A Mistake (2024)
- 1 giorno fa
- Tempo di lettura: 4 min

A Mistake
Nuova Zelanda / UK 2024 dramma 1h41’
Regia: Christine Jeffs
Soggetto: Carl Shuker (romanzo)
Sceneggiatura: Christine Jeffs
Fotografia: John Toon
Montaggio: Paul Maxwell
Musiche: Haim Frank Ilfman
Scenografia: Gary Mackay
Costumi: Kirsty Cameron
Elizabeth Banks: Elizabeth Taylor
Simon McBurney: Andrew McGrath
Richard Crouchley: Richard
Mickey Sumner: Robin
Fern Sutherland: Jessica
Joel Tobeck: Alistair
Emmett Skilton: Alexander Colton
Matthew Sunderland: Owen
Rena Owen: Tessa
TRAMA: Dopo che è stato implementato un nuovo programma per rendere pubbliche le prestazioni dei medici, la vita della chirurga Elizabeth Taylor va a rotoli quando i superiori si rivoltano contro di lei per un caso difficile.
VOTO 6

“È la stampa, bellezza!” esclamava l’Ed Hutcheson di Humphrey Bogart in L’ultima minaccia, ricordando che non ci si poteva fare niente. Oggi, cambiando terreno dalla stampa alla sanità, per come evolvono le politiche dei governi moderni che destinano più soldi alle armi che alle strutture sanitarie (l’America, come altri Paesi, è una storia a sé se non hai una carta di credito o un’assicurazione), si potrebbe ripetere la celebre frase: è la sanità, bellezza, ed è privata più che mai. E come si deve comportare una clinica per attrarre investimenti e dimostrare non solo di essere migliore delle altre ma anche più efficiente? Semplice: avere o dire di avere i numeri migliori nel campo degli interventi chirurgici, dei decessi, delle guarigioni, delle prestazioni. E se non sono buoni li si fa apparire tali. Semplice.
Il film di Christine Jeffs può sembrare di primo acchito un dramma ospedaliero, dove una notte, in una città della Nuova Zelanda, mentre la protagonista, la chirurga Elizabeth Taylor (Elizabeth Banks), sta riposando nel lettino di servizio quando le giunge la chiamata urgente per una paziente appena ricoverata, in piena setticemia con interessamento di vari organi ventrali. Necessitando di una laparoscopia per capire l’entità dell’infezione, la dottoressa la porta in sala operatoria assieme allo staff e allo specializzando Richard, a cui affida l’inserimento di uno strumento nel corpo della paziente. Un gesto maldestro del 26enne causa una pesante emorragia interna, interessando la vena cava, il vaso sanguigno più grande del corpo umano, e si verifica la necessità di intervenire per rimediare. Purtroppo. lo stato di salute della ricoverata era già preoccupante prima ed ora lo è ancor più e nella notte l’infezione, ormai diffusa, le causa il decesso.
Fin qui, purtroppo, è tutto normale, succede, soprattutto nei casi disperati, ma il caso specifico è particolare in quanto la manovra del dottorando, durante il primo intervento, è stata maldestra e anche +se la morte non è stata causata da ciò, il giovane ne risente moltissimo psicologicamente, attribuendosi una colpa non sua. È figlio di un famoso chirurgo e non vuole deludere il padre, e ciò gli causa forte preoccupazione. A nulla serve il sostegno dell’esperta Liz, che gli spiega che in fondo la responsabilità è solo sua, sia in quanto capo dell’équipe, sia perché è stata lei stessa ad incaricarlo. È una donna calma e navigata, conosce bene il suo lavoro e i rischi che comporta: a volte l’ammalato si perde e le cause possono essere tante.
Dopo aver dovuto affrontare i genitori della ragazza per dare gli ovvi e dovuti chiarimenti, i veri fastidi per Elizabeth arrivano dai dirigenti della clinica che vogliono sapere cosa sia davvero successo nella sala operatoria e nella notte in rianimazione, ma la tranquillità e le delucidazioni della chirurga non bastano per calmare le acque. La spiegazione dell’agitazione dei capi risale al fatto che è prossima la pubblicazione dei dati statistici sulle prestazioni della clinica e il decesso avvenuto rovinerebbe i numeri da rendere noti. La soluzione egoistica è quella di addossare la colpa al giovane Richard in modo da salvare la faccia alla clinica e al suo efficiente staff medico. Quello che interessa ai responsabili è solo la reputazione e che ci vada di mezzo un medico non importa: servono colpevoli e non risposte logiche.
Sul corpo di una paziente deceduta si svolge una battaglia nell’ambito di un sistema, quello attuale, che non ammette etica e non concede giustificazioni scomode. Sembrava un film su un dramma sanitario ed invece è l’ennesima operazione poco chirurgica e più di convenienza economica e di facciata, lasciando sul campo più di un cadavere. Con tanti saluti al giuramento di Ippocrate e al principio morale che impegna un medico a rispettare l’etica della sua professione.

Presentando il caso alle riviste scientifiche e alla stampa come la conseguenza del burnout di un giovane chirurgo ancora immaturo vuol dire venir meno a quel sacrosanto principio e se questo va bene per il direttore sanitario Andrew McGrath (Simon McBurney) e per lo staff dirigenziale della clinica, crollano le certezze e l’onesta intellettuale di Liz, che si ribella. Ora è in gioco la sua professione e deve fare una scelta dolorosa.

Venendo meno anche il sostegno della sua compagna Robin (Mickey Sumner), lei è ancor più sola, nella vita e nella decisione da prendere. Cosa vale di più per una chirurga coscienziosa, di cui tutti conoscono la credibilità e la bravura? La regista Christine Jeffs mette in chiaro le dinamiche interne di un ospedale dove la medicina intreccia la burocrazia, la paura legale, le politiche aziendali, mentre la vita di un paziente e il suo caso umano non è altro che un numero da inserire nella casistica. È la sanità moderna, bellezza!

La regia è onesta, brava pure nelle sequenze operatorie, dirigendo con zelo una eccellente Elizabeth Banks, la quale fornisce un’interpretazione intensa e credibile. A Simon McBurney tocca, come sempre. il ruolo dello stronzetto, avendo la faccia adatta. Curioso sentire nello stesso ambiente di lavoro le cadenze di lingua britannica, americana e neozelandese.
Il film non è nulla di speciale ma si fa apprezzare per la chiarezza e la spietatezza, ma soprattutto per mettere alla luce del sole quello che succede oggi nel mondo sanitario.