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A Classic Horror Story (2021)

  • Immagine del redattore: michemar
    michemar
  • 24 lug 2021
  • Tempo di lettura: 6 min

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A Classic Horror Story

Italia 2021 horror 1h35’


Regia: Roberto De Feo, Paolo Strippoli

Sceneggiatura: Roberto De Feo, Paolo Strippoli, Milo Tissone, David Bellini, Lucio Besana

Fotografia: Emanuele Pasquet

Montaggio: Federico Palmerini

Musiche: Massimiliano Mechelli

Scenografia: Roberto Caruso

Costumi: Sabrina Beretta


Matilda Anna Ingrid Lutz: Elisa

Francesco Russo: Fabrizio

Peppino Mazzotta: Riccardo

Will Merrick: Mark

Yuliia Sobol: Sofia

Alida Baldari Calabria: Chiara

Cristina Donadio: capo della setta


TRAMA: Cinque carpooler viaggiano a bordo di un camper per raggiungere una destinazione comune. Cala la notte e per evitare la carcassa di un animale si schiantano contro un albero. Quando riprendono i sensi si ritrovano in mezzo al nulla. La strada che stavano percorrendo è scomparsa; ora c'è solo un bosco fitto e impenetrabile e una casa di legno in mezzo ad una radura. Scopriranno presto che è la dimora di un culto innominabile. Come sono arrivati lì? Cosa è successo veramente dopo l'incidente? Chi sono le creature mascherate raffigurate sui dipinti nella casa? Potranno fidarsi l'uno dell'altro per cercare di uscire dall'incubo in cui sono rimasti intrappolati?


Voto 7

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C’è un elemento originale e particolare che contraddistingue questo dagli altri film d’orrore ed è l’inserimento della leggenda di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, ancora poco conosciuta nel nostro paese. Eppure è proprio da questa storia che Roberto Saviano prende spesso spunto quando deve spiegare cos'è la mafia.

La leggenda, che ebbe inizio nella Spagna del XV secolo, racconta la storia di tre fratelli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso, appartenenti ad un'associazione denominata la Garduña. Un giorno, la sorella dei tre fratelli venne violentata da un protetto del Re e loro si vendicarono uccidendo lo stupratore. Per questo delitto “d'onore” vennero riconosciuti colpevoli di omicidio e furono condannati a scontare una lunga prigionia nella lontana isola di Favignana. Rinchiusi in una cella stretta e buia non si persero d’animo e lavorarono giorno e notte per stabilire le regole di una nuova società basata su leggi di sangue e di guerra che avrebbero consentito a tutti i futuri adepti di crescere e moltiplicarsi. Finalmente liberi, dopo trent'anni di prigionia, i tre cavalieri si separarono: Osso decise di restare in Sicilia per divenire il fondatore di Cosa Nostra; Mastrosso, attraversato lo Stretto di Messina, si accasò in Calabria dove gettò le basi per la creazione della 'Ndragheta; Carcagnosso proseguì la sua risalita lungo lo stivale fermandosi in Campania dove diede vita alle primordiali strutture malavitose della Camorra. Nel film la leggenda dei tre è rappresentata sotto forma di culto religioso, con i “Tre Cavaleri d'anuri” (Tre cavalieri d'onore) che appaiono come tre Dei, tre figure sacre venerate da una misteriosa comunità di persone, nel Sud Italia.

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Dopo la buona riuscita e il discreto successo di The Nest (Il nido) (recensione), primo lungometraggio di Roberto De Feo, il regista decide di affrontare un soggetto ancora più forte, affondando ancora di più nel genere, recuperando quel modo di girare l’horror come accadeva da noi negli anni ‘70/’80, periodo dopo il quale in Italia questi progetti persero quota di investimento e mercato, nonostante il notevole export che si era verificato. Con la collaborazione del giovane esordiente Paolo Strippoli, la co-regia ha puntato tutto sull’omaggio ai classici italiani e rivisitandoli con nuovi innesti più moderni e specifici della nostra italianità, fino al punto di inserire appunto quell’elemento sociale che si chiama criminalità organizzata. Già dal titolo si deduce che i due autori si rifanno al classico e lo si nota immediatamente quando ci si trova con le tipiche caratteristiche del genere, anche ispirandosi ai migliori film e registi che hanno marcato questa zona: una casa nel bosco, una fitta vegetazione da cui è difficile uscire, nebbia notturna, personaggi mascherati che non preannunciano nulla di buono. C’è molto del cinema classico di paura e l’idea dell’ambiente creato è ben immaginato e realizzato. La casa al centro della radura dove si svolge buona parte del film è una costruzione con tetto a punta che ricorda parecchio quella di una chiesa, per giunta colorata di rosso che richiama ampiamente il colore del sangue. Indubbiamente fa impressione il lato musicale, perché in un’ambientazione di questo tipo ci si meraviglia a sentire sin dall’inizio le note e la voce dei successi di Gino Paoli (Il cielo in una stanza si rivela come una nenia dolcemente disturbante), per giunta maggiormente accentuato in un momento topico dalla ballata immortale di Sergio Endrigo e la sua casa in via dei Matti al numero zero. Un contrasto che irride una sequenza di alta tensione e che non preannuncia nulla di buono: in fondo, quella maledetta casa di legno è talmente piena di misteri e oggetti strani che mette paura solo a guardarla.

