dettagli di ciò che è accaduto durante quei cinque lunghi giorni, per cui etichettare il film come un thriller o azione potrebbe essere fuorviante. Indipendentemente da ciò, Boyle ha realizzato comunque una pellicola singolarmente intensa che racconta in forma narrativa ciò che era noto, perlomeno per le news americane: un’affascinante storia di determinazione e sopravvivenza che merita di essere raccontata.


Riconoscimenti
Oscar 2011
Candidatura miglior film
Candidatura miglior attore protagonista a James Franco
Candidatura miglior sceneggiatura non originale
Candidatura miglior montaggio
Candidatura miglior colonna sonora
Candidatura miglior canzone (If I Rise)
Golden Globe 2011
Candidatura miglior attore in un film drammatico a James Franco
Candidatura migliore sceneggiatura
Candidatura miglior colonna sonora
BAFTA 2011
Candidatura miglior film britannico
Candidatura migliore regia
Candidatura miglior attore protagonista a James Franco
Candidatura migliore sceneggiatura non originale
Candidatura migliore fotografia
Candidatura miglior montaggio
Candidatura miglior sonoro
Candidatura miglior colonna sonora






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