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A 30 secondi dalla fine (1985)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 10 feb 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 26 apr 2021



A 30 secondi dalla fine

(Runaway Train) USA 1985, azione, 1h51'


Regia: Andrej Končalovskij

Soggetto: Akira Kurosawa

Sceneggiatura: Djordje Milicevic, Paul Zindel, Edward Bunker

Fotografia: Alan Hume

Montaggio: Henry Richardson

Musiche: Trevor Jones

Scenografia: Stephen Marsh

Costumi: Katherine Dover


Jon Voight: Oscar "Manny" Manheim

Eric Roberts: Buck

Rebecca De Mornay: Sara

Kyle T. Heffner: Frank Barstow

John P. Ryan: Warden Ranken

Danny Trejo: detenuto pugile


TRAMA: Manny è già scappato due volte di galera. È per questo che Ranken, il direttore del carcere di massima sicurezza di Stonehaven in Alaska, l'ha tenuto gli ultimi tre anni in segregazione. Manny però non si arrende e riesce a evadere di nuovo, questa volta attraverso le fogne, in compagnia di Buck. I due riescono a salire su un treno in partenza vuoto. Ma il macchinista muore poco dopo la partenza per un infarto, lasciando così il treno senza guida, lanciato a folle velocità contro un impianto chimico.


Voto 8

Prison movie al cento per cento, anche se la parte del film che si svolge nel durissimo carcere di sicurezza dura solo per i primi 26 minuti, fino al momento in cui i due fuggitivi escono dal tubo delle fognature del carcere e piovono nel gelido torrente dell’Alaska in pieno inverno. Tutto il tempo restante della durata Manny e Buck, in fuga disperata, lo trascorrono prigionieri altrove, in un treno lanciata a velocità folle e inarrestabile sui binari ghiacciati e innevati senza guida, dopo che il ferroviere della locomotiva è morto per infarto. Carcerati prima, prigionieri del destino a bordo del treno dopo, senza la possibilità di trovare una soluzione e di conseguenza una vera libertà, tanto sospirata nelle celle. Un’altra prigione, stavolta d’acciaio.

Buck è un delinquentello impetuoso e muscoloso ma inesperto, che sogna il colpo della vita. Manny è un uomo-roccia che non aspettava altro che terminare i tre anni di dura punizione subita dal coriaceo direttore del carcere, Frank Barstow, segregato in una cella a parte. Le intenzioni erano quelle di ammorbidirlo ma invece il risultato è stato, per un tipo come lui, quello opposto: “Ciò che non mi uccide mi rende più forte.Manny non si spaventa davanti a nulla, il carattere è forte come il suo fisico, è un solitario e nell’evasione che sta attuando non ha gradito la presenza di quel giovanotto che non conosce e che valuta come un pivello. Non è un suo partner, come tiene a precisargli, però, in un amaro discorso in un momento topico della trama, gli sciorina un predicozzo spietato e categorico. Buck racconta che ha il sogno di realizzare il colpo che lo arricchirà, per sistemarsi e vivere facendo la bella vita con i soldi in tasca.


La replica del protagonista è perentoria, che non ammette repliche. “Stronzate! Te lo dico io cosa farai. Ti troverai un lavoro, ecco cosa farai. Ti troverai un lavoro, uno di quei lavori che può trovare uno come noi. Passare le giornate a lavare le tazzine in un bar o a pulire i cessi e ti aggrapperai a quel lavoro come se fosse oro. Perché è oro! Quello è oro e tu devi stare a sentire. E quando il padrone entra alla fine della giornata e vieni a vedere come hai lavorato, tu non lo guarderai negli occhi, guarderai per terra, perché avrai una gran voglia di saltargli addosso, sbatterlo per terra e farlo urlare e farlo supplicare, piangere, e così guarderai per terra perché avrai paura di farlo, questa è la vita che ti aspetta, stronzo! Lui si guarderà intorno per controllare quello che hai fatto e dirà ‘Oh, c'è ancora una macchiolina laggiù, Cristo, è possibile che non l'hai vista? Prima di andare via quella merda me la levi!’ Proverai la rabbia che ti sale al cervello e pulirai quella macchia, ecco pulirai quella macchia bene finché non diventerà bello lucido e il venerdì ritirerai la tua busta paga. Se tu ci riuscissi, se tu ci riuscissi, potresti diventare presidente di una banca o quello che vuoi, se riesci a farlo!”

