A Good Person (2023)
- michemar

- 1 giu 2023
- Tempo di lettura: 6 min

A Good Person
USA/Canada 2023 dramma 2h8’
Regia: Zach Braff
Sceneggiatura: Zach Braff
Fotografia: Mauro Fiore
Montaggio: Dan Schalk
Musiche: Bryce Dessner
Scenografia: Merissa Lombardo
Costumi: Tere Duncan
Florence Pugh: Allison
Morgan Freeman: Daniel
Celeste O'Connor: Ryan
Molly Shannon: Diane
Chinaza Uche: Nathan
Zoe Lister-Jones: Simone
Nichelle Hines: Molly
Toby Onwumere: Jesse
Ignacio Diaz-Silverio: Quinn
Oli Green: Thomas
Alex Wolff: Mark
TRAMA: Allison è una giovane donna promettente con una carriera davanti, un fidanzato amorevole e una cerchia ristretta di familiari e amici. Tuttavia, la sua vita prende una brutta piega quando deve affrontare una tragedia straziante che la porta a combattere contro una tossicodipendenza e alle prese con un dolore irrisolto. Nonostante le sfide che la attendono, trova conforto e forza nel rapporto con il futuro suocero, che diventa il suo impensabile alleato nel viaggio verso la guarigione e il recupero.
Voto 6,5

Allison (Florence Pugh) è una giovane donna spensierata che danza lungo la superficie della vita e non pensa troppo alle sue scelte: è felicemente fidanzata con Nathan (Chinaza Uche), ha un buonissimo impiego come rappresentante di un'azienda farmaceutica che le rende ottimi guadagni, convinta che il suo lavoro non è immorale perché l'unico farmaco che sta spingendo è prescritto per una malattia della pelle. Ormai prossima al matrimonio, un giorno porta la futura cognata e suo marito in città per essere aiutata a scegliere l’abito da sposa ma nel tragitto, per alcuni secondi, distoglie gli occhi dalla strada per guardare la mappa sul suo cellulare, proprio nel momento in cui una scavatrice sta facendo manovra nel cantiere al lato della strada. Non riesce ad evitare la collisione e si verifica un grave incidente in cui lei resta ferita e i due passeggeri perdono la vita. Un anno dopo, vediamo che la figlia adolescente della coppia deceduta Ryan (Celeste O'Connor) vive con il nonno, Daniel (Morgan Freeman), mentre la vita di Allison si è prosciugata in un totale abbandono, trascorrendo tutti i giorni sul divano in casa della madre Diane (Molly Shannon) nella nebbia mentale provocata dalla dipendenza da ossicodone in compresse, un antidolorifico oppiaceo, alla continua ricerca di un ottundimento che possa intorpidire il suo dolore emotivo e fisico causato dalla disgrazia. Sentendosi responsabile, per non ammettendo colpe relative all’incidente, si è lasciata andare completamente e ha rotto con il fidanzato, non lavora più, si è imbruttita nella rinuncia alla vita. le sue alternative sono l’alcol e le compresse, e magari, occasionalmente, qualche sostanza tossica.

