L’innocenza (2023)
- michemar
- 9 ore fa
- Tempo di lettura: 6 min

L’innocenza
(Kaibutsu) Giappone 2023 dramma 2h7’
Regia: Hirokazu Kore-eda
Sceneggiatura: Yūji Sakamoto
Fotografia: Ryūto Kondō
Montaggio: Hirokazu Kore’eda
Musiche: Ryūichi Sakamoto
Scenografia: Seo Hyeon-seon
Costumi: Kazuko Kurosawa
Sakura Andō: Saori
Eita Nagayama: Hori
Soya Kurokawa: Minato
Yota Hiiragi: Yori
Mitsuki Takahata: Hirona
Akihiro Tsunoda: vicepreside Shōda
Shidō Nakamura: Kiyotaka
Yūko Tanaka: preside Fushimi
TRAMA: Quando il figlioletto Minato inizia a comportarsi in maniera strana, la mamma percepisce che c’è qualcosa che non va. Dopo aver scoperto che è un insegnante a essere responsabile per questo comportamento, si precipita a scuola pretendendo di sapere cosa stia succedendo.
VOTO 7

Minato, che ha 11 anni e vive con la madre vedova, inizia a comportarsi in modo strano e torna da scuola sempre più avvilito. Tutto lascia pensare che il responsabile sia un’insegnante, solito ricorrere a punizioni troppo severe. A questo punto la madre si precipita a scuola per scoprire cosa stia succedendo, ma la verità si rivelerà essere un’altra e i fatti sveleranno una profonda e toccante storia di amicizia. Tutto ha inizio una sera in cui la signora Saori, madre vedova, udendo le lancinanti sirene dei pompieri, nota dal suo balcone un enorme incendio scoppiato in un grande palazzo poco distante e chiama suo figlio Minato per mostrarglielo. In quel momento il ragazzino, che frequenta la quinta elementare, le chiede a bruciapelo: “Se ti trapiantano un cervello di maiale, se un uomo o un maiale?”. Alla madre stupefatta dalla domanda spiega che a scuola stanno facendo una ricerca e il quesito lo ha posto il suo insegnante Hori. In seguito, il comportamento diventa gradualmente preoccupante, abbastanza bizzarro, con alcuni atteggiamenti e stranezze non consueti per lui, come per esempio accorciare improvvisamente i lunghi capelli, perdere una scarpa e altre cose simili senza mai dare una plausibile giustificazione, preferendo il mutismo o la reticenza. Quando Saori insiste nell’indagine, alle strette il figlio ammette che il suo maestro Hori gli ha confermato che il suo cervello è stato sostituito con uno di maiale.

Come farebbe ogni genitore preoccupato, la donna decide di recarsi a scuola e denunciare la situazione. Ricevuta dalla preside, la quale ha nel frattempo un serio problema familiare per una perdita gravissima, e da alcuni insegnanti, tra cui proprio il discusso Hori, ha poca soddisfazione se non il profondo rammarico di questi che, come rientra nella cultura orientale, si inchinano rispettosamente per chiedere scusa. Ovvio che questo non può bastare se non si prendono seri provvedimenti, soprattutto nei riguardi del maestro scorretto. Ma è davvero così? Quante volte i genitori scoprono che i figli raccontano balle fantasiose per giustificare le loro marachelle? Il serio problema è che invece tante altre volte quei comportamenti anomali nascondo profondi disagi che li fanno soffrire: violenze fisiche o psicologiche, abusi di vario tipo, maltrattamenti. È un campo minato, è un terreno scivoloso: può essere la spia di allarme in ogni caso. O perché l’adolescente sta soffrendo o perché vuol far male a qualcuno. Allo stesso tempo, la donna scopre un rapporto da chiarire con uno degli amici del figlio, Yori, che, a quanto sembra, viene continuamente bullizzato in classe da alcuni alunni, forse perfino da Minato, il quale però glissa, ma soprattutto non lo aiuta e non lo conforta confidandogli l’affetto che in realtà prova per lui.

Un dramma familiare ed educativo che vira al thriller mentale che il buon Hirokazu Kore-eda tratta preferendo mostrare il punto di vista dei tre soggetti in discussione, legati dalla costante presenza di Saori. La prima parte, quella che si sviluppa sin dall’inizio, è appunto quello del piccolo Minato; la seconda è quella del maestro Hori, che si rivela essere non il mostro dipinto dal ragazzino e così creduto dalla mamma e dal corpo insegnante, ma un giovane educato e sensibile, che si è dato da fare con ogni mezzo per proteggere i più deboli della classe e che gli infortuni occorsi sono stati del tutto casuali. La terza versione è quella del povero Yori - figlio unico di padre single, anche lui - che, per i suoi atteggiamenti angelici, magari effeminati, sopporta le angherie subite sempre con il sorriso, considerandosi come un predestinato al sacrificio, prendendosela con filosofia e mai abbattendosi, potendo contare, perlomeno, nell’amicizia di Minato, che però, spesso, si defila per non sfidare il branco.