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Ma che ci fanno nei dintorni di quel posto maledetto quelle cinque persone così diverse tra loro? Come ci sono capitate? Come mai, uscendo di strada con il caravan per evitare la carcassa di un animale, sbattendo contro un albero, si sono risvegliati dopo il botto in un posto diverso? Una magia? Un incubo? Un diabolico piano ordito per farli cadere in trappola? E a che scopo? I due bravi registi ci stupiscono perché quando il film ci sembra il rituale cliché dell’horror danno una svolta inattesa scoprendo le carte di un componente la compagnia e si svela un movie in the movie che sorprende non poco. E toccherà alla grintosa Matilda Lutz, che già aveva mostrato la sua predisposizione alla disperata sopravvivenza in Revenge (recensione): ferita, sanguinante, angosciata, disposta a tutto per vendere cara la pelle. Come in quella occasione, la sua Elisa si rialza dal buio dell’imminenza estrema per reagire duramente, con la sola forza del carattere. I primi piani dedicati ai cinque protagonisti ne spiegano continuamente il temperamento, la personalità, le debolezze, gli attimi di incertezza, facendoceli conoscere intimamente, ma le montagne russe che percorre la sorprendente trama farà perdere ogni certezza e solo chi ha la forza e la fortuna riesce a salvarsi dal massacro della setta che abita quella foresta misteriosa e inospitale.

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Inevitabile andare con il pensiero al riuscito Midsommar (recensione) che, come questo film, dispiega le ali del terrore man mano che si sviluppa la storia, la vicenda di gente che immagina di fare una vacanza diversa e che invece si ritrova al centro di riti satanici e cruenti, inevitabilmente mortali. Ma la bellezza del film è che, sebbene le varie citazioni cinefile, crea situazioni che lo spettatore non si aspetta e quando tutto sembra perduto ecco prima il disvelamento del mistero di un autista impacciato e continuamente preso in giro, poi le decifrazioni della situazione anomala da incubo notturno, ed infine l’attesa reazione per venirne fuori. Ma non per tutti. Osso, Mastrosso e Carcagnosso sono gli dei, i numi tutelari che incombono tra una vegetazione che non ha vie d’uscita, che non ha confini se non nella mente, che impongono riti prefissati dalla loro insana fede. Roberto De Feo e Paolo Strippoli dispiegano la loro passione cinefila mostrando da un lato la pornografia del dolore e dall’altra la spettacolarizzazione della morte, concetti che nel film vanno per forza a sovrapporsi. La loro bravura è stata anche la scelta di quella che ormai in Italia si sta rivelando come la scream queen, la già citata Matilda Lutz, la quale si sta creando una carriera d’attrice con fisionomie ben precise, suscitando la mia curiosità, nel frattempo, nel vederla in altri generi e tipi di film. Azzeccata è pure la scelta di Francesco Russo nel ruolo centrale di Fabrizio, l’autista calabrese che si mostra disponibile con tutti. Anche troppo. Ma la vera sorpresa nel cast è un attore di talento sempre posto in secondo piano ma che, quando deve esibirsi in ruoli importanti, sa dare il meglio di sé: Peppino Mazzotta, che dal piccolo e simpatico Fazio del commissario Montalbano è passato da quel bel personaggio nel bellissimo Anime nere (recensione). In questa occasione, completamente trasformato, si mangia tutta la scena dando prova delle sue molteplici doti di ottimo attore. Bravo davvero. Tra gli altri attori (buone le presenze di Will Merrick, Yuliia Sobol e Alida Baldari Calabria) spicca un cameo di Cristina Donadio, giusto tocco di camorra (o Gomorra).

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Una bella sorpresa questo film, di certo fuori dai soliti schemi del cinema italiano, un film di genere con cinque piccoli indiani destinati per definizione al rito sacrificale ma che riserva non poche svolte imprevedibili come succede sempre quando c’è un film nel film, soprattutto perché il primo dei due non è riservato alle sale pubbliche ma alla lugubre ludoteca di una setta pericolosa assetata di lingue, orecchie e occhi. Tre mostri non proprio benigni e non in linea con quelli di Guillermo Del Toro.

“...Era bella, bella davvero/in via dei Matti, numero zero…”


 
 
 

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