La scena iniziale girata da Zach Braff ci mostra la precisione e la pazienza con cui il mancato suocero Daniel - un ex poliziotto che ha vissuto la maggior parte della sua esistenza da alcolizzato, da cui sta uscendo frequentando un centro di Anonimi Alcolisti – dedica molto tempo alla passione del modellismo. Al piano sotterraneo ha costruito negli anni un grande miniatura di un paesaggio con un bellissimo trenino elettrico che attraversa stazioni, gallerie, costeggiando abitazioni e parchi, tra cui il liceo presso cui dette il primo bacio alla sua prima ragazza, e tanti pupazzetti che raffigurano le persone a lui care. È la dimostrazione plastica e figurativa di come la precisione e la meticolosità del modellismo e dei trenini possano far dimenticare il disordine e il caos del mondo e della vita quotidiana che restano fuori, mentre la pace domestica e l’idealizzazione della tranquillità e della normalità regnano in casa, dimenticando le disgrazie accadute. “Nella vita, naturalmente, nulla è pulito e ordinato”. Daniel tratta la nipote al meglio possibile, dandole tutto l’affetto che un’orfana necessita. Ryan è una bella adolescente espansiva ed affettuosa ma irrequieta, soprattutto a scuola, dove sfoga la mancanza dei genitori. Il nonno adotta qualsiasi metodo per renderla felice ma le discussioni che nascono in casa lo fanno sentire impotente e non poche volte è tentato di non mantenere la promessa di restare astemio. Quel grande modello a cui dedica tanto tempo non è solo uno sfogo o un hobby: per lui rappresenta anche e soprattutto il modello di vita che avrebbe sognato e in cui ricostruisce, con gli omini e gli oggetti, quello che avrebbe voluto fosse accaduto nella sua esistenza. Quella miniatura semi vivente è la terapia per dimenticare un padre perennemente ubriaco e violento che lo picchiava in ogni occasione, è la rappresentazione dei sogni mai realizzati. Compresa la violenza che aveva ereditata e che aveva sfogata sul figlio Nathan, il promesso sposo di Allison, fino a colpirlo selvaggiamente e fargli perdere l’udito ad un orecchio.
Daniel e Allison non si sono più incontrati dopo l’incidente ma un giorno, quando la ragazza prende la decisione di salvarsi dallo stato di torpore, si reca in un centro di ascolto che è proprio quello che frequenta l’anziano uomo. È la prima volta che hanno modo di guardarsi in faccia e si rivela traumatico, ma con uno sforzo da parte di entrambi cercano di evitare ulteriori rimproveri ed iniziano una difficoltosa frequentazione, con cui la donna viene in contatto con la giovane Ryan ancora piena di rancore. Quest’ultima la ritiene colpevole di averla resa orfana ed il primo impatto è devastante. Questi alti e bassi nella vita di Allison, tra tentativi di rimettersi in carreggiata e i respingimenti dei mancati congiunti, la fanno sbandare. Tornare a richiedere il farmaco senza prescrizione e cercare qualche dose di eroina è diventato un passo facile da compiere. Il mondo, che sembrava rimettersi in sesto, torna a crollare. Sia per lei, sia per lui, scosso anche dalle dure reazioni della nipote, suo unico bene al mondo.
Zach Braff, noto attore di commedie tipicamente americane, è al suo quarto lavoro da regista e dopo il suo primo e maggiore successo (La mia vita a Garden State) e un paio di non eccezionali prodotti si è dedicato a questo dramma profondamente toccante, una storia, peraltro, non facile da scrivere e far descrivere al cast scelto, tra cui primeggia in assoluto la prova della sua ex fiancée, la dotatissima Florence Pugh. La sua sceneggiatura ha qualche problema strutturale e spende molte energie sulla dipendenza dei due principali personaggi, riducendo di conseguenza gli sviluppi necessari della trama e delle relazioni tra le persone. Si basa, tra l’altro, su meccanismi troppo spesso visti: il personaggio che si guarda allo specchio rendendosi conto di quanto sia peggiorato fisicamente e mentalmente, che si odia, che riflette se salvarsi o tuffarsi definitivamente nell’inferno ne è un esempio. In molte occasioni le scene si ripetono e il regista ha rischiato di infossarsi in un giro vizioso, ma l’argomento è forte e drammatico e necessitava di una sceneggiatura robusta di uno scrittore esperto. Se il film si tiene in piedi, se aggancia bene l’attenzione e rende sufficientemente il dolore che abita in maniera stabile in Allison, Daniel, Nathan e Ryan, il merito maggiore e sostanziale è della eccezionale recitazione di Florence Pugh, a cui va aggiunta quella eccellente di Morgan Freeman. Lei è molto talentuosa e lo ha dimostrato in ogni occasione e non manca di farlo neanche in questa occasione, esibendo l’intero suo repertorio di varie tonalità di voce a seconda dell’umore che investe il suo personaggio complesso: spirito allegro con registro più alto contro quello depresso con basse tonalità, da grande interprete. In più, una inaspettata ottima prestazione canora in alcuni brani (che Allison scrive da sé come cantautrice anche da piano bar) a cui riesce abilmente a dare un’impronta blues che sorprende. Mentre suona il pianoforte. Mica male!

Per quanto riguarda invece il grande Morgan Freeman, finalmente un ruolo non abituale e quindi non il solito maggiordomo irreprensibile, il segretario affidabile, il saggio prodigo di consigli e via dicendo, ma una figura di uomo di carattere, con un passato turbolento, un presente difficile da vivere, con diversi problemi familiari e psicologici che lo induce ad essere riflessivo, per sé e per la adorata nipote. Una recitazione compassata, come è nel suo stile, e drammatica, che elargisce pochi sorrisi, dedicati principalmente alla sua Ryan e, quando le cose vanno per il meglio, anche ad Allison. I dialoghi tra i due protagonisti sono il pezzo forte del film e sono recitati in modo magnifico in una serie di duetti pieni di rancore e diffidenza, ma anche di buona volontà quando capiscono che per il bene di tutti è necessaria una migliore predisposizione l’uno verso l’altro. Perché lui è davvero una brava persona, in fondo, anche se solitamente “Le persone ferite feriscono le persone”. Elogio a parte per la pimpante Celeste O'Connor, davvero brava e incisiva, una bella sorpresa.

Forse perché più abituato alla commedia sin da quando è attore, Zach Braff non ha avuto il miglior approccio con il drammatico, schiacciando un po’ troppo il pedale della tragedia, insistendo oltre il livello di guardia del cliché già visto, affondando le mani nella poltiglia dei sensi di colpa e del risentimento della controparte. Ma si sa, il dramma è un campo minato pieno di insidie dove ci vuole esperienza e delicatezza per riuscire a piacere a tutti e non sbagliare. E difatti, la critica non lo ha risparmiato e lo ha bersagliato, ma in ultima analisi il film non mi è dispiaciuto e, perlomeno, merita attenzione se non altro per la prova dei due attori citati e se per Morgan Freeman è scontato il giudizio positivo, per la magnifica Florence Pugh vale sempre la pena vederla all’opera (è anche bella) e soprattutto sentirla, essendo così brava.
P.S. Consiglio di evitare il doppiaggio, altrimenti meglio non vederlo (o meglio, non sentirlo), assolutamente disastroso.













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