Queste tre angolazioni dei fatti, montate come sempre dallo stesso regista con stacchi secchi, tanto da dover indurci ad intuire da soli dove inizia uno e quando l’altro, verificano sempre meglio la realtà della storia, chiarendo sempre più come si sono svolte le varie vicende, ma sempre con lo stesso principio conduttore e cioè la domanda fissa che predomina la visione. Partendo dal titolo originale coreano che sta per “mostro”, molti dei personaggi si pongono coscientemente o involontariamente la domanda dove e chi sia tale mostro. Chi ha appiccato l’incendio al palazzone, Minato, che porta nello zaino un accendigas? Chi ha fatto insanguinare il naso di Minato, Hori che è stato definito un insegnate violento e dalle maniere scorbutiche? Chi ha veramente causato la morte della nipotina della preside, investita dal marito, immolatosi per salvare la carriera della moglie, o è stata lei stessa e non vuole confessarlo? Perché i compagni di classe bullizzano un inoffensivo ragazzino? Sono loro? Perché Minato non lo difende, è anche lui un mostro?

Dove sono i mostri del film e quindi della nostra esistenza? Sono in tutti noi, anche negli innocenti ragazzini di questa trama o sono al di fuori, negli altri che ci avvicinano e rovinano i buoni rapporti che abbiamo instaurato? Minato e Yori sono piccoli ragazzini eppure la domanda, inconsciamente, se la pongono e forse per questo preferiscono, finalmente, dedicarsi l’uno all’altro scappando nel bosco e rifugiandosi in un treno abbandonato su un tratto di ferrovia di binari morti. La scelta si rivela una liberazione dai condizionamenti del mondo lontano, che sta dall’altra parte della galleria attraversata, ma loro, sporchi di fango, sono felici e vicini senza l’assillo del maestro, della mamma, del papà. E di chi ha messo in giro la storia del cervello di maiale.

Ancora una volta, Hirokazu Kore-eda affronta le relazioni familiari, le fratture sociali, gli strappi tra genitori e figli, i legami di sangue: sono questi i terreni in cui ama seminare le sue sceneggiature (stavolta, eccezione, affidandosi a Yūji Sakamoto, scrittore prolifico e di successo di serie TV) e lo fa insinuando il dubbio, le varie visuali di una storia non chiara, che ognuno legge solo con i propri occhi e non con l’obiettività necessaria. La verità (come il titolo di uno dei suoi film precedenti) è sempre diversa da quella superficiale che pare sommariamente, e gli occhi e la mente di chi non sa guardare veramente vengono facilmente ingannati. Le persone tendono a considerare mostruoso ciò che non comprendono. Un celebre modo di dire giapponese, come dice il regista, ammonisce sul fatto che, quando chiudendo una camicia si infila il primo bottone nell’asola sbagliata, si abbottona male tutto il resto. Un errore di valutazione un pregiudizio, possono produrre cose gravi. Partire con il piede sbagliato comporta spesso trasformare un piccolo errore in un grande disastro.

Ciò che conta maggiormente in questo bel film sono le emozioni dei protagonisti, dei due bambini che si impossessano della narrazione raccontando un’amicizia profonda e un amore puro, nel tentativo di sconfiggere mostri reali come l’abbandono e la violenza domestica.
9

Il finale è molto bello ma l’ultimo brano che accompagna i titoli di coda lo è di più, con le note meravigliose di Ryūichi Sakamoto che è venuto a mancare poco prima dell’uscita del film, che per questo è dedicato a lui.

Il grande Hirokazu Kore-eda dirige un cast, per noi certamente sconosciuto, ancor più per via della presenza dei giovanissimi, che è un’orchestra che suona a meraviglia e tutto funziona come una melodia. Colori gentili come se provenissero da un film d’animazione giapponese, strade e arredamenti che abbiamo imparato a conoscere guardando il bel cinema orientale, sentimenti veri e falsi, bugie e verità, spesso nascoste, bimbi e adolescenti in famiglie non sempre ordinarie.
Il cinema di un maestro sensibile.
Riconoscimenti
Festival di Cannes 2023
Miglior sceneggiatura
Queer Palm
Premi a Chicago, Stoccolma, Vancouver e varie candidature sparse nel mondo.
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