“Non io, amico, io non voglio fare quella vita di merda, allora me ne rimanevo in galera.”

“Allora peggio per te, ragazzo, peggio per te,”

“Tu, la faresti quella vita di merda?”

“Magari potessi, magari potessi…”

Una sequenza recitata da Jon Voight in maniera vigorosa, con gli occhi strabuzzati, da far venire i brividi, come ultima lezione da parte di un criminale senza scrupoli verso un giovanotto che al massimo gli fa tenerezza. In realtà, lui non prova nulla per nessuno, è un lupo solitario senza amicizie di cui non sappiamo né il passato né cosa farebbe se la sua evasione riuscisse. Nel frattempo, il treno viaggia ad una velocità che quel tratto non può sopportare, nella nebbia bianca del gelo e nella tormenta di neve.


Quasi tre decenni prima del treno lanciato a tutta velocità di Snowpiercer (recensione), microcosmo di una futura ipotesi di lotta di classe, Andrej Konchalovskij gira il suo secondo film americano portando sullo schermo un eccezionale soggetto di Akira Kurosawa raccontato quasi per intero su un altro treno. Un treno non affollato di gente disperata e pronta alla ribellione come quello di Bong Joon-ho, con invece solo pochissimi personaggi, disperati anch’essi ma per altri motivi e addirittura senza macchinista. Due evasi che non hanno paura di nulla e nulla da perdere, neanche se la loro fuga possa terminare nel peggiore dei modi. Con loro, a sorpresa, una donna, una dipendente delle ferrovie che si era addormentata a bordo che diventa, suo malgrado, una co-protagonista del folle viaggio.

Il ritmo che Andrej Konchalovskij impone allo sviluppo della fuga sui binari è terrificante e sfiancante, pare di assistere ad uno di quegli inseguimenti che hanno caratterizzato la filmografia di William Friedkin, ma con l’aggiunta che questa volta la caccia dell’inarrendevole direttore del penitenziario che si mette sulle tracce dei due fuggitivi dura tutta la lunghezza del film, facendolo diventare mozzafiato nel senso letterale della parola. Non c’è pausa, non c’è scampo: il treno è un missile sui binari tracciati in mezzo al freddo polare dell’Alaska, innevato come se il sole non compaia da un secolo.

Il temibile criminale Manny, impersonato dal perfetto Jon Voight, ha una faccia rossa e levigata dal gelo che lo sferza e due occhi fiammeggianti che fanno capire che lui non si fermerà per alcun motivo, a costo di lasciare cadaveri dietro di sé. Il partner (rifiutato) Buck è un Eric Roberts in palla che meglio non si poteva immaginare, degno compare in quanto a voglia di libertà e determinazione. Notevole, anche se le vengono concessi solo pochi minuti, la presenza di Rebecca De Mornay, grintosa e performante: i suoi occhi chiari sono due fari che bucano lo schermo. Compare perfino Danny Trejo, al suo primo film, attore che servì al regista per impartire lezioni di box sul set. Le candidature non mancarono sia agli Oscar che ai Golden Globe (quest’ultimo vinto da Voight) per questo imperdibile film denso di suspense, che prima dei titoli di coda manda significativamente una breve dialogo tratto da Riccardo III di Shakespeare:

– Non c'è bestia che sia tanto feroce da non conoscere almeno un briciolo di pietà.

– Ma io non la conosco, perciò non sono bestia.

Perfetta fotografia della forza fisica e mentale che accompagna in tutta la loro disperata fuga Oscar "Manny" Manheim eBuck.


 
 
 

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