A Real Pain (2024)
- michemar
- 11 minuti fa
- Tempo di lettura: 7 min

A Real Pain
USA, Polonia 2024 dramma 1h30’
Regia: Jesse Eisenberg
Sceneggiatura: Jesse Eisenberg
Fotografia: Michał Dymek
Montaggio: Robert Nassau
Musiche: Fryderyk Chopin
Scenografia: Mela Melak
Costumi: Malgorzata Fudala
Jesse Eisenberg: David Kaplan
Kieran Culkin: Benjamin “Benji” Kaplan
Will Sharpe: James
Jennifer Grey: Marcia
Kurt Egyiawan: Eloge
Liza Sadovy: Diane
Daniel Oreskes: Mark
TRAMA: David e Benji, due cugini americani di origine ebrea, si recano in Polonia dopo la morte della nonna per visitare i posti da dove proviene la loro famiglia, partecipando ad un tour sui luoghi dell’Olocausto.
VOTO 7,5

Quando si porta sullo schermo la storia della propria famiglia, un autore (e Jesse Eisenberg lo sta davvero diventando) rischia sempre di strafare, di raccontare troppo o troppo poco, di abusare di sentimentalismo su emozioni private, di raccontare particolari che potrebbero non interessare lo spettatore. Ed invece il giovane sceneggiatore e regista, nonché ovviamente attore, si espone superando magnificamente la prova e ci regala una storia emozionante e coinvolgente. Un po’ per merito suo, un po’ per come l’Olocausto trascini ogni volta il pubblico nel coinvolgimento anche per i fatti personali. Se all’inizio non si capisce subito perché uno dei due protagonisti tempesti l’altro con messaggi vocali il compagno e l’altro non risponde, ben presto – basteranno pochi minuti – saranno chiari i caratteri e i conseguenti comportamenti di entrambi, lontani di temperamento come i due poli terrestri.
David Kaplan (Eisenberg), un ebreo di New York parte per una sorta di pellegrinaggio spirituale verso la Polonia per visitare la vecchia casa della nonna recentemente scomparsa. Non sarà solo, gli farà compagnia il suo effervescente cugino Benji Kaplan (Kieran Culkin). I due, un tempo molto uniti, non si vedono e frequentano da tempo, ma la loro unione, radicata dall’adolescenza, è sempre forte. Hanno caratteri e vita sociale molto differenti e, quando le vecchie tensioni di questa strana coppia riemergono sullo sfondo della loro storia familiare, tutto prende una piega inaspettata.
All’inizio del film siamo all'aeroporto internazionale JFK dove Benji è seduto placidamente nella sala d’aspetto in attesa che arrivi il cugino David per poter imbarcarsi sul volo. Utilizzando i fondi lasciati dalla loro defunta nonna, i Kaplan hanno pianificato un tour del patrimonio genetico ebraico attraverso la Polonia nella speranza di vedere la casa in cui ha vissuto la nonna che ha lasciato loro un gruzzolo per questo viaggio dell’anima. Se Benji è uno spirito libero e schietto, un tipo indipendente e libero dagli obblighi morali della società, un vero rompipalle pronto a muovere critiche a ciò che vede e non approva, che si emoziona anche facilmente, disoccupato e nessuna intenzione di trovar lavoro, che non ci pensa due volte a portarsi in camera un panello di erba; David è un padre di famiglia pragmatico con moglie e figlioletto, vita agiata permessa dalla sua professione di marketing digitale con appartamento nel centro di NY, ligio alle regole e al dovere, riservato, sensibile, che passa il tempo cercando di lottare con gli sfoghi senza filtri del cugino, chiedendo lui scusa agli altri al posto suo.
Come fanno a convivere questi due caratteri così distanti? Semplice: si vogliono bene da sempre e dopo ogni litigata son capaci di abbracciarsi, con tutta la comprensione di David, che si sente addirittura in colpa per avere una vita più facile rispetto all’altro e quindi, a maggior ragione, gli dedica attenzione e gli offre spesso la spalla, nonostante le ribellioni e i rifiuti che subisce. Ma qual è la reale pena che li affligge, specialmente il più turbolento e ipercinetico Benji? È quel senso di perseguitati che insegue e ammanta la vita di un ebreo, che viva in Europa, ancora nel Paese d’origine o in America. Ovunque, è come se il destino li abbia segnati per sempre, prima e dopo la Shoah. Ma è soprattutto la sofferenza intima, mai del tutto repressa e spesso estrapolata, di Benji, la sua irrequietudine, la malinconia che lo pervade, l’insofferenza al protocollo, alle convenzioni, all’ipocrisia. Non che Davide sia lontano da simili sentimenti, ma questi è dotato di un alto senso di autocontrollo, di compressione mentale, di senso dell’equilibrio, per cui non dà mai a vedere i ripensamenti, fino ad arrivare – forse – persino ad invidiare la capacità del cugino di sfogarsi e liberare l’inquietudine che si porta anche lui da sempre dentro.
È una sofferenza, reale, dura da sopportare, che prende la forma di un film on the road con un volo, un trasferimento in treno e un piccolo bus, assieme ad una piccola compagnia disomogenea, come loro due. C’è James (Will Sharpe), la guida dello Yorkshire che intanto cerca di migliorare la sua esperienza per rendersi meglio utile per le future comitive e che non riesce ad evitare la reprimenda del ribelle viaggiatore, talmente recepita e capita da spingere a ringraziarlo al momento dell’addio. C’è Marcia (Jennifer Grey), una bella ebrea matura ma ancora piacente appena divorziata rimasta scossa dall’evento inatteso; c’è Eloge (Kurt Egyiawan), un giovane di colore originario del Ruanda sopravvissuto al genocidio della sua etnia che negli USA si è convertito all’ebraismo: visti i suoi precedenti, viene subito amato da tutti e in special modo, ovviamente, da Benji; ci sono anche Mark (Daniel Oreskes) e Diane (Liza Sadovy), una coppia in pensione di Shaker Heights, Ohio, naturalmente anch’essa ebrea, che vogliono anche loro visitare la terra polacca per capire meglio la tragedia storica. Sono appunto un gruppo di gente differente l’uno dall’altro, ma animato solo dal bisogno di approfondire le loro conoscenze e la storia del loro popolo.

Sul treno.
Benji: “Nessun altro la sente? La sensazione schifosa di essere come dei privilegiati su questo treno? Nessun altro ci vede dell’ironia? Siamo qui a banchettare come niente fosse, quando 80 anni fa saremmo stati ammassati sul treno come bestie. […] Siamo tutti così capricciosi e privilegiati che ormai non riusciamo a empatizzare col vero dolore del prossimo. Come l’esperienza di essere gettati su un vagone come bestie. Ammettilo, cazzo! Mostra dei sentimenti al riguardo!”

Per strada.
Marcia: “Stavo pensando a ciò che hai detto sul treno riguardo alla comprensione del dolore. […] L’anno scorso mia figlia ha sposato un uomo molto ricco e non riesce a fare più conversazioni di spessore.”
Benji: “Certo, i soldi sono come eroina per le persone noiose.”
Marcia: “Non so cosa significhi, ma è così facile vivere spensierati dimenticando quanto siamo fortunati.”
Eloge: “Rimango sempre sconcertato da come il mondo sembra andare avanti, come se non ci fossero mille motivi per essere scioccati.”
David: “Non so. Se piangessimo per ogni cosa triste al mondo, cosa otterremmo? Non lo so, forse accadrebbe meno roba triste?”
Marcia: “David, ci intorpidiamo per evitare di dover pensare all’impatto che abbiamo.”
Eloge: “Ignorando il proverbiale mattatoio per goderci la bistecca.”
David: “No. Lo capisco. Ma secondo me c’è un tempo e un luogo per affliggersi.”
Benji: “È un cazzo di tour sull’Olocausto. Se non è questo il tempo e il luogo per affliggersi e aprirsi, non so che dirti.”
Nessuno però ha quelle motivazioni come i due protagonisti, che avranno occasione per divertirsi in cima agli alberghi per fumare erba, ricordare i vecchi tempi, rimproverarsi i difetti e le incomprensioni, promettersi cambiamenti che sanno perfettamente che non adotteranno mai. Cominciando proprio da Benji che racconta solo fandonie sul suo conto e sul suo modo di camparsi, nel vecchio appartamento seminterrato di Binghamton, quando invece, nell’ultima inquadratura, lo vediamo risedersi nella sala d’attesa dell’aeroporto di NY e sistemarsi lì per chissà quanto tempo.

Il trip (e tutti i trip) finisce davanti alla casa della nonna a Krasnystaw, vero scopo del viaggio, una contemplazione malinconica e doverosa, con la mente che va alla donna affettuosa che ha voluto bene e che ricordano con grande affetto, consapevoli delle pene sofferte da lei come dall’intero popolo ebraico. Dopo la dolorosa visita al campo di concentramento, monumento eterno alla memoria della tragedia umana, che li ha destabilizzati nel morale, ora un nostalgico tributo alla grandma con la posa rituale delle pietre e un semicomico dialogo con un vicino di casa polacco.

A tratti comico o serioso, è drammatico nei momenti dei sopralluoghi nei posti più evocativi del genocidio, i monumenti commemorativi della Resistenza di Lublino, ma soprattutto la visita al campo di concentramento di Majdanek, la cui visita spinge Benji, mentre tutti restano attoniti e silenziosi, in uno stato di prostrazione che intenerisce gli altri. Col suo modo di fare, anche a tratti maleducato, si rende simpatico, attraente e intrattenitore, anche perché il resto della comitiva si rende conto del suo difficile stato d’animo. Ma come tutte le cose della nostra vita, alla fine ognuno prenderà la propria strada. Anche i due, dopo l’invito rifiutato da Benji, si devono separare: David torna felice a casa, abbracciato da moglie e figlio, l’altro si risiede in aeroporto perché quello è, come dice lui, il miglior posto per cazzeggiare.

Jesse Eisenberg ha scritto e diretto un film che ha co-prodotto insieme a Emma Stone e suo marito Dave McCary, le cui riprese principali sono iniziate nel maggio 2023 in Polonia e poi presentato in anteprima al Sundance Film Festival 2024, dove ha vinto il Waldo Salt Screenwriting Award. La seconda opera di regista è molto delicata e intima, con una forte componente di studio dei personaggi e una accurata analisi dei legami familiari, scritta con mano felice, in cui ha riportato ricordi personali. Un film riflessivo, con una forte componente emotiva e un’attenzione particolare alla narrazione e alla fotografia, esplorando il lutto, la relazione tra i cugini, la ricerca di identità e la familiarità del dolore. Inoltre, l’autore ha saputo evitare il falso moralismo, mostrando personaggi con i comuni difetti di tanti, osservando se stesso, la propria piccolezza davanti alle grandi sciagure e i profondi traumi storici, senza trascurare l’accenno alle ripercussioni psicologiche, diventate depressione nella vita di Benji, sino ad un tentativo – traumatico per David – di suicidio. Il tutto condito con una colonna sonora commovente composta dai meravigliosi Notturni e Preludi di Chopin, magnificamente suonati dal pianista ebraico israelo-canadase Tzvi Erez, che si sposa alla perfezione con l’architettura delle città e con la campagna polacca.

L’opera seconda di Jesse Eisenberg è una bella impresa riuscita, accolta benissimo dalla critica internazionale, in cui lui si è ritagliato un ruolo congeniale alla sua personalità, come lo abbiamo già apprezzato in altri ruoli, ma dando una immensa possibilità all’eccellente Kieran Culkin, che ha vinto tutti i premi possibili, nonostante le perplessità iniziali della produzione. Infatti, si son ritrovati un interprete maiuscolo, forse andando anche oltre le attese e disegnando un personaggio che si prende la scena tutta per sé. È lui il vero traino del bel film.
Adesso, però, Esisenberg deve mantenere il livello.
Riconoscimenti
Premio Oscar 2025
Miglior attore non protagonista a Kieran Culkin
Candidatura per la miglior sceneggiatura originale
Golden Globe 2025
Miglior attore non protagonista a Kieran Culkin
Candidatura per il miglior film commedia o musicale
Candidatura per il miglior attore in un film commedia o musicale
Candidatura per la migliore sceneggiatura
Premio BAFTA 2025
Migliore sceneggiatura originale
Miglior attore non protagonista a Kieran Culkin
Un totale di 67 premi e 90 candidature